Oggi in Italia circa il 48% dei dipendenti sta affrontando episodi di burnout sul lavoro. E-mail ricevute nel weekend, call e riunioni al di fuori delle “canoniche” 8 ore d’ufficio, emergenze da gestire a stretto giro, chiamate e messaggi su canali personali come Whatsapp sono tutte azioni che rendono i confini che separano il lavoro dalla vita privata sempre più labili e, di conseguenza, contribuiscono ad alimentare il fenomeno che di per sé è già preoccupante.
Ed è in questo contesto che il diritto alla disconnessione, sancito in diverse normative europee, si configura come una risposta alle esigenze di benessere psicofisico dei lavoratori, in quanto consente di tutelare il tempo libero e il recupero dalle attività lavorative.
In generale, per comprendere meglio la portata del fenomeno, secondo uno studio realizzato da Unobravo, le persone che manifestano disagio sul fronte lavorativo sono aumentate del 109,7% nel primo quadrimestre del 2024, rispetto allo stesso periodo del 2023.
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Cos’è il diritto alla disconnessione e perché è importante
Si tratta del principio secondo cui ogni dipendente ha il diritto di non essere reperibile al di fuori dell’orario di lavoro, proteggendo così il tempo libero, i momenti dedicati al riposo e la sfera personale. Nasce dall’esigenza di bilanciare la flessibilità lavorativa con la tutela della salute mentale, evitando che l’iperconnessione diventi una nuova forma di sfruttamento lavorativo, e garantendo una cultura del lavoro sostenibile ed equilibrata.
Giuridicamente, in molti Paesi, è stato normato attraverso leggi o contratti collettivi che stabiliscono limiti chiari alla reperibilità, imponendo ai datori di lavoro di garantire pause effettive e di non esigere risposte a e-mail, messaggi o chiamate fuori dall’orario pattuito.
Come spiega Mariano Corso, Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano: «Disciplinare i tempi di disconnessione non una complicazione, né un costo in più per le aziende, ma una necessità organizzativa ed un investimento intelligente. Perché la cultura dell’“always on” non è altro che la trasposizione nel digitale del presenzialismo: un modello di leadership invasivo e tossico che toglie ai lavoratori benessere e responsabilizzazione, finendo con andare a scapito non solo del benessere delle persone, ma anche dei risultati dell’organizzazione».
Who's Who
Mariano Corso
Docente di Leadership & Innovation del Polimi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR e dell'Osservatorio Smart Working del Polimi, Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation
Il quadro europeo
A livello europeo, il diritto alla disconnessione è un tema sempre più centrale nel dibattito normativo, spinto dall’evoluzione digitale e dalla crescente diffusione dello Smart Working. Sebbene non esista ancora una normativa unificata a livello dell’UE, il Parlamento Europeo ha approvato nel gennaio 2021 una risoluzione che invita la Commissione a proporre una direttiva per garantire il diritto alla disconnessione a tutti i lavoratori. Alcuni Paesi membri hanno già introdotto normative specifiche: la Francia, pioniera in questo ambito, ha stabilito dal 2017 il diritto alla disconnessione con la “Loi Travail”, imponendo alle aziende con più i 50 dipendenti di regolamentare la reperibilità digitale attraverso accordi interni.
Anche la Spagna, il Belgio e la Germania hanno adottato misure che rafforzano il diritto dei lavoratori a non rispondere a comunicazioni fuori orario, spesso integrate nei contratti collettivi di settore. Tuttavia, il panorama europeo resta frammentato, con differenze significative tra i vari Stati membri, rendendo necessaria un’azione coordinata a livello comunitario.
Diritto alla disconnessione: cosa dice la normativa italiana
In Italia, il diritto alla disconnessione è stato formalmente riconosciuto con la Legge n. 81 del 2017, che disciplina il lavoro agile (o Smart Working), stabilendo che il lavoratore ha il diritto di escludere qualsiasi obbligo di connessione al di fuori dell’orario di lavoro concordato. Questo principio è stato ulteriormente rafforzato dalla Legge di Bilancio 2022, che ha reso il diritto alla disconnessione un elemento imprescindibile delle politiche aziendali, imponendo ai datori di lavoro di specificare le modalità di esercizio di tale diritto negli accordi individuali o collettivi.
Ancora, l’articolo 19 della Legge 81/2017 sottolinea che il lavoratore non può essere penalizzato per aver esercitato il diritto alla disconnessione e che le modalità devono essere definite nel rispetto dell’autonomia delle parti, ma senza pregiudicare la salute del lavoratore.
Tuttavia, ad oggi, non esiste una legge specifica sul diritto alla disconnessione in Italia sebbene la Legge 81 sullo Smart Working ne preveda la regolamentazione attraverso accordi tra datore di lavoro e dipendente. La normativa del Paese lascia, infatti, spazio a interpretazioni e, in assenza di regole dettagliate o sanzioni specifiche, l’effettiva applicazione dipende molto dalle contrattazioni aziendali e dai contratti collettivi
I pilastri del Decreto di legge sul diritto alla disconnessione
Ed è per questo che è attualmente in discussione al Senato il Decreto di legge (Ddl) sul diritto alla disconnessione che introduce due pilastri fondamentali per tutelare i lavoratori italiani:
- almeno 12 ore di riposo tra i turni;
- il divieto di ricevere e-mail, messaggi su WhatsApp o chiamate da parte del datore di lavoro fuori dalle ore canoniche.
La proposta di legge mira a sancire il diritto dei lavoratori a non essere costantemente reperibili, permettendo loro di non rispondere a comunicazioni lavorative durante il periodo di riposo. Questo diritto riguarderebbe le aziende con più di 15 dipendenti, includendo anche i lavoratori autonomi e coloro i cui contratti nazionali non contemplano già tale diritto.
L’articolo 3 del Ddl stabilisce che «Il lavoratore ha diritto di non ricevere comunicazioni dal datore di lavoro o dal personale investito di compiti direttivi» per almeno 12 ore dal termine del turno lavorativo. Inoltre, la legge prevede sanzioni amministrative per i datori di lavoro che violano questa normativa, con multe che vanno da 500 a 3mila euro per ciascun lavoratore coinvolto. Il senatore Filippo Sensi, promotore della legge, ha spiegato che la sanzione sarebbe applicata nel caso in cui si dimostri una “molestia digitale” da parte del datore di lavoro, come richiami continui, messaggi su WhatsApp o solleciti via email.