Pianificare è il cuore della gestione delle risorse umane in situazioni di emergenza. In particolare, pianificare per tempo aiuta a garantire la continuità delle attività aziendali, con le persone giuste al posto giusto, nei tempi giusti e con la resa giusta. Pensarci a monte infatti, e non in piena emergenza, può dare un vantaggio competitivo non trovandosi scoperti all’improvviso, per esempio a causa di una catastrofe naturale, di un blackout o di una repentina successione ai vertici. Sicuramente oggi disporre di un sistema di Human Capital Management (HCM), con accessibilità sempre e ovunque, può aiutare la ripartizione in tempi brevi delle risorse disponibili, non solo a livello locale, ma anche regionale e globale. Tuttavia, le tecnologie da sole non bastano a garantire la massima efficacia della redistribuzione dei compiti in emergenza. A monte, serve una strategia HR di monitoraggio, tracciamento e valorizzazione delle competenze interne, come suggerisce in questa intervista Chiara Bersano, Global HR Value Advisory Services in SAP, con esperienze precedenti alla direzione di sistemi HR globali di grandi aziende come Philip Morris e Nestlé. Di formazione ingegneristica all’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, Chiara Bersano insegna nei master HR di Istud presso l’Università Cattolica di Milano e dell’École de Management di Grenoble.
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Come si gestisce un’emergenza dal punto di vista delle risorse umane?
Per prima cosa bisogna pianificare per tempo la forza lavoro, sia quella interna, sia quella che potrebbe servire dal mercato del lavoro. Sapere in anticipo che risorse si hanno, e quali potrebbero essere utili, favorisce al momento opportuno una mobilità tempestiva per garantire continuità al business. Come seconda azione, bisogna mantenere un filo diretto con i collaboratori, che sono sottoposti allo stress del cambiamento. Possono infatti essere dislocati in altre unità o, come di recente con l’emergenza sanitaria, essere costretti a lavorare da casa.
Lei dice di pianificare per tempo la workforce, ma oggi i sistemi non permettono rimodulazioni in tempo reale?
Oggi sono senz’altro disponibili sistemi che possono simulare scenari diversissimi tra loro e proporre in tempo reale combinazioni diverse, a seconda dei parametri di scarsità, disponibilità e necessità che inseriamo nel nostro sistema. Ma come sempre accade quando si tratta di dispositivi automatizzabili, l’attendibilità e l’efficacia del sistema dipendono molto dalle informazioni che gli forniamo, dal dato che gli diamo in pasto da elaborare. Per questo, perché i sistemi diano risposte funzionali a ciò di cui abbiamo bisogno, è necessario disporre di una mappatura precisa e costantemente aggiornata delle competenze tecniche, relazionali e manageriali presenti in azienda. In aggiunta, aver già individuato le figure chiave a presidio dei processi critici può davvero dare una marcia in più in caso di forte discontinuità, perché si sa già su chi contare. La gestione delle risorse umane, insomma, richiede di essere sempre in grado di giocare d’anticipo per non farsi trovare impreparati nelle criticità.
Immagino le grandi aziende siano già pronte, e le PMI?
Non creda sia così scontato neppure nelle grandi aziende. La gestione delle risorse umane con un approccio strategico, sapendo esattamente quali siano le forze in campo, in pratica chi fa cosa e perché, e come redistribuirle nelle varie circostanze, richiede un approccio culturale che non è ancora consolidato in tutte le organizzazioni. Questo approccio servirebbe anche per essere veloci a rintracciare sul mercato le skill che mancano (avendone chiara l’esigenza e l’indisponibilità interna) e che magari, all’improvviso, servono in gran numero. Amazon, per esempio, ha assunto 175.000 persone negli ultimi due mesi per rispondere all’incremento di acquisti online (anche il titolo è volato – ndr). Quanto alle PMI, spesso si spaventano perché considerano inaccessibili i sistemi integrati di HCM per l’analisi delle competenze, la valutazione delle performance, il monitoraggio e lo sviluppo delle risorse, la gestione della mobilità interna e delle successioni. Ma oggi le piattaforme HR sono modulabili e scalabili nelle loro applicazioni ed è possibile accedervi in modo sostenibile grazie al cloud, in base alle proprie necessità, dimensioni e budget. Certo è fondamentale, ancora una volta, per prima cosa, comprendere i bisogni tecnologici di ciascuna realtà aziendale.
In pratica, più l’analisi e il monitoraggio sono puntuali più la pianificazione e la gestione delle risorse diventa efficace nell’emergenza?
Esattamente, pensi a grandi aziende con migliaia di dipendenti dislocati in diversi uffici, stabilimenti e anche in nazioni diverse. Più si è pronti e meglio è, seguendo la regola aurea della semplicità. Il mio consiglio è, già partendo dall’analisi delle competenze, di scegliere modelli che ne contemplino una dozzina al massimo, ossia quelle competenze che riflettono le priorità delle diverse culture aziendali. I modelli, invece, che misurano un numero più esteso di competenze, fino a 90 in certi casi, e le combinano tra loro in modo verticale e orizzontale, diventano difficili da gestire sia per il responsabile sia per il collaboratore, quando gli sia richiesto di auto-valutarsi. Lo stesso vale per l’analisi delle performance: meglio definirle su pochi e chiari parametri per non creare confusione e disporre, alla fine, di un profilo quali-quantitativo del dipendente che, in caso di richiesta, corrisponda ai criteri del sistema con un margine minimo di errore.
Che ruolo giocherà l’Intelligenza artificiale nella gestione delle risorse umane?
Di sicuro l’Intelligenza Artificiale aiuterà sempre più a profilare le risorse, anche negli aspetti più qualitativi. Oltre all’interpretazione semantica di un testo, infatti, il software arriverà a coglierne i sentimenti, le emozioni che trasuda. Questa almeno è la direzione della ricerca e, se sarà utile per il marketing, perché non esserlo anche per l’HR e il suo cliente interno, le persone? A patto di avere sempre chiaro su che elementi sia costruito l’algoritmo che elabora il dato, perché è ormai risaputo che neppure gli algoritmi sono oggettivi e neutrali, ma portano con sé i bias inseriti nei criteri di elaborazione e nel database di informazioni da cui si parte. Per questo sarà sempre richiesta un’attenzione e una supervisione estrema all’uomo, che deve vigilare prima di fare scelte sbagliate, sia rispetto alle persone, sia rispetto agli obiettivi di business dell’azienda. Consiglio a questo proposito il libro della ricercatrice del MIT Cathy O’Neil, “Armi di distruzione matematica. Come i big data aumentano la disuguaglianza e minacciano la democrazia” (Bompiani editore).
All’inizio suggeriva di mantenere un filo diretto con le persone che vivono l’emergenza, come?
Sì, suggerisco di mantenere contatti regolari, sfruttando varie tecnologie come la telefonia, ma anche piattaforme di interazione e collaborazione video e chat, anche solo per discutere del più e del meno. Pensi allo Smart Working massiccio e continuativo di questi mesi, in cui si è persa la visibilità reciproca: i dipendenti si sono sentiti isolati dall’organizzazione e il responsabile non vedeva, non sapeva davvero come stesse il proprio collaboratore. La vecchia buona regola di chiamare mi sembra sensata. In più, suggerisco il ricorso ai quei sistemi di feedback veloci, con poche domande ma frequenti, a conclusione di una riunione, di una videoconferenza o nei vari stadi di avanzamento di un progetto. È un modo per l’azienda per avere un colpo d’occhio anonimo e aggregato sul clima aziendale e tenerne conto nelle proprie azioni e decisioni. D’altronde, la logica dei feedback rapidi e frequenti ha già preso piede nelle imprese globali che hanno il personale dislocato geograficamente. In questi casi, infatti, la chiacchiera al caffè, potente rivelatrice degli umori di un’organizzazione, non è più gestibile centralmente. E allora è sempre bene chiedere alle persone come stanno, sia direttamente sia tramite queste survey a conclusione di una condivisione. In fondo, come consumatori ci stiamo abituando a gestire queste richieste sul livello di gradimento di un servizio. Ci abitueremo anche nella nostra “employee experience” a dare feedback sui servizi ricevuti. E il management ad ascoltarli.