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Parità salariale: RAL obbligatoria negli annunci di lavoro, a che punto siamo in Europa?



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La nuova direttiva europea sulla trasparenza salariale richiede che sia indicata la Retribuzione Annua Lorda nelle offerte di lavoro. Vieta anche di indagare sul precedente compenso e impone di fornire informazioni sull’avanzamento di carriera. Al momento solo poche realtà la seguono e ci si interroga sugli effetti sul gender pay gap

Pubblicato il 4 ago 2023

Daniele Bacchi

CEO e Co-Founder di Reverse



Parità salariale

La parità salariale è senza dubbio una priorità in cima alle agende dei principali decisori europei. Lo scorso 30 marzo il Parlamento Europeo ha infatti approvato una nuova direttiva sul merito e sulla trasparenza retributiva, che, tra le principali novità introdotte, renderà obbligatoria, per le aziende che cercano nuove risorse, l’indicazione della RAL (retribuzione annua lorda) direttamente negli annunci di lavoro entro i prossimi tre anni. La normativa si basa sul fatto che in Europa le donne, a parità di ruolo, guadagnano in media il 13% in meno degli uomini.

Cosa che, in termini pensionistici, si traduce in un gap di quasi il 30%. Il Parlamento ha quindi tentato di affrontare questo problema intervenendo sul segreto retributivo, anche se non esistono, ad oggi, prove empiriche e concrete che dimostrino che questa possa essere la soluzione al problema. Non è dimostrato infatti che le aziende che ad oggi inseriscono la RAL negli annunci abbiano al loro interno situazioni di assoluta parità.

Questa pratica, inoltre, è ancora poco diffusa in Italia, ma anche nel resto dei Paesi europei non si tratta di un’usanza abituale.

Come Reverse, conduciamo attività di headhunting e recruiting in diversi paesi del Vecchio Continente e abbiamo quindi una visione abbastanza ampia della situazione attuale. La nostra metodologia nel condurre le selezioni si basa sempre sulla raccolta dei dati, cosa che abbiamo fatto anche in questo caso, conducendo un’indagine su un campione di 50 annunci di lavoro, tutti per un livello di mid-seniority, per i paesi in cui lavoriamo, Italia, Spagna, Francia e Germania. Ciò che ne è emerso è che la trasparenza salariale nell’annuncio è una questione delicata e importante che interessa tutta Europa e non solo il nostro Paese.

Se, infatti, degli annunci presi a campione per l’Italia, solo il 4% riporta la retribuzione, la stessa percentuale la si ritrova in Spagna. Più elevata la percentuale che ritroviamo in Francia, che presenta la RAL esplicitata nel 6% degli annunci selezionati, mentre il fanalino di coda è rappresentato dalla Germania, in cui l’indicazione del salario non è presente in alcuno degli annunci analizzati.

Partendo da ciò che osserviamo ogni giorno nel nostro lavoro, ritengo che aggiungere o meno la RAL negli annunci non sia da considerare categoricamente come un pregio o un difetto di un’azienda o di una nazione. Sono diversi infatti i motivi per cui la maggioranza delle imprese sceglie di non inserire questo dato, primo tra tutti la consapevolezza che non tutti abbiamo la stessa retribuzione, non necessariamente per motivi discriminatori, ma spesso per motivi di merito professionale ed esperienza.

Inoltre non esiste un mansionario globale delle professioni in cui siamo tutti incasellati e quando un’azienda chiede la retribuzione ai candidati, solitamente lo fa per capire quanto il mercato tende a pagare quelle determinate competenze. Quello che abbiamo osservato quindi è che, escludendo casi limite, c’è sempre un motivo razionale, logico e lecito per il quale non viene inserita la RAL negli annunci e viene invece chiesta a colloquio la retribuzione precedente.

La Germania, i motivi culturali per cui non inserisce la RAL negli annunci

Non ci stupiamo che in Germania la percentuale sia lo 0%, perché attraverso il nostro lavoro in questo Paese, più che in altri, notiamo che a fatica vengono resi pubblici dati come gli stipendi. Inoltre, questo risultato ha a che fare anche con lo stato del mercato del lavoro tedesco che oggi registra una grande difficoltà a trovare profili specifici e nuove risorse. Qualora infatti le aziende dovessero pubblicare un annuncio con una RAL non perfettamente allineata al mercato, ridurrebbero ulteriormente le possibilità di trovare persone. Inoltre, a differenza dell’Italia, in questo Paese non è usanza chiedere la retribuzione attuale ai candidati, bensì la retribuzione desiderata da cui partire come base di contrattazione.

La nuova direttiva europea: facciamo chiarezza

Ma l’indicazione obbligatoria della RAL negli annunci di lavoro non è l’unica novità introdotta dalla nuova direttiva approvata dal Parlamento Europeo. La normativa, infatti, prevede anche il divieto per le aziende di chiedere ai candidati, in tutte le fasi della selezione, la RAL precedente, evitando così che possa essere presa come benchmark di riferimento. Inoltre, chi si occupa di selezione e recruiting dovrà fare in modo che sia le offerte sia i titoli professionali appaiano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio.

Sempre in ottica di trasparenza, le aziende europee saranno obbligate a mettere a disposizione dei lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per definire la retribuzione e l’avanzamento di carriera, oltre a fornire loro le informazioni sia sul proprio livello retributivo individuale, sia su quelli medi dei colleghi con mansioni e ruoli di pari valore, con l’obiettivo di far valere, se necessario, il diritto alla parità retributiva.

Infine, le imprese con almeno 250 lavoratori dovranno rendere pubblici i dettagli relativi al divario retributivo tra uomini e donne, mentre alle organizzazioni e alle amministrazioni pubbliche di tutta Europa è richiesta una dichiarazione obbligatoria circa le proprie retribuzioni, che comporterà, qualora emergesse un divario superiore al 5%, una rivalutazione salariale insieme ai rappresentanti dei dipendenti.

Sebbene sia fortemente convinto della necessità di affrontare il fenomeno della disparità retributiva, non sono sicuro che alcune delle misure introdotte ne siano la soluzione oltre al fatto che potrebbero risultare di non facile attuazione. Se consideriamo per esempio il divieto di chiedere la retribuzione precedente, ci scontriamo con la frequente necessità dello stesso candidato di esplicitare, in fase di selezione, l’entità del suo stipendio attuale, spesso dichiarata per ottenere un significativo aumento.

Pertanto, nonostante accolga con favore le iniziative volte a garantire la parità e la trasparenza, ritengo sia fondamentale valutarne attentamente l’efficacia e l’applicabilità nel mondo del lavoro reale, oltre a monitorarne i risultati nel tempo. Personalmente sono per un approccio più olistico e personalizzato nella valutazione dei singoli individui e del contributo che portano alle aziende, che tenga conto anche delle sfide e delle dinamiche specifiche delle negoziazioni salariali.

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