L’Italia è sempre più un Paese di Smart Worker: nel 2018 il numero dei lavoratori agili in Italia ha toccato quota 480mila, pari al 12,6% del totale degli occupati che, in base alla tipologia di attività di lavoro che svolgono, potrebbero fare Smart Working. Cresce quindi il numero di persone che scelgono il Lavoro Agile, disponendo di strumenti digitali adatti a lavorare in mobilità.
A supportare la diffusione dello Smart Working sono le aziende, soprattutto quelle di grandi dimensioni – più di una su due ha avviato progetti strutturati – e anche nel settore pubblico si cominciano a compiere dei passi in avanti, lo dimostra la crescita dei progetti avviati dal 5% di un anno fa all’8% del 2018. Tra le PMI invece non è stata registrata alcuna variazione: la percentuale dei progetti strutturati rimane stabile all’8%.
Questi sono alcuni dei risultati della ricerca 2018 dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, “Smart Working: una rivoluzione da non fermare”, condotta su 183 aziende di grandi dimensioni, 501 PMI, 358 Enti Pubblici e che ha coinvolto, con il supporto di Doxa, un campione 1000 lavoratori.
«La ricerca rivela come nel settore privato lo Smart Working sia un fenomeno inarrestabile – ha sottolineato Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working -. Nelle grandi imprese si nota una forte crescita, mentre nelle PMI lo Smart Working stenta a decollare, perchè permane uno zoccolo duro di disinformazione e resistenza culturale. Nella PA dove ci saremmo aspettati una maggiore diffusione trainata dalla sforzo normativo e dalle scadenze fissate dalla legge Madia, lo Smart Working resta un fenomeno di nicchia. La pubblicazione della legge sul Lavoro Agile ha avuto in sé un effetto promozionale ma, per lo meno nel privato, gli adempimenti formali introdotti dai regolamenti di attuazione rischiano di controbilanciare l’effetto positivo di un quadro normativo più chiaro».
A più di un anno dall’approvazione della legge sul Lavoro Agile, i suoi effetti sono molto più evidenti nel settore pubblico che nel privato. L’82% delle grandi imprese aveva già introdotto o pensato di avviare iniziative di Smart Working prima che la normativa entrasse in vigore e solo per il 17% è stata uno stimolo all’attivazione di progetti. Nella PA, invece, ben il 60% degli enti con progetti di lavoro agile ha trovato stimolo nella legge e solo il 40% l’aveva previsto prima.
«I benefici economico-sociali potenziali dell’adozione di modelli di lavoro agile sono enormi – ha ribadito Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. Si può stimare un incremento di produttività del 15% per lavoratore, una riduzione del tasso di assenteismo pari al 20%, risparmi del 30% sui costi di gestione degli spazi fisici per quelle iniziative che portano a un ripensamento degli spazi di lavoro e un miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata per circa l’80% dei lavoratori. Per questo la rivoluzione non va fermata, ma anzi bisogna accelerare e promuovere la diffusione delle iniziative nelle diverse organizzazioni presenti sul territorio. Lo Smart Working deve diventare un nuovo modo di lavorare, un elemento strategico e non un progetto. Per spingere il cambiamento è necessario allineare gli obiettivi del progetto con quelli di business e introdurre dinamiche di engagement mettendo al centro le persone».
In termini di benefici, non ci sono solo l’equilibrio e la soddisfazione individuale, ma anche migliori performance delle persone e dell’organizzazione nel complesso quindi. Secondo un sondaggio sui responsabili degli Smart Worker, questo modo di lavorare ha un impatto molto positivo sulla responsabilizzazione per il raggiungimento dei risultati (indicato dal 37% del campione), sull’efficacia del coordinamento (33%), sulla condivisione delle informazioni (32%), sulla motivazione e la soddisfazione sul lavoro (32%) e la qualità del lavoro svolto (31%). Il 30% dei responsabili, poi, registra miglioramenti anche nella produttività, nella gestione delle urgenze e nell’autonomia durante lo svolgimento delle attività lavorative. L’unico aspetto su cui pochi manager (11%) dichiarano un impatto negativo è la condivisione delle informazioni.
Smart Worker, l’identikit del lavoratore agile
Secondo la definizione dell’Osservatorio, gli Smart Worker sono coloro che hanno flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro e che sono dotati di strumenti digitali adatti a lavorare in mobilità, eventualmente anche all’esterno delle sedi aziendali. In Italia oggi gli Smart Worker sono circa 480.000 e il numero è destinato a crescere, visto che, come anticipato, rispetto allo scorso anno è stato riscontrato un aumento del 20%.
Dal punto di vista socio-demografico, gli Smart Worker sono ancora prevalentemente uomini (76%) appartenenti alla generazione X, quindi tra i 38 e i 58 anni (50%), e residenti nel nord-ovest del Paese (48%).
Confrontando gli Smart Worker con gli altri lavoratori, la ricerca mette in luca come i primi siano più soddisfatti delle modalità con cui possono organizzare il proprio lavoro: il 39% degli Smart Worker si dichiara completamente soddisfatto rispetto al 18% di quelli tradizionali. Risulta maggiore la soddisfazione anche per aspetti più relazionali, relativi al rapporto con i colleghi e con il proprio responsabile: il 40% degli Smart Worker è completamente soddisfatto rispetto al 23% degli altri lavoratori. Il principio di collaborazione e comunicazione aperta alla base del coordinamento e l’introduzione di maggiore libertà e flessibilità nell’organizzazione del lavoro portano, quindi, a una soddisfazione maggiore dei lavoratori.
Le motivazioni principali per cui le persone scelgono di essere Smart Worker sono legate alla sfera personale e a un miglioramento del proprio benessere: in cima tra le motivazioni c’è evitare lo stress del trasferimento da casa a ufficio negli orari di punta (46%), segue il miglioramento dell’equilibrio tra vita privata e vita professionale (43%). A queste se ne aggiungono altre legate all’impatto sulla sfera lavoro: l’aumento della qualità dei risultati prodotti (41%), della propria efficienza (38%) e della motivazione professionale (36%). Infine, risulta importante anche la volontà di essere più sostenibile non inquinando durante il trasferimento tra casa e ufficio (33%).