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Skill gap, quanto costa il divario di competenze al sistema-Paese



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Un’indagine di BCG ha rilevato che, nel mondo, più di 1,3 miliardi di persone attualmente svolgono lavori per i quali sono poco o troppo qualificate. Inoltre la mancanza di capabilties e lo scollamento tra domanda e offerta incidono ogni anno di più sul PIL globale. Ecco le strategie per colmare questa discrepanza

Aggiornato il 27 set 2024



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Lo skill gap minaccia la crescita globale, non solo economica ma anche sociale e personale. Il divario delle competenze e il mancato incontro tra domanda e offerta di competenze sul mercato (skill mismatch) sono problematiche intrinseche al mercato del lavoro stesso, ma sicuramente sono balzate alla luce con l’avanzare della digitalizzazione. Questa richiede skill quanto mai specialistiche e, soprattutto, in costante evoluzione per tenere il passo con i progressi tecnologici.

Che cosa è lo skill gap

Lo skill gap (o skills gap) è l’assenza di risorse dotate di competenze adeguate per svolgere un determinato lavoro.

Altrettanto temibile è lo skill mismatch: i lavoratori ci sono, ma a causa dell’evoluzione delle tecniche e dei mezzi le loro competenze non sono più adatte. Oppure l’offerta di competenze sul mercato non corrisponde alla domanda: per esempio, le aziende cercano data scientist, sviluppatori di app e esperti di statistica, ma la maggior parte dei laureati non segue percorsi di studio nelle materie tecnico-scientifiche (STEM).

Il costo della mancanza di competenze

Lo skill gap ha ricadute economiche pesanti che la pandemia di Covid-19 ha esacerbato. Stando a quando emerso dalla ricerca di  BCG Alleviating the Heavy Toll of the Global Skills Mismatch, in tutto il mondo, più di 1,3 miliardi di persone attualmente svolgono lavori per i quali sono poco o troppo qualificati, Secondo il WEF, sei lavoratori su 10 avranno bisogno di essere riqualificati entro del 2027.

Più aumenta lo skill mismatch e peggiore diventa la prestazione di un Paese: la relazione con innovazione, produttività e sviluppo sostenibile è inversa. La pandemia ha aggravato l’impatto: il processo di digitalizzazione e di automazione è accelerato e mette ulteriore pressione sul sistema formativo perché tenga il passo.

I settori in cui lo skill gap pesa di più

Secondo lo studio Global Talent Shortage 2024 di ManPowerGroup, i settori che nell’anno in corso stanno riscontrando maggiori difficoltà nel reperire personale qualificato sono:

  • Sanità e scienze della vita: 77%
  • Beni di consumo e servizi: 76%
  • Tecnologia dell’informazione: 76%
  • Logistica: 76%
  • Industria e materiali: 75%
  • Servizi di comunicazione: 73%
  • Finanza e immobili: 72%
  • Energia: 71%

Skill gap, come si colloca l’Italia

Secondo i dati della ricerca 2024 dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, in Italia il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è dovuto principalmente alla carenza di persone con le giuste competenze tecniche (57%) e soft (36%).

Secondo il rapporto sul Decennio Digitale 2024 solo il 45,8% della popolazione possiede competenze digitali di base, un dato che posiziona il Paese al di sotto della media UE del 55,6%.

A confermarlo sono anche i dati forniti dal Digital Economy and Society Index (DESI), secondo cui l’Italia si colloca al 18º posto su 27 Paesi europei per quanto riguarda le competenze digitali: una situazione che oltre a compromettere la competitività, produce un impatto negativo sull’occupazione.

Le strategie per colmare il divario

Occorre, quindi, accelerare nella formazione di competenze digitali avanzate a tutti i livelli. Si va dalla formazione universitaria specialistica e degli ITS alla ricerca, sviluppo e innovazione, alla cultura digitale nei corsi accademici, fino alle iniziative di upskilling e reskilling delle professioni ICT più tradizionali e in phase-out. Ciò consente di rendere cultura e competenze digitali un efficace fondamento della competitività del sistema formativo ed imprenditoriale italiano.

Negli Stati Uniti uno studio pubblicato dalla Society for Human Resource Management (SHRM) individua alcune strategie per ridurre il divario di competenze. Tra queste c’è la ricerca di talenti in bacini solitamente inesplorati. Per esempio, lavoratori meno giovani, che spesso hanno alle spalle anni di esperienza e un ricco bagaglio di skill; lavoratori diversamente abili; e talenti esteri.

È importante anche cambiare la mentalità e le pratiche dell’HR e dei recruiter. I CV vanno letti con occhio più attento alle specifiche skill cercate ma anche alle soft skill. Per conoscere il candidato sono utili presentazioni e colloqui via video. Il concetto di diversity va ampliato: non c’è solo la diseguaglianza di genere o di etnia, ma anche quella socioeconomica, per esempio. Occorrono attività di formazione per i recruiter, non solo per il personale.

Secondo BCG, le policy aziendali e governative che possono attenuare gli impatti dello skill gap poggiano su sette “mattoni”: la presenza di skill di base, l’implementazione di iniziative di lifelong employability (non si smette di studiare, imparare e aggiornarsi), l’auto-realizzazione del lavoratore, un’analisi delle risorse umane che sia centrata su bisogni, abilità e talenti della forza lavoro, l’accessibilità delle offerte, la skill liquidity, che favorisce l’accesso anche da aree diverse e lontane (attraverso, ad esempio, il lavoro da remoto), e l’apertura all’inclusività. Sono sia parametri di valutazione che possibili settori su cui intervenire.

Chi se ne deve occupare? La Strategia Nazionale

Chi ha il compito di sanare lo skill gap, le imprese o i governi? Secondo un’analisi di Harvard Business School le aziende, soprattutto le “leader”, devono farsi portatrici di un sistema di sviluppo delle competenze guidato dai datori di lavoro caratterizzato da “rigore e disciplina”. Tuttavia, per creare delle talent pipeline veramente robuste servono alleanze pubblico-private. È fondamentale che imprese, governi e mondo della formazione si affianchino per gestire e sanare in modo efficace il divario delle competenze.

In Italia il Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione ha firmato a luglio 2020 il decreto di adozione della Strategia Nazionale per le Competenze Digitali. Nata da un tavolo di lavoro multi-stakeholder (Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Università, istituti di ricerca, imprese, professionisti, Rai, associazioni e varie articolazioni del settore pubblico, e organizzazioni aderenti alla Coalizione Nazionale), la strategia si prefigge quattro obiettivi: combattere il divario digitale, sostenere lo sviluppo delle competenze digitali lungo i cicli di istruzione, promuovere lo sviluppo delle competenze chiave per il futuro e garantire a tutta la popolazione la possibilità di acquisirle.

Lo skill gap non riguarda solo le competenze tecniche

Non sono solo le competenze tecniche ad essere sempre più richieste. Le abilità cognitive come la risoluzione dei problemi e il pensiero creativo, l’ascolto attivo stanno effettivamente crescendo di importanza sempre più rapidamente. Con l’accelerazione del ritmo del cambiamento, le aziende devono rimanere agili. Pochi avrebbero potuto prevedere il complesso panorama del lavoro di oggi.

Intelligenza Artificiale e skill gap: come muoversi

Di tutti i macrotrend che guidano la trasformazione aziendale, l’adozione di nuove tecnologie come l’Intelligenza Artificiale è la più influente, e si prevede che guiderà i cambiamenti in oltre l’86% delle organizzazioni, secondo il Future of Jobs Report 2023 del WEF.   

Gli executive coinvolti in Augmented work for an automated, AI-driven world, un sondaggio condotto da IBM, stimano che entro i prossimi tre anni, il 40% della loro forza lavoro dovrà necessariemnte riqualificarsi per poter acquisire le skill necessarie all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale e una più generale automazione dei processi. Ma di quale tipo di riqualificazione stiamo parlando? In media, l’87% dei dirigenti si aspetta che i ruoli lavorativi vengano potenziati, piuttosto che sostituiti, dall’Intelligenza Artificiale Generativa. Questa percentuale sale a circa tre quarti nel Marketing (73%) e nel servizio clienti (77%), e supera il 90% nella gestione degli approvvigionamenti (97%), nel rischio e conformità (93%) e nella finanza (93%).

In questo senso, i leader devono iniziare a vedere la riqualificazione come un’iniziativa di gestione del cambiamento organizzativo, che non solo prepara la forza lavoro a un cambiamento duraturo, ma fornisce anche le competenze necessarie per prosperare in un mercato del lavoro in rapida evoluzione. Questa trasformazione va ben oltre la semplice formazione dei dipendenti (per cui, comunque, si stima che le piattaforme di apprendimento online cresceranno del 19% nei prossimi quattro anni). Diventa fondamentale creare un contesto organizzativo che coinvolga la leadership, i manager e i dipendenti, in modo che la riqualificazione sia pienamente accolta e massimizzi il successo dell’organizzazione. Adottando un simile approccio, si potrebbero creare nuove opportunità per ruoli meglio retribuiti e più qualificati.

Nel nostro Paese, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio HR 2024, le aziende stanno quindi iniziando a investire nei talenti in ambito Intelligenza Artificiale: il 54% cerca profili in questo campo (+25% rispetto al 2023) e il 62% ha iniziato a sperimentare soluzioni di AI Generativa a supporto delle attività lavorative, anche se solo il 12% con una guida diretta da parte dell’organizzazione e linee guida sull’utilizzo.

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