- Nel 2024, lo Smart Working si conferma una realtà consolidata in Italia con 3,55 milioni di persone che continuano a lavorare da remoto;
- Il 73% dei lavoratori da remoto si opporrebbe alla sua eliminazione;
- Tra chi è tornato al 100% in presenza, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale;
- La flessibilità oraria, gli spazi fisici e gli stili manageriali sono leve fondamentali per l’adozione dello Smart Working;
- Tecnologie come l’AI ridisegnano l’organizzazione del lavoro, aprendo nuove frontiere di flessibilità.
Il numero di lavoratori da remoto nel 2024 è rimasto sostanzialmente stabile (3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023) e pochi rinuncerebbero al lavoro agile, al punto che il 73% di coloro che se ne avvalgono si opporrebbe se l’azienda lo eliminasse. A tracciare i trend 2024 dello Smart Working è l’Osservatorio del Politecnico di Milano, in occasione del Convegno: “Tra Smart Working e Return-to-Office: orientarsi nel labirinto della flessibilità”.
«Lo Smart Working è il paradigma che ha cambiato di più il lavoro in Italia dal punto di vista organizzativo, normativo, tecnologico – ha ribadito Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. E, nonostante titoli altisonanti ne abbiano decretato la fine – complici anche lo stop a tutte le misure di lavoro agile semplificato che obbligavano i datori di lavoro a consentirlo a specifiche categorie e le scelte di alcune grandi imprese, soprattutto di oltreoceano, come Amazon, che hanno annunciato l’intenzione di un passaggio a modelli al 100% in presenza -, i numeri dicono qualcosa di diverso.
Sta continuando a diffondersi nelle grandi aziende, rimane stabile nelle PA e ha subito una minima contrazione nelle PMI, probabilmente perché nelle piccole realtà questo modello organizzativo è ancora visto, prevalentemente, come uno strumento occasionale di conciliazione tra vita privata e lavorativa e non come una vera e propria innovazione nell’organizzazione del lavoro. Se si guarda poi al 2025 si prevede una crescita del 5%, che porterebbe a toccare quota 3,75 milioni di smart worker».
Who's Who
Mariano Corso
Docente di Leadership & Innovation del Polimi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR e dell'Osservatorio Smart Working del Polimi, Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation
Indice degli argomenti
I trend dello Smart Working in Italia nel 2024
Entrando in dettaglio, nelle grandi imprese lo Smart Working coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori (con una crescita dell’1,6% sul 2023), con il 96% delle organizzazioni che oggi hanno consolidato delle iniziative. Nelle PMI il numero dei lavoratori è passato a 520mila dai 570mila dell’anno scorso, e resta sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023).
Se poi si guarda a quello che vorrebbero i lavoratori, pochi rinuncerebbero al lavoro agile, come anticipato in apertura. Nello specifico, laddove l’azienda facesse dei passi indietro il 27% ha dichiarato che penserebbe seriamente di cambiare lavoro e il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Inoltre le persone ritengono che per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire più flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%.
Tra chi è tornato al 100% in presenza, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente perché preferisce socializzare con i colleghi, il 23% ha una nuova mansione non compatibile con lo Smart Working, mentre per la maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda.
«Tutto questo non fa altro che sottolineare che, per quanto lo Smart Working sia un fenomeno apprezzato e presente in Italia, ancora non è definitivamente consolidato – ha sottolineato Corso -. E la motivazione va a braccetto con questo particolare momento storico che vede le aziende doversi destreggiare in un labirinto di scelte. Da una parte bisogna fare i conti con questioni irrisolte, come quelle relative a spazi e modelli organizzativi che in molti casi sono ancora incoerenti rispetto allo Smart Working, o con alcune patologie organizzative, dalla iper connessione all’over working passando per un utilizzo non bilanciato del lavoro agile.
Non si possono, poi, non citare le tensioni opposte da parte di chi vuole le persone in presenza, e spinte che portano ad aumentare la frontiera della flessibilità, attraverso azioni specifiche come quelle della settimana corta o l’International Smart Working, che coglie l’opportunità di un mercato del lavoro sempre più fluido e globale. A pesare nelle decisioni delle aziende c’è anche la multiculturalità, con due diversi punti di vista: il talent shortage e la necessità di essere attrattivi rispetto alle nuove generazioni, e la capacità di creare engagement sulle generazioni mature.
Inoltre, quello che preme oggi alle aziende è creare modelli di lavoro capaci di trattenere le persone al lavoro in modo efficace e anche con un buon orientamento al cambiamento. Infine, ci sono le nuove tecnologie, Artificial Intelligence in prima linea, che giocano un ruolo fondamentale nel ripensare l’organizzazione del lavoro e che impattano fortemente anche sulle possibili modalità».
Le iniziative di Smart Working
Nella quasi totalità delle grandi imprese, nella metà delle PMI e nel 61% per cento delle PA sono state introdotte iniziative di Smart Working. Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione se si considerano anche quelle che prevedono la flessibilità di luogo, ma non di orario, si arriva a toccare il 71%.
Entrando nel merito delle progettualità si spazia dall’introduzione di policy e regolamenti aziendali alle azioni di accompagnamento e di formazione delle persone per l’utilizzo delle tecnologie e degli spazi, e per capire come applicare lo Smart Working.
«Si tratta di iniziative articolate che vanno ben oltre il “semplice” lavoro da remoto – ha detto Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working -, che richiedono un approccio strutturato, che ben si sposa con le progettualità delle grandi imprese, in cui infatti è presente nell’88% dei casi. Così come lo è anche nel settore pubblico in quanto connaturato alla sua natura organizzativa. Nelle piccole e medie imprese invece prevale un approccio un po’ più informale, e lo Smart Working viene gestito in maniera un po’ meno strutturata».
Who's Who
Fiorella Crespi
Direttrice dell'Osservatorio Smart Working del Polimi
Entrando nel dettaglio delle policy, nelle grandi imprese gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese, nella Pubblica Amministrazione 7 e nelle PMI 6,6. «Per quanto riguarda la PA è doveroso ricordare che è stata definita – per legge – la necessità di dare una prevalenza al lavoro in sede, vincolando il numero massimo di giornate che si possono gestire con il lavoro agile», ha ribadito Crespi.
Andando oltre il lavoro da remoto, come detto, è possibile individuare altre leve che favoriscono lo Smart Working tra cui la flessibilità oraria, gli spazi e gli ambienti fisici, i comportamenti e gli stili manageriali, che sappiamo essere il vero cambiamento che il lavoro agile deve portare all’interno delle organizzazioni.
«Se da un lato le grandi aziende e le PA agiscono più o meno ugualmente su tutte queste dimensioni (spazi a parte), nelle piccole e medie imprese l’utilizzo di queste leve è più sfumato, vengono utilizzate meno e questa è un po’ anche la conseguenza di quell’approccio informale di cui parlavamo prima, che non dà modo di generare iniziative anche complete e strutturate nelle realtà di dimensioni minori – ha detto Crespi – Nell’osservare che le organizzazioni comunque continuano a lavorare bilanciando il lavoro da remoto con il lavoro in sede, per le grandi imprese abbiamo provato a cercare di capire se vi fossero delle azioni di accompagnamento alle persone per aiutarle a capire come gestire le 9 giornate.
Ci siamo concentrati sulle organizzazioni più grandi perché i loro modelli strutturati e i percorsi tracciati ci consentono di comprendere quali potrebbero essere le tendenze future. Quello che è emerso è che il 64% ha attivato delle iniziative per aiutare le persone a capire come bilanciare le due modalità di lavoro. Molto spesso si tratta di linee guida sulle attività che possono essere svolte in presenza e quelle che invece è più opportuno gestire da remoto. Non mancano poi altre tipologie di iniziative, come il potenziamento di attività, anche extralavorative, che vengono fatte in sede per aiutare le persone a trovare un equilibrio con altre esigenze personali oppure la definizione degli obiettivi comuni di presenza in sede o delle regole informali, che prevedano ad esempio che i team si incontrino in presenza in ufficio per qualche giorno al mese».
Trend Smart Working 2024, l’approccio dei manager
L’atteggiamento dei manager ha un ruolo cruciale nel determinare l’adozione delle pratiche di Smart Working e il loro effettivo utilizzo. Il 53% delle grandi imprese ritiene che i propri manager siano promotori di tali iniziative mettendole in pratica e stimolando anche i propri collaboratori a farlo. Nel settore pubblico e nelle PMI questo atteggiamento positivo è meno diffuso, presente solo, rispettivamente, nel 35% e nel 27% delle organizzazioni. Oltre un terzo delle PMI dichiara, invece, che i propri responsabili hanno un atteggiamento scettico rispetto allo Smart Working, permettendo alle persone di lavorare da remoto solo in presenza di particolari necessità o addirittura non incentivandone l’applicazione.
Un approccio strategico in cui sia lavoratori sia manager rivedono il proprio modo di lavorare coerentemente con la filosofia dello Smart Working, è presente solo nel 33% delle grandi imprese, nel 20% delle PA e nell’8% delle PMI, e porta a risultati superiori in termini sia di prestazioni organizzative che di benessere delle persone.
Come evolverà lo Smart Working?
«Per capire quali scenari aspettarsi per i prossimi anni è necessario guardare attraverso due prospettive: da una parte capire come evolveranno le iniziative di Smart Working e dall’altra quali forme di flessibilità che stanno emergendo».
A proposito della prima dimensione, i modelli vedranno un’evoluzione, in termini di persone coinvolte e di policy, soprattutto nelle grandi imprese (35%), a seguire nelle PA (23%) e nelle PMI (9%). I particolare, a prevedere un aumento consistente dei lavoratori coinvolti è il 35% delle aziende di grandi dimensioni e il 43% delle PA, mentre nelle PMI la previsione è meno rosea (8%).
Altro cambiamento che riguarda i modelli è quello che connota le policy organizzative. Se nelle grandi imprese il 21% andrà verso una maggiore differenziazione dei modelli di lavoro da remoto presenti (calati sui profili delle persone e sulle attività lavorative), nelle Pubbliche Amministrazioni a guidare questo cambiamento è la volontà di incrementare il numero di giornate in cui le persone possono lavorare da remoto.
Per quanto riguarda poi le nuove forme di flessibilità quest’anno l’Osservatorio si è concentrato sulla settimana corta e sull’International Smart Working.
Quanto è diffusa la settimana corta in Italia
Meno di 1 azienda su 10 ha adottato la settimana corta, ma nonostante una diffusione ancora contenuta, questa sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. I modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, alla rimodulazione dell’orario lavorativo riservata a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni. Le motivazioni principali per cui le organizzazioni hanno implementato o stanno valutando di introdurre la settimana corta sono varie: migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (per il 91% delle aziende), la volontà di aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) e la capacità di risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%).
«Quello che fa la settimana corta è agire sulla leva della flessibilità oraria che non sempre viene accompagna ai progetti di lavoro agile e che gioca invece un ruolo fondamentale nel migliorare il benessere e l’engagement dei lavoratori. Molte sono le sperimentazioni a livello internazionale, a livello europeo e non solo, ma anche in Italia qualche azienda sta portando avanti dei progetti (ad esempio, Lamborghini e Lavazza). A giugno c’è stata una prima audizione per tre proposte di legge che riguardano la settimana corta, a rimarcare il fatto che c’è un’attenzione sul tema e che qualcosa inizia a muoversi», ha ribadito Fiorella Crespi.
L’International Smart Working apre nuove prospettive
Si tratta di un fenomeno emergente, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle PMI (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere a un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero. Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di International Smart Working.
A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle PMI la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.
«L’International Smart Working è un modello che fa leva sulla flessibilità di luogo, piuttosto che su quella oraria, con l’obiettivo di valorizzare i talenti in un contesto più internazionale. Questa dimensione ci sembra molto interessante perché risponde a tutta una serie di difficoltà e di esigenze che vanno a caratterizzare il mercato del lavoro attuale», ha concluso Crespi.