Anche lo Smart Working ha una Fase 2 ed è molto più che lavoro da remoto con strumenti digitali: si tratta di un ripensamento degli spazi, delle relazioni e del modo di lavorare dove gli elementi dell’esperienza, dell’autenticità personale e della consapevolezza digitale acquistano nuova centralità. Lo sottolinea Daniele Di Fausto, CEO di eFM, l’azienda specializzata nel fornire supporto a HR, Real Estate e IT nel realizzare Engaging Places, luoghi capaci di generare benessere e migliorare in tempo reale la disponibilità degli spazi, l’efficacia delle tecnologie e la qualità delle relazioni e del lavoro all’interno delle organizzazioni.
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Il nuovo modello del caring
Daniele Di Fausto andrà oltre il concetto di Smart Working per illustrare come è cambiato lo spazio in relazione al lavoro. «Prima della crisi Covid-19 siamo stati abituati a pensare a spazi definiti preposti all’attività professionale. C’era anche un approccio lavorativo gerarchico nel controllo delle relazioni. Questa cultura basata su una visione rigida dello spazio e del tempo è saltata», afferma Di Fausto, «perché il coronavirus ha rapidamente spezzato i confini dell’orario e dei luoghi di lavoro».
Il cambiamento culturale principale è rappresentato dal passaggio dall’approccio taylorista al modello del caring, spiega il CEO di eFM. Nel primo caso ogni lavoratore esegue parti di un’attività di cui non vede lo scopo finale, come in una catena di montaggio la cui efficienza si misura in base al tempo impiegato per svolgere il compito. Nel modello del caring, invece, «resta l’efficienza ma cambia l’efficacia, ovvero la qualità del compito svolto, perché ogni lavoratore conosce l’obiettivo finale e ha una visione complessiva del progetto. Questo spinge le persone a stringere relazioni spontanee per collaborare al raggiungimento dello scopo», afferma Di Fausto.
eFM: «Si affaccia un nuovo mondo fatto di esperienze»
Si tratta di un mondo nuovo in cui fare esperienza. L’esperienza e la definizione di relazioni reciproche, nella loro dinamicità e asimmetria, con lavoratori, partner e altri stakeholder diventano il nuovo paradigma del lavoro. «Apprendimento e lavoro si fondono e la cosa più importante diventa vivere esperienze nuove», evidenzia Di Fausto. «È questo che trasforma il posto di lavoro da Working Place a Living Place, un luogo vivente in cui si fondono i vari aspetti della nostra vita e della nostra personalità». La nostra identità lavorativa non deve più separarsi da quella personale, non occorre vestire i panni di più personaggi: possiamo essere sempre autenticamente noi stessi.
Lo Smart Working ha innescato questa rivoluzione, facendo entrare colleghi e capi nella nostra casa, mostrando i nostri ambienti domestici, i nostri oggetti, persino i nostri figli. «Se le varie dimensioni del lavoro, della famiglia e dell’amicizia non sono più separate, viviamo noi stessi nella nostra completezza e questo ci porta a cercare un senso nel nostro lavoro», afferma Di Fausto. «È un moderno Umanesimo: il lavoro non è più solo scienza e efficientismo, ma anche umanesimo tecnologico».
Non è un caso che il team di eFM sia un gruppo multidisciplinare di ingegneri, architetti, filosofi, sviluppatori software, esperti di HR. La componente umanistica è importante per disegnare progetti «non solo esecutivi ma evolutivi», sottolinea Di Fausto, «il relazioni anche con l’ecosistema aziendale dei clienti». L’approccio umanistico viene integrato con competenze tecnico-scientifiche per trovare risposte e soluzioni, arrivando dal dialogo alla sintesi. «Disporre di diverse competenze che si uniscono fa sì che le nostre persone acquisiscano gradualmente skill nuove», prosegue Di Fausto, «allargando il loro campo di conoscenze e la loro visione. Il nostro è un approccio olistico, proprio come la nostra offerta: siamo unici nel fornire soluzioni su persone, spazi e piattaforme (People, Places, Platforms). In eFM architettura, informatica e HR sono integrati in un’unica azienda».
La tecnologia misura i “momenti”
Il primo cambiamento nel lavoro post Covid-19 è non avere processi standard uguali per tutti ma un’organizzazione basata su momenti e ritmi diversi, secondo Di Fausto. Un meeting, per esempio, può trasformarsi in un’attività di brainstorming all’aperto, dove ci si guarda negli occhi e si osserva uno scenario esterno all’ufficio, stimolando così la creatività. A sua volta l’apprendimento non è più frontale, ma un’attività legata a immersione e consapevolezza. E la tecnologia ci aiuta a definire e misurare questo nuovo approccio alle esperienze quotidiane.
«La nostra piattaforma MYSPOT aiuta i team di lavoro e l’azienda a progredire nell’integrazione tra luoghi, persone e momenti, permette di comprendere come si stanno sviluppando le dinamiche interpersonali e offre anche strumenti personali di consapevolezza aumentata», afferma il CEO di eFM. MYSPOT può infatti misurare se in un meeting a tutti i partecipanti è stato dato lo stesso spazio per intervenire, se i toni sono rimasti costruttivi e anche se l’ambiente che ha ospitato la riunione era confortevole o no. In questa emergenza coronavirus che ha dato la priorità ai meeting virtuali MYSPOT misura anche il livello di attenzione e coinvolgimento sulle piattaforme di collaborazione digitale, un dato – sia ben chiaro – che serve alla consapevolezza della persona, cui resta, non all’azienda per il controllo.
Il viaggio della digital awareness
Sempre nell’ottica dell’incontro fra digitale e wellness, eFM ha avviato una collaborazione con il Campus Biomedico (progetto Positive Healthcare) che si avvale di dispositivi wearable per permettere al dipendente di monitorare il proprio stato psicofisico. «L’approccio taylorista al lavoro si traduce in stress e burn-out», sottolinea Di Fausto. «Molte organizzazioni spendono di più per la salute dei dipendenti che per l’innovazione dei prodotti perché il benessere del lavoratore impatta la produttività e la soddisfazione generale delle risorse umane».
In questo progetto i dati raccolti sul wearable non vanno all’azienda ma restano alla persona e sono anonimizzati, nel rispetto della privacy. E, ovviamente, non è obbligatorio per il dipendente partecipare al progetto. «I dati aumentano la consapevolezza di noi stessi, quella che definiamo digital awareness, ma è una nostra libera scelta, uno nostro percorso personale», sottolinea Di Fausto.
«È lo stesso journey che eFM propone ai clienti, partendo da interviste e strumenti digitali di feedback finalizzati a capire le esigenze specifiche dell’azienda e disegnare un percorso di cambiamento su spazi, organizzazione, IT, processi, comportamenti, execution. Un cambiamento ne influenza un altro e l’azienda si evolve senza sosta nel journey”, spiega Di Fausto. «Ma scopi, modi e tempi sono cuciti su misura e finalizzati al raggiungimento degli obiettivi dei clienti».
Community e luoghi ai tempi del coronavirus
L’emergenza Covid-19 ha, ovviamente, modificato il modo di vivere gli spazi di lavoro; spesso li ha annullati a causa del massiccio ricorso allo Smart Working. Ma per eFM il luogo di lavoro è uno spazio ibrido: può essere la scrivania, la sala riunioni, la mensa, l’angolo del caffè fino a estendersi oltre la sede aziendale, verso il bar, il ristorante, il parco. «Il coronavirus da un lato ha accelerato la digitalizzazione e la collaborazione virtuale, dall’altro ha imposto forti restrizioni alla socializzazione, all’essere comunità di persone, all’utilizzo degli spazi fisici», ammette Di Fausto. «Eppure l’esigenza di stare con gli altri, trovarsi in un luogo per partecipare alla community è ineliminabile. In questa fase di emergenza sanitaria la tecnologia ci aiuterà a mantenere la socialità in modo sicuro ovunque».
L’obiettivo di eFM prescinde, infatti, dalle “tre P” (Persone, Posti, Piattaforme), ma si focalizza sui «momenti, le esperienze e la vita delle organizzazioni», conclude il CEO. «È una visione più ampia che si adatta dinamicamente alle contingenze salvaguardando le relazioni tra persone tramite la tecnologia. E non riguarda solo le aziende e i loro uffici, ma tante attività, dalle palestre ai musei, dai ristoranti ai teatri, fino alla città intera: ogni luogo è vivente nel senso che è fatto e si realizza attraverso comunità di persone che entrano in relazione attraverso narrazioni concrete». Il digitale ci aiuterà a preservare questo elemento pulsante e umano anche con le limitazioni che il coronavirus continuerà a imporci.
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