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Lo Smart Working in Italia dal 2018 a oggi nelle ricerche dell’Osservatorio Polimi

Da circa 480mila smart worker registrati nel 2018 ai 5,37 milioni di marzo 2021. In soli tre anni il numero dei lavoratori agili è cresciuto in modo imprevedibile, complice la pandemia, e tante abitudini ed esigenze lavorative sono cambiate. A condividere uno spaccato puntuale sull’argomento ogni anno ci pensa l’Osservatorio Smart Working. Ripercorriamo insieme le tappe salienti

Pubblicato il 04 Mag 2022

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Già ben prima della pandemia gli Osservatori Digitali del Politecnico di Milano avevano rivolto una parte della propria ricerca al tema dello Smart Working in Italia. “Nel 2015 il 17% delle grandi imprese italiane ha già avviato dei progetti organici di Smart Working, introducendo in modo strutturato nuovi strumenti digitali, policy organizzative, comportamenti manageriali e nuovi layout fisici degli spazi (lo scorso anno erano l’8%). A queste si aggiunge il 14% di grandi imprese che sono in fase “esplorativa”, si leggeva nella nota stampa dell’Osservatorio Smart Working 2015. Da allora sono passati quasi sette anni, nei quali il fenomeno dello Smart Working è stato puntualmente analizzato connettendolo al contesto socio-economico del momento e fino a diventare oggi, complice l’emergenza sanitaria, un protagonista poiché fortemente legato ai temi della sostenibilità sociale, ambientale ed economica e al benessere della persona.

Durante la fase più acuta dell’emergenza, come ha rilevato la ricerca dell’Osservatorio Smart Working 2020, il lavoro agile in Italia ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, un numero oltre dieci volte più alto rispetto ai 570mila censiti nel 2019. A marzo 2021, a un anno dal primo lockdown, l’Osservatorio ha stimato che erano 5,37 milioni gli smart worker italiani, di cui 1,95 milioni nelle grandi imprese, 830mila nelle PMI, 1,15 milioni nelle microimprese e 1,44 milioni nella PA. Nel secondo trimestre il numero ha iniziato progressivamente a diminuire fino a 4,71 milioni, con il calo più consistente nel settore pubblico (1,08 milioni), seguito da microimprese (1,02 milioni), PMI (730mila) e grandi aziende (1,88 milioni). A settembre il numero degli smart worker si è attestato a 4,07 milioni, contando complessivamente 1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle PMI, 810mila nelle microimprese e 860mila nella PA.

Tuttavia, questo graduale rientro in ufficio non segna in generale un declino del lavoro agile, al contrario al termine della pandemia le organizzazioni prevedono un aumento degli smart worker rispetto ai numeri registrati a settembre: nel 2022 saranno, infatti, 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle PMI, 970mila nelle microimprese e 680mila nella PA.

L’evoluzione dello Smart Working in Italia

Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il lavoro agile resterà nell’89% delle grandi aziende e nel 62% delle PA, con formule ibride: in media 3 giornate “agili” nelle prime, 2 nelle seconde. La scelta di proseguire su questa strada è motivata dai benefici riscontrati da lavoratori e aziende, primo fra tutti l’equilibrio fra lavoro e vita privata (segnalato dall’89% delle grandi imprese, dal 55% delle PMI e dall’82% della PA). Risultato questo confermato quando a parlare sono anche le persone: Nel complesso la diffusione dello Smart Working in Italia, seppure emergenziale, ha avuto un impatto positivo sui lavoratori: per il 39% è migliorato il work-life balance, il 38% si sente più efficiente nello svolgimento della sua mansione e il 35% più efficace, secondo il 32% è cresciuta la fiducia fra manager e collaboratori e per il 31% la comunicazione fra colleghi.

Andando indietro negli anni, l’edizione 2020 aveva messo in luce che il 68% dei lavoratori era riuscito da remoto a svolgere tutte le attività, il 29% non era riuscito a svolgerne solo una parte, spesso a causa della mancanza di processi e dati digitalizzati, mentre solo il 3% aveva dichiarato di non essere riuscito a portare avanti la maggior parte delle attività.

Non solo, la maggior parte dei lavoratori aveva detto di aver apprezzato i vantaggi dello Smart Working e di voler continuare a praticarlo anche a regime. A conquistare è stata la crescita di autonomia e la possibilità di dimostrare con i risultati il valore professionale.

Se si guarda alla situazione pre-Covid in Italia, secondo l’Osservatorio il 58% delle grandi imprese aveva già introdotto iniziative concrete. Tra i risultati più interessanti emergeva l’aumento della diffusione dello Smart Working nelle PMI italiane: i progetti strutturati erano passati dall’8% al 12% attuale, quelli informali dal 16% al 18%. Tuttavia, c’era ancora un’ombra: la crescita della percentuale di imprese disinteressate al tema, passata dal 38% al 51%. Anche per la PA erano stati comunque rilevati passi in avanti verso un modello di lavoro “smart”: con un 16% delle pubbliche amministrazioni che aveva progetti strutturati di lavoro agile (nel 2018 era l’8% e nel 2017 il 5%), l’1% iniziative informali e un altro 8% progetti per il 2020.

Secondo la ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano lo Smart Working era quindi già entrato nella quotidianità degli italiani. In tal senso, aveva stimato che i lavoratori agili che avrebbero lavorato almeno in parte da remoto sarebbero stati complessivamente 5,35 milioni, di cui 1,72 milioni nelle grandi imprese, 920mila nelle PMI, 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle PA. Per adattarsi a questa “nuova normalità” del lavoro, il 70% delle grandi imprese aveva previsto di aumentare le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, una su due pensava di modificare gli spazi fisici. Nelle PA saranno introdotti progetti di Smart Working (48%), aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana (47%), rispetto alla giornata media attuale.

Se si guarda al 2019, in Italia c’erano 570mila smart worker (20% in più al 2018), e si riconfermava il trend di crescita registrato negli anni passati. Inoltre, il 76% degli smart worker era soddisfatto del proprio lavoro, contro il 55% degli altri dipendenti. Uno su tre era pienamente coinvolto nella realtà in cui operava, rispetto al 21% di chi lavora in modalità tradizionale. Inoltre, secondo le organizzazioni coinvolte nella ricerca, i principali benefici che scaturivano dall’adozione dello Smart Working erano il miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (46%) e la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti (35%). Una delle cose interessanti da notare è che nel 2019 ancora la gestione degli smart worker presentava secondo i manager anche alcune criticità, in particolare difficoltà nel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nell’utilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attività (26%). In tal senso, la ricerca aveva registrato anche la percezione degli smart worker, che avevano indicato come prima difficoltà la percezione di isolamento (35%), seguita dalle distrazioni esterne (21%), dai problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e dalla barriera tecnologica (11%).

Nel 2018, innanzitutto, era stata stimata una presenza di circa 480mila smart worker, con un aumento del 20% rispetto al 2017, e un’incidenza del 12,6% del totale degli occupati che, in base alla tipologia di attività di lavoro che svolgono, potrebbero fare Smart Working. Il trend di crescita del 2018 era lo specchio della crescente consapevolezza che le aziende stavano acquisendo, alla luce dei benefici che lo Smart Working apporta alle aziende che lo implementano (l’Osservatorio stima un 15% di crescita della produttività), ai lavoratori (miglior equilibrio vita privata-lavoro) e alla collettività, in termini di minore inquinamento dell’aria in virtù della riduzione degli spostamenti. Per quanto riguardava le PMI, l’Osservatorio aveva rilevato una percentuale di progetti strutturati di Smart Working stabile all’8%: si trattava di iniziative basate su almeno due delle leve di progettazione dello Smart Working, ovvero flessibilità di luogo, di orario, ripensamento degli spazi, cultura orientata ai risultati e dotazione tecnologica adeguata per lavorare da remoto. Era emersa, poi, la presenza di un altro 16% che, pur non avendo iniziative strutturate, di fatto aveva implementato informalmente concetti di Smart Working.

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