Gli effetti della crisi economica colpiscono tutti, anche i colossi come Google, e non stupisce se i conti degli ultimi trimestri sono poco brillanti. Quel che val la pena notare però, è come la prestazione finanziaria sia legata alla Employee Satisfaction. Tra questi due valori si colloca il fattore chiave del successo di Google, la produttività, intesa come capacità delle sue persone di ideare e sviluppare un’offerta che risponde alla domanda dei consumatori e delle imprese.
Non lo pensiamo noi, ma il CEO di Alphabet – la capogruppo di Google – Sundar Pichai. In uno degli ultimi all-hands meeting Pichai ha annunciato agli oltre 174mila dipendenti l’iniziativa “Simplicity Sprint”, una sorta di brainstorming o crowdsourcing delle idee per far emergere proposte su come migliorare l’efficienza di Google e la sua capacità di creare prodotti unici e convincenti. Sprint è un termine usato nello sviluppo software e dalle startup tecnologiche per indicare programmi di durata breve mirati a raggiungere un preciso obiettivo.
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Employee Satisfaction, per migliorare servono le idee di tutti i dipendenti
L’iniziativa di Alphabet si concretizza in un questionario inviato ai dipendenti; le risposte alle domande sono uno spazio per condividere idee capaci di rimettere Google in marcia. Ecco alcune indiscrezioni sulla survey (riportate dal sito Cnbc.com): “Che cosa sarebbe utile per lavorare con maggior chiarezza ed efficienza per servire i nostri utenti e clienti? Dove dovremmo eliminare gli ostacoli che ci rallentano al fine di ottenere risultati migliori più velocemente? Come possiamo buttare quello che non ci serve e restare innovativi e concentrati nella nostra crescita?”.
Il coinvolgimento dei dipendenti ha un duplice obiettivo per il management. Innanzitutto rassicurare sull’andamento del gruppo. E poi – ma è altrettanto importante – recuperare la fiducia e il coinvolgimento del personale, la cui soddisfazione è in calo.
I risultati di Google non hanno brillato
Alphabet ha chiuso il secondo trimestre del 2022 con la crescita dei ricavi più bassa dal 2020: +12,6% a 69,69 miliardi di dollari. L’utile netto è calato del 13,6% a 16 miliardi, mentre l’utile per azione a 1,21 dollari ha mancato le attese del mercato (1,28 dollari). A pesare sui conti sono sia la frenata della raccolta pubblicitaria che il rafforzamento del dollaro.
Le attività di Alphabet non vanno male, ma hanno deluso gli analisti, oltre ad avere prestazioni decisamente inferiori rispetto a un anno prima, quando avevano beneficiato della ripresa post-Covid. Per esempio, le vendite complessive a 69,69 miliardi sono lievemente sotto le stime (69,88 miliardi) e la crescita del 12,6% stride con il +62% del secondo trimestre 2021. La piattaforma video YouTube ha generato ricavi pubblicitari per 7,3 miliardi contro i 7,52 miliardi attesi e la crescita è solo del 5% dopo il balzo dell’84% dell’anno precedente.
Il gruppo di Mountain View ha deluso il mercato anche nel primo trimestre del 2022, pur con ricavi di 68 miliardi di dollari, +23% anno su anno, mentre l’utile netto di 16,44 miliardi di dollari rappresenta una flessione dell’8% rispetto al primo trimestre del 2021 (che però, dopo il Covid, era stato da record).
«Volevo fornire ulteriori dettagli di contesto in seguito alla nostra relazione finanziaria, e anche chiedere il vostro supporto – ha affermato Pichai nel recente all-hands meeting -. È chiaro che siamo di fronte a uno scenario macro che presenta molte sfide e che il futuro si presenta ancora più incerto».
La Employee Satisfaction di Google è in calo
Le dichiarazioni del CEO dimostrano che per i vertici di Google recuperare l’appoggio dello staff è fondamentale per far fronte alla crisi e tornare a crescere. Tra il personale e il management si è creata tensione dopo che l’annuale sondaggio sulla soddisfazione dei dipendenti (informalmente “Googlegeist”), condotto a gennaio e pubblicato a marzo 2022, ha portato alla luce un certo malcontento su stipendi, opportunità di carriera e capacità di esecuzione dell’azienda.
Molti dipendenti (i dati sono stati riportati da Business Insider e Cnbc.com) hanno detto che quanto ricevono non è competitivo rispetto a quel che potrebbero avere, a parità di ruolo, in un’altra azienda. Solo il 53% pensa che la propria paga (bonus e benefit compresi) sia concorrenziale (-5% rispetto a un anno fa) e il 56% ritiene il proprio stipendio “giusto” (-8%). Nella divisione cloud solo il 54% delle persone ha definito equo il processo con cui i dipendenti fanno carriera, in calo del 2% rispetto a un anno prima. Inoltre, molti dubitano della capacità di execution dell’azienda, valutata -7% rispetto a un anno fa.
I dipendenti restano felici della mission (90%) e dei valori di Google (85%), mentre sulla diversità e inclusione la valutazione oscilla tra l’82% e il 90% di soddisfazione. Il CEO Pichai in genere piace (86%), ma solo il 74% lo ritiene in grado di prendere le decisioni giuste per il successo di Google.
Una lezione nell’era delle Grandi Dimissioni
Nell’era della Great Resignation le persone vogliono trovare un senso al lavoro che fanno, altrimenti sono pronte a dimettersi. Questo sense of purpose è dato da un insieme di fattori: lo stipendio, la mission e i valori dell’azienda, l’attenzione all’inclusione e alla sostenibilità, il benessere del personale, le opportunità di formazione, il rispetto della sfera privata e molto altro ancora.
Negli Stati Uniti almeno 4 milioni di lavoratori hanno lasciato il posto ogni mese da luglio 2021, secondo il Bureau of Labor Statistics. In Italia, riferisce il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel secondo trimestre del 2021 si sono contate 484mila dimissioni volontarie dei lavoratori; la quota di abbandono volontario sul totale degli occupati ha superato il 2% per la prima volta da anni. Quest’anno, secondo McKinsey, il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare occupazione nei prossimi 4-6 mesi; il 36% di chi si è licenziato lo ha fatto senza aver già trovato un nuovo lavoro. Materia su cui riflettere non solo per Google.