Far parte della comunità LGBTQ+ è per molti fonte di orgoglio, soprattutto in una società sempre più aperta come la nostra, ma significa anche dover costantemente lottare per i propri diritti e la propria identità. La vera e propria inclusione, intesa come l’assenza di pregiudizi e discriminazioni, è una realtà ancora troppo lontana, sebbene in questi anni siano stati raggiunti importanti obiettivi. Ecco perché sono frequenti i fenomeni di minority stress sul lavoro.
Indice degli argomenti
Minority stress e orientamento sessuale, il luogo di lavoro può diventare pericoloso?
La discriminazione sul luogo di lavoro è purtroppo tuttora comune, causando notevole disagio psichico e fisico per coloro che la devono affrontare. Essa può essere aperta, come un insulto, oppure subdola, come un commento che inconsapevolmente rivela il proprio disprezzo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il secondo caso porta a conseguenze peggiori poiché l’ambiguità della situazione protegge chi discrimina e riduce le possibilità di rivalsa della vittima. Basti pensare a un individuo omosessuale che non ha ancora rivelato la sua identità ai colleghi e che in situazioni lavorative deve sopportare frasi discriminatorie contro la comunità LGBTQ+.
Le conseguenze del minority stress
Questo scenario estremamente comune rappresenta un esempio di microaggressione, ovvero brevi frasi o comportamenti che implicano un’offesa, attacco e invalidazione di una determinata categoria. Il minority stress, la tipologia particolare di stress che consegue a queste microaggressioni per le minoranze, è un potente predittore di sentimenti negativi, come alienazione e ansia sul luogo di lavoro (DeSouza et al., 2017). Nel tempo, porta a insoddisfazione lavorativa, isolamento sociale e bassa produttività. Si parla di corrosione della propria dignità lavorativa (Triana et al., 2021) intesa come il senso di rispetto e autostima, sia personale che relazionale. Una mancanza di dignità lavorativa nei dipendenti contribuisce a creare un clima aziendale negativo e non inclusivo (Garcìa Johnson e Otto, 2019) oltre a sentimenti di mancata appartenenza e identificazione con l’organizzazione stessa (Ng e Rumens, 2017).
La ricerca ISTAT-UNAR del 2022 indica come una percentuale elevata (41,4%) di persone omosessuali o bisessuali intervistate anonimamente ritengano che il proprio orientamento li abbia svantaggiati sul lavoro, sia a livello professionale che personale. Altri aspetti comunemente riscontrati sono tenere nascosta la propria identità sessuale per evitare ripercussioni negative (61,2%) ed escludersi volontariamente da attività sociali lavorative (19,6%). Il report indica inoltre che la quasi totalità dei partecipanti ha fatto esperienza di almeno una microaggressione sul luogo di lavoro: in particolare, oltre nove persone su dieci hanno udito frasi offensive sulla comunità LGBTQ+ da parte dei propri colleghi o superiori. In un’ulteriore ricerca, dal suggestivo titolo “Is It Safe To Bring Myself to Work?” (“È sicuro portare me stesso a lavoro?”) gli autori hanno intervistato 36 adulti LGBTQ+ provenienti dagli USA riguardo alla discriminazione sul luogo di lavoro.
La maggior parte di essi ha ammesso di aver sacrificato parte della propria autenticità per sentirsi sicuro coi colleghi in seguito a frequenti microaggressioni. Le minacce principali che hanno subito riguardano le relazioni sociali, la propria autonomia e privacy, la possibilità di carriera e la propria incolumità fisica.
In Europa, secondo la Annual Review 2022 dell’associazione Ilga-Europe, l’inclusione LGBTQ+ sul lavoro è lontana dell’essere ideale, soprattutto per gli individui transgender che riscontrano sempre più fatica a trovare lavoro. La review indica, infatti, come la difficoltà maggiore sia l’essere convocati a colloqui di lavoro, oltre che la paura di perderlo per via della propria identità sessuale.
Creare un clima inclusivo (anche) in azienda
Un clima aziendale di supporto ed inclusivo è vantaggioso per tutti, non solo per chi fa parte della comunità LGBTQ+: esso è motore di proattività, inclusione, soddisfazione lavorativa e migliori relazioni tra colleghi. Permette di combattere le microaggressioni e l’ostracismo, aumentando il sentimento di appartenenza all’azienda.
Gli strumenti che le organizzazioni possono utilizzare sono numerosi e partono quasi tutti dall’alto: sono infatti il management e le HR che possono fare la differenza, implementando policies aziendali che rispettino la diversità e promuovano l’inclusione.
Minority stress, quali strategie aumentano il senso di appartenenza all’zienda
In base agli studi di psicologia del lavoro effettuati in questo ambito, le strategie che potrebbero funzionare sono:
- L’implementazione di chiare policy anti-discriminatorie nel codice etico dell’azienda, seguite da effettive azioni concrete di tutela LGBTQ+. Per esempio, si potrebbero inserire nel codice le modalità per presentare un reclamo contro una discriminazione subita a lavoro.
- L’istituzione di un dipartimento o di una serie di dipendenti incaricati a valutare l’azione di queste policy, raccogliere le segnalazioni e far rispettare queste regole, con la possibile supervisione di psicologi a supporto o percorsi di terapia parte del welfare aziendale.
- Includere un training specifico in materia di inclusione LGBTQ+ e diversità sul lavoro (diversity training) in aggiunta al training generale HR.
- Organizzare eventi a tema con esperti del settore in cui la partecipazione non è obbligatoria ma fortemente raccomandata, tramite un sistema di premi per coloro che vi partecipano.
- Favorire uno stile di management collaborativo e non competitivo, in quanto la diversità e la sua accettazione provengono dalla collaborazione con gli altri.
- Rendere trasparente la posizione che l’azienda assume riguardo ad eventi come i Pride, supportandoli.
Il superamento delle difficoltà che ostacolano la vera inclusione delle persone LGBTQ+ in ambito lavorativo risulta essere effettivamente possibile, oltre che vantaggiosa per le aziende in termini di soddisfazione lavorativa e produttività. Una maggiore inclusione implica, però, una accettazione della diversità, non una mera tolleranza, ed è proprio questo concetto che andrebbe sviluppato nei training e nelle aziende. L’inclusione avvantaggia tutti, anche chi non fa parte della comunità, ed è un valore per il quale vale la pena lottare.