Per le PMI del nostro Paese l’emergenza Covid-19 è stata la grande occasione per rivedere e rinnovare i modelli organizzativi preesistenti.
Nella stragrande maggioranza delle piccole, medie e micro imprese, che in Italia rappresentano oltre il 99% delle aziende (ovvero il 66% del fatturato e il 70% della forza lavoro), fino a poco più di tre mesi fa, l’innovazione digitale non era avvertita o non era ritenuta essenziale: cloud computing, big data analytics e Smart Working erano pressoché sconosciuti.
Nelle grandi aziende il cambiamento forzato delle modalità di lavoro ha dato una spinta all’avvio di modelli operativi digitali che, anche se avviati parzialmente o solo in fase di progettazione, erano conosciuti. Nelle piccole aziende, invece, salvo che per quelle poche realtà che avevano recepito l’opportunità o quanto meno la necessità di innovazione tecnologica, l’impatto è stato estremamente traumatico.
La mancanza di contatto diretto e di supervisione delle risorse umane ha generato negli imprenditori e manager delle PMI un senso di impotenza: in molti casi si sono sentiti totalmente impossibilitati ad affrontare la crisi, anche perché mal supportati dai consulenti, che nelle piccole aziende, considerata l’assenza di una direzione HR, sono gli unici a poter indirizzare l’imprenditore a una corretta gestione delle risorse umane.
Nelle realtà che hanno continuato a essere produttive anche nei mesi di lockdown e in quelle che comunque hanno dovuto gestire gli strascichi delle attività avviate prima dell’emergenza Covid, gli imprenditori e i manager sono stati “costretti” a utilizzare strumenti per loro “innovativi”, alcuni dei quali fortunatamente già in uso nel privato, ad esempio le videochiamate Skype e i sistemi di messaggistica con possibilità di scambio documenti come WhatsApp, ecc.
Autonomia operativa e decisionale: la ricetta per far crescere le PMI
Ma, soprattutto, nelle PMI ci si è trovati a dover coordinare il personale in maniera totalmente nuova, cioè senza la possibilità di controllo in termini di tempo e luogo, con la conseguenza di dover concedere più autonomia operativa e in taluni casi addirittura decisionale, mai ipotizzata prima.
Questa esperienza, in maniera sicuramente traumatica, ha, però, permesso agli imprenditori e ai manager delle PMI di rendersi conto di come i sistemi di gestione del personale fino a quel momento adottati creavano dispersioni, anomalie e in qualche caso vere e proprie falle all’interno dell’azienda tali da incidere in maniera significativa oltre che sull’engagement delle risorse principalmente sulla produttività, quest’ultimo è proprio il fattore che contraddistingue negativamente l’Italia nell’ambito europeo e che impedisce alle aziende di crescere.
Insomma, alle PMI è apparsa improvvisamente evidente la necessità di rivedere i modelli organizzativi e la dotazione tecnologica nell’ottica di rendere le persone più autonome e dare spazio all’iniziativa. Affinchè la trasformazione sia efficace è necessario poter contare su lavoratori competenti e ingaggiati, ecco perché una delle leve su cui puntare è quella dal change management, per costruire nuovi stili di leadership per riconoscere con oggettività anche le differenze delle competenze, in termini di ruolo e di riconoscimenti economici.
Tuttavia, bisogna essere realisti e consapevoli che il cammino intrapreso è lungo e che siamo ancora all’inizio: non credo che magicamente dopo l’emergenza le nostre aziende opereranno nei modi e con tutti gli strumenti giusti cosa che spesso non avviene neanche nelle grandi aziende. La cosa che però è certa, perché è di fatto già avvenuta, è il nuovo approccio adottato da molti imprenditori e manager rispetto alla tecnologia e, soprattutto, rispetto alla necessità di coinvolgere le persone nella progettazione delle attività di loro competenza e nel lasciare l’autorità decisionale a chi ha effettivamente competenze ed esperienza.