Il 17 maggio è stata celebrata la “Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia”, istituita nel 2007 dall’Unione europea.
La data è stata scelta per ricordare il 17 maggio 1990, giorno in cui l’OMS cancellò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali definendola per la prima volta «una variante naturale del comportamento umano».
Il tema interessa il diritto del lavoro per quel che riguarda il divieto di discriminazioni in ragione dell’orientamento sessuale sia durante la selezione del personale – e quindi nell’accesso all’impiego – sia dopo l’assunzione.
Accanto a questo aspetto se ne rilevano anche altri quali, ad esempio, l’importanza della valorizzazione della diversità negli ambienti di lavoro nonché della protezione dei dipendenti contro i comportamenti discriminatori dei colleghi, il tutto anche nell’ottica di dare attuazione ai principi ESG.
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Identità di genere: i vantaggi di un ambiente di lavoro inclusivo
Creare un ambiente di lavoro inclusivo, che consenta ai lavoratori di esprimere la propria diversità e, quindi, di contribuire al cambiamento, è una sfida importante per le imprese: diversità e inclusione sono un patrimonio a cui le organizzazioni devono attingere per creare valore e innovazione.
La corretta gestione della diversity all’interno di un’organizzazione aziendale consente la creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, tale da favorire l’espressione del potenziale di ciascuno.
Studi statistici dimostrano che una gestione efficace della diversità produce per imprese e lavoratori numerosi benefici che esaminiamo di seguito:
- Incremento della creatività, dell’innovazione e della produttività. Un gruppo di lavoro variegato è in media più performante di uno in cui predomina l’omologazione;
- Attrazione delle risorse migliori. Un’impresa che abbraccia la diversità promuove un’immagine positiva del luogo di lavoro e può, conseguentemente, attrarre un ampio numero di candidati interessati al contesto aziendale, percepito come un ambiente dinamico in cui poter accrescere le proprie potenzialità;
- Miglioramento della reputazione e dell’immagine aziendale. Un’impresa che decide di investire nella valorizzazione delle diversità ha la grande opportunità di porsi davanti ai propri concorrenti sia in termini di reputazione che di produttività, facendo dell’ambiente di lavoro inclusivo il proprio elemento distintivo.
Servono azioni per promuovere le pratiche inclusive
Per conseguire questi risultati bisogna mettere in atto azioni finalizzate a una più efficace pratica inclusiva attraverso l’implementazione di politiche e misure di promozione del rispetto e dell’integrazione delle diversità e valorizzazione dell’identità di genere.
Si pensi, ad esempio, alle imprese che hanno esteso l’assicurazione ai partner LGBTQI+, che hanno introdotto il congedo matrimoniale anche per le coppie omosessuali, oltre ai permessi per i lutti familiari e buoni spesa prima ancora che la legge Cirinnà (l. n. 76/2016) intervenisse a disciplinare le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Secondo il Report di statistiche su inclusione e diversità LGBTQI+ (a cura di Istat e Ministero del Lavoro per gli anni 2019-2021) le misure più adottate per la valorizzazione e gestione delle diversità LGBTQI+ sono quelle destinate ai lavoratori transgender. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di usare servizi igienici e spogliatoi in modo coerente con la propria identità di genere, alle iniziative che garantiscono ai lavoratori transgender il diritto di esprimere la loro identità di genere in maniera visibile e alle misure ad hoc a tutela della privacy dei lavoratori che abbiano intrapreso il percorso di transizione prima di entrare nell’impresa (es. uso della c.d. “identità alias” che consiste nell’utilizzo di un nome coincidente con l’identità di genere anche se non è stato ancora completato il percorso di transizione e il connesso iter burocratico).
È, inoltre, indispensabile che il personale acquisisca consapevolezza rispetto agli stereotipi e sviluppi competenze nell’interazione costruttiva con le diversità. Ciò diviene possibile con un programma formativo ben strutturato, che non sia costituito da eventi unici o sporadici, ma inquadrato in un arco temporale a lungo termine e che coinvolga tutto il personale, quindi non solo l’ufficio risorse umane, ma anche il top management e i coordinatori dei team.
Il caso del licenziamento di un dipendente omofobo
Valorizzare e proteggere la diversità negli ambienti di lavoro significa anche prendere posizione contro comportamenti dei dipendenti discriminatori nei confronti dei colleghi.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 7029 del 9 marzo 2023, si è occupata del caso dell’autista di un autobus licenziato per aver pronunciato, alla presenza di alcuni utenti, frasi offensive e discriminatorie sull’orientamento sessuale della collega che attendeva di prendere servizio (nella specie, avendo appreso che la collega aveva partorito 2 gemelli, le chiedeva «ma perché non sei lesbica tu?» «Come sei uscita incinta?»).
I giudici di merito avevano derubricato il comportamento dell’autista a una condotta sostanzialmente inurbana, addirittura meno grave del «contegno inurbano o scorretto verso il pubblico» punito con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione secondo l’art. 42 R.D. n. 148/1931 (autoferrotranvieri).
Il ragionamento non è stato condiviso dalla Suprema Corte secondo cui la valutazione operata dal giudice di merito, nel ricondurre a mero comportamento inurbano la condotta, non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale e ai principî dell’ordinamento: la sentenza di merito rimandava ad un comportamento contrario soltanto alle regole della buona educazione e degli aspetti formali del vivere civile, laddove il contenuto delle espressioni usate si pone in contrasto con valori ben più pregnanti, radicati nella coscienza sociale ed espressione di principî generali dell’ordinamento.
La società, infatti, si è evoluta nel senso di una maggiore consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che esso attenga a una sfera intima e assolutamente riservata della persona.
L’intrusione in tale sfera, effettuata peraltro con modalità di scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non può essere considerata una mera violazione di regole formali di buona educazione. La condotta deve, invece, essere valutata tenendo conto della centralità che nella Costituzione assumono i diritti inviolabili dell’uomo, il riconoscimento della pari dignità sociale senza distinzione di sesso, il pieno sviluppo della persona umana, il lavoro come ambito di esplicazione della personalità dell’individuo, oggetto di particolare tutela in tutte le sue forme e applicazioni.
Tale generale impianto di tutela ha trovato puntuale specificazione nell’ordinamento attraverso discipline antidiscriminatorie intese ad impedire o a reprimere forme di discriminazione legate al sesso. Tra queste assume particolare rilievo il d.lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità) il cui art. 26 comma 1 statuisce che «sono considerate come discriminazioni anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo».
La Suprema Corte ha, pertanto, cassato la sentenza di appello per il riesame della fattispecie al fine di verificare la sussistenza della giusta causa di licenziamento alla luce della corretta scala di valori di riferimento come sopra ricostruita.