Fatica a decollare un succession management efficace, in Italia come all’estero. Ancora troppo spesso le aziende si trovano impreparate a gestire i cambi ai vertici e, nell’emergenza, ricorrono al mercato, sprecando risorse interne che potrebbero evitare vuoti di leadership e aiuterebbero l’engagement e la retention dei migliori. Certo, a patto di individuare per tempo i potenziali successori e accompagnarli con la dovuta preparazione alla posizione futura.
Invece, nelle aziende tra i 500 e i 50mila dipendenti intervistate in 54 Paesi da Korn Ferry, società di executive search e consulenza di leadership e talent management, solo un terzo degli executive può dirsi soddisfatto dei programmi di successione adottati internamente. Mentre, su mille rispondenti, un altro terzo è totalmente insoddisfatto e i restanti non si pronunciano.
È inoltre interessante notare che, nella maggior parte dei casi, il candidato alla fine viene pescato dal mercato, anche se come giusto mix di recruitment vengono indicati due terzi dall’interno e un terzo dall’esterno, con l’eccezione di particolari necessità, come nel caso delle start up. D’altronde, neanche un quarto delle aziende del campione ritiene di avere personale pronto a sostituire l’improvvisa fuoriuscita di top manager, carenza che non viene neppure percepita come rischio di perdere potenziali successori non abbastanza valorizzati (per oltre la metà il rischio è sottovalutato nella propria azienda).
Altri rischi immediati di una cattiva gestione di piani di successione sono di non nominare la persona giusta quando si è nell’emergenza, con costi ulteriori per l’azienda, e di non assicurarsi continuità strategica né il trasferimento del know-how aziendale dovendo ricorrere all’esterno, a meno che non sia proprio voluta una forte discontinuità.
Ma quali sono i punti deboli dei piani di successione adottati dalle imprese secondo la ricerca? In primo luogo il disallineamento tra piani di successione e strategie aziendali, per cui al momento buono mancherebbe il successore. Solo meno di un quarto ritiene infatti di avere una valida lista di candidati “pronti subito” per gestire l’azienda e, in generale, si dispone di meno del 10% dei potenziali candidati per i ruoli chiave dell’impresa.
«Spesso i programmi di succession management falliscono perché si rivelano statici», commenta R.J. Heckman, Presidente di Korn Ferry Leadership and Talent Consulting. «Devono saper guardare più avanti rispetto al momento in cui si presenta la necessità legata al business o alla selezione di talenti di terminate professionalità e creare un approccio sistemico alla gestione della successione aziendale, più agile ma soprattutto permanente». In pratica, non bisogna ricordarsene solo in emergenza, ma pianificare nel tempo la successione dei ruoli chiave, coinvolgendo anche la seconda e terza generazione di dipendenti, privilegiando determinate competenze e soft skill e investendo nel tempo.
In secondo luogo, per il 78% dei capi intervistati vengono coinvolte solo le fasce più alte nei programmi di successione (executive e vicepresident) , rischiando di non far emergere potenziali nella fascia dei middle manager (inclusi solo dal 38%) e tantomeno tra i professional con forte know-how aziendale, coinvolti solo dal 13% del campione. Un terzo errore è che, alla fine, i programmi di sviluppo dei talenti spesso non sono collegati ai piani di successione, con uno scollamento tra le posizioni che vengono ad aprirsi e la valorizzazione delle risorse interne. «Purtroppo succede che molte aziende falliscano nell’allineamento dei propri programmi di gestione del talento con quelli di successione», commenta Maurizia Villa, Managing Director di Korn Ferry in Italia, «Capita spesso che, nonostante l’azienda abbia messo in atto degli strumenti per lo sviluppo e il riconoscimento del talento, quando si presentano delle occasioni di promozione si rivolga all’esterno della organizzazione per trovare i manager per quelle posizioni».
Una via da percorrere per invertire il trend potrebbe essere, secondo Korn Ferry, valutare i potenziali a lungo termine, individuare le competenze critiche per l’azienda e collegare i programmi di sviluppo dei talenti con la strategia aziendale e quelli che saranno i leader di domani.