Flessibilità nell’impiego del proprio tempo e integrazione tra vita privata e lavorativa: sono queste oggi le esigenze più sentite delle persone, una sfida che le aziende italiane, e in particolare le divisioni HR, sono chiamate ad affrontare. È per questo che aumenta l’interesse verso nuovi modelli di lavoro abilitati dalle tecnologie, tra cui lo Smart Working. Si moltiplicano articoli di giornale, servizi televisivi, studi e ricerche sul tema, a dimostrazione di un livello di attenzione crescente che coinvolge non solo le aziende ma anche le istituzioni: è recente l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Disegno di Legge sulle nuove misure per il lavoro autonomo, che contiene nella seconda parte le norme sul lavoro agile. Nel corso di una tavola rotonda organizzata da Digital4Executive in collaborazione con Wind Business, i manager di primarie realtà del panorama economico italiano si sono confrontati su questi temi, raccontando le loro esperienze di lavoro “smart”.
Ad aprire i lavori è intervenuto Emanuele Madini, Associate Partner della società di Advisory P4I – Partners4Innovation e fra i massimi esperti italiani sul tema, che ha delineato i nuovi modelli di organizzazione del lavoro flessibile.
«I confini aziendali diventano sempre più fluidi e le organizzazioni stanno seguendo e inseguendo un’evoluzione che la tecnologia ha già avviato», ha raccontato. «Per fare proprio il paradigma della Work & Life Integration, in cui c’è sovrapposizione tra vita privata e lavorativa, è necessario che le aziende comprendano che i modelli di lavoro innovativi rappresentano un modo per aumentare la produttività: si tratta di un patto equilibrato tra azienda e collaboratori da cui scaturiscono benefici e positività per tutti. In questa partita, i due concetti chiave sono autonomia e responsabilizzazione: è fondamentale che le persone lavorino per obiettivi. A corollario poi ci sono orario di lavoro flessibile, strumenti tecnologici e spazi di nuova concezione, driver in grado di accelerare un cambiamento che è soprattutto culturale». Proprio la forte rigidità dei modelli e dell’organizzazione del lavoro sono le principali cause per cui l’Italia accusa un forte ritardo rispetto al resto dell’Europa in termini di produttività personale.
Per Fabiano Pinto, Head of Business Market Development di Wind, sono però tangibili i segnali che qualcosa sta cambiando e che la macchina della trasformazione si è messa in moto. «La nuova generazione è abituata a lavorare in modo più smart e molte aziende hanno capito che, per essere competitivi, oggi è necessario valorizzare i nuovi talenti», ha sottolineato il manager dell’azienda guidata da Maximo Ibarra. Nell’integrazione tra vita privata e lavorativa, la tecnologia gioca un ruolo primario. «È necessario e strategico avere una vision complessiva e creare le migliori condizioni lavorative per contribuire al business rispettando, al contempo, le esigenze specifiche dell’individuo». Per garantire più flessibilità alle persone è però necessario distinguere fra due mondi: da un lato c’è quello aziendale, con rigide policy di sicurezza a tutela dei dati sensibili, e dall’altro quello personale, che sempre più coincide con la sfera dei Social Network. «E questo vale sia per i dispositivi (pc, smartphone, tablet) sia per la connettività: oggi è possibile tenere “separato” – attraverso la presenza di due APN sulla stessa SIM – l’uso lavorativo da quello privato. Ciò garantisce all’azienda di avere il pieno controllo dei costi e, contemporaneamente, alle persone di essere più libere nell’utilizzare le applicazioni preferite».
In questo modo si evitano inoltre i problemi legati al superamento delle soglie di traffico, che possono causare la riduzione della velocità di navigazione o, addirittura, il blocco del telefono, anche nei momenti meno opportuni: è il caso, ad esempio, di un venditore in presenza del cliente mentre sta negoziando un contratto.
Ci sono realtà che stanno già sperimentando forme di lavoro che favoriscono l’integrazione tra vita lavorativa e privata. È il caso di Pfizer, che da quattro anni consente a circa il 30% dei dipendenti di lavorare da casa un numero prefissato di giorni a settimana, secondo accordi ben precisi presi con i sindacati. A raccontarlo è Giorgio Longo, Manager del Dipartimento di Business Technology nonché delegato RSU per la FILCTEM-CGIL di Pfizer Italia: «I nostri colleghi del Nord Europa fanno Smart Working da anni. Da noi quest’onda è arrivata un po’ in ritardo, ma l’IT in questo senso aiuta. Il vero punto di forza del nostro progetto è, infatti, la maturità della tecnologia che abbiamo adottato a livello globale, che ci permette di svolgere il nostro lavoro ovunque ci troviamo nel mondo. Pc portatili, smartphone e infrastruttura ci consentono di duplicare in qualunque momento e da qualsiasi posto la scrivania sul computer». Se la tecnologia non pone ostacoli, ma anzi rappresenta un fattore abilitante, in Italia il vero limite è quello culturale. Come sottolinea Longo, «la cosa più complessa del progetto è stata far accettare al management l’idea che non avevano più il controllo visivo delle persone. Per questo il percorso è stato graduale: siamo partiti con un pilota su 10 persone, ne abbiamo misurato i risultati e abbiamo chiesto i feedback ai manager». Nel prossimo futuro il progetto prevede di ampliare il raggio d’azione dello Smart Working, andando verso modelli più avanzati, «e per superare lo scetticismo del gruppo dirigenziale proporremo alla Direzione Aziendale una serie di iniziative culturali, come workshop e webinar, volte alla sensibilizzazione e alla formazione dei people manager», conclude.
Come abbiamo raccontato (leggi qui l’intervista), anche BNL ha intrapreso un progetto di Smart Working. Luciano Settembrini, Organizzazione Processi e Sistemi Application Maintenance, ha raccontato la sua esperienza: «È iniziata a luglio del 2015 e ritengo il progetto molto interessante. In ufficio, grazie alla tecnologia e al nuovo concetto di Smart Spaces (desk sharing), la mia giornata lavorativa è stata sicuramente “diversa”, direi più dinamica per certi aspetti, con la possibilità di collaborare in modo immediato e facile con altri colleghi affiancandoli (grazie a Laptop e WiFi) senza dover per forza prenotare sale riunioni o dover cercare un punto LAN per collegarsi. Con le chat e videochat ho sperimentato un modo nuovo e più rapido per contatti con colleghi distanti, evitando le mail e ricevendo invece risposte in tempo reale. Ho trovato utili, in termini di isolamento e concentrazione, anche gli spazi più riservati previsti in alcune zone degli open space. Da casa, invece, con la modalità Flexible Working una volta a settimana ho utilizzato gli strumenti IT idonei (Laptop, smartphone, VPN, chat) e organizzato il mio lavoro per obiettivi riuscendo a bilanciare al meglio gli impegni lavorativi con esigenze personali e della famiglia, dedicando a questa un tempo qualitativamente migliore senza dovermi, ad esempio, spostare tra ufficio e casa, subendo i classici problemi del quotidiano in una grande città. Credo che il Flexible Work sia soprattutto un progetto di change management, che porterà ognuno di noi, manager in primis, ad un evoluzione culturale. Sono convinto che BNL stia realizzando un progetto molto valido per le persone e anche per indubbi impatti sociali e ambientali. Spero che sempre più colleghi possano essere coinvolti e aderiscano».
In Banca D’Italia la leva è stata la ricerca di nuovi modi di lavorare per garantire una maggiore efficienza e flessibilità. «Abbiamo cominciato a prendere in considerazione modalità di accesso da remoto ad alcune applicazioni nel 2005 con l’introduzione dell’utilizzo dei certificati digitali nei processi aziendali», ha raccontato Fabio Bolognesi, Responsabile della Divisione Analisi sistemi operativi e procedure del Servizio Organizzazione della Banca. «Da allora abbiamo completamente dematerializzato, con il ricorso alla firma digitale, la corrispondenza ufficiale e introdotto, nello stesso ambito, la firma remota». Con le recenti ristrutturazioni organizzative l’Istituto ha varato, all’interno di un nuovo quadro regolamentare, il telelavoro, oggi utilizzato da oltre cento dipendenti. «Inoltre abbiamo riformato il sistema dell’orario, con l’obiettivo di coniugare le esigenze delle persone con gli obiettivi aziendali di maggiore flessibilità ed efficienza nelle prestazioni. Nel prossimo mese di luglio, poi, entrerà in vigore, con la riforma delle carriere, un nuovo sistema per gli inquadramenti che pone l’enfasi sui temi della responsabilizzazione e del lavoro per obiettivi, valorizzando il loro legame con il sistema premiante a scapito degli automatismi nelle progressioni di ruolo ed economica». Dal punto di vista degli strumenti tecnologici adottati, la Banca ha previsto diversi livelli di accesso da remoto ai sistemi informativi: dal semplice utilizzo di password e OTP per le applicazioni contenti informazioni di carattere generale di interesse del personale, ai pc portatili aziendali corredati con strumenti di cifratura degli hard disk e software per l’accesso sicuro, ai sistemi operativi. Ai dipendenti sono assegnati, in relazione alle mansioni svolte, dispositivi BlackBerry o iPad aziendali; è inoltre possibile accedere alla mail di ufficio con il paradigma Bring Your Own Device (BYOD).
Infine, è in programma la sostituzione di circa il 50% delle postazioni fisse con pc portatili in modalità desktop replacement, affinché risultino incentivate forme di lavoro smart da qualsiasi punto della Banca e anche fuori di essa tramite extranet. «La massima attenzione ai profili di sicurezza nell’accesso alle informazioni, e la conseguente differenziazione degli strumenti, derivano dalla natura stessa dell’Istituto che in quanto banca centrale fa dell’informazione, in molti casi di natura riservata, l’input e allo stesso tempo l’output dei propri processi di lavoro».
In definitiva, l’approccio della Banca al tema dello Smart Working, per il quale sono in corso gli opportuni approfondimenti, si inquadra in un percorso evolutivo che si è sviluppato negli anni attraverso l’innovazione nelle tecnologie ICT, la dematerializzazione e semplificazione dei processi di lavoro, la riforma dell’orario di lavoro nell’ottica della flessibilità delle prestazioni, il maggior rilievo conferito al conseguimento degli obiettivi e ai profili di responsabilità associati ai diversi ruoli.
Ci sono casi in cui sperimentare nuove forme di lavoro diventa l’occasione per rivedere completamente la sua organizzazione. Ne è un esempio Trenitalia, per cui fare Smart Working vuol dire cambiare modo di pensare. Secondo Lucio D’Accolti, Responsabile Servizi Territoriali e Infrastrutture – Direzione Sistemi Informativi, «rappresenta un cambiamento radicale rispetto alla “quotidianità” lavorativa. Noi oggi gestiamo in modo “smart” la quasi totalità della forza lavoro, con particolare attenzione al personale di bordo macchina». L’azienda – partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato Italiane e a cui oggi fanno capo circa 35mila persone – ha puntato quindi sul lavoro in mobilità, anche in un’ottica green: «Sono 16.000 i tablet dati in dotazione al personale che guida il treno, i macchinisti, e al personale addetto al controllo biglietti a bordo. Con i tablet dei macchinisti, circa 9.000, siamo riusciti ad azzerare l’utilizzo della carta, arrivando a eliminare fino a 12 kg di carta che ognuno di essi portava quotidianamente con sè».
Gli addetti alla manutenzione utilizzano dei palmari industriali per attività essenzialmente legate alla gestione del magazzino. È in fase di implementazione un nuovo prodotto per la manutenzione predittiva che utilizzerà dei tablet “on field“. Il sistema permetterà di spostare la manutenzione dei rotabili con la logica on demand piuttosto che programmata, ovvero quando serve e non a tempi definiti, mentre i tablet saranno adottati per migliorare le prestazioni delle operazioni svolte, ad esempio nella riduzione del rischio di errore quando i dati sono raccolti nei pressi del luogo dove si sta facendo l’intervento. «Quasi tutta la nostra forza lavoro utilizza questi device aziendali, il cui impiego è strettamente legato all’ambito lavorativo e prevede identificazione con username e password», sottolinea D’Accolti. «Questo da un lato tutela noi dal punto di vista della sicurezza, ma dall’altro consente ai dipendenti di avere in sostituzione un nuovo tablet qualora quello in uso si rompa, con le medesime funzionalità del precedente grazie al Mobile Device Management (MDM), che ha anche il pregio di tenere costantemente aggiornati tutti i device mobili». Nei prossimi due anni l’azienda ha in programma di introdurre altri 5mila tablet.