Il Jobs Act sul lavoro autonomo che disciplina il Lavoro Agile in Italia è stato finalmente approvato in Senato. Il provvedimento è passato con 158 sì, 9 no e 45 astenuti. Il decreto di legge n. 2233-B diventa così effettivo dopo quasi 15 mesi dal varo in Consiglio dei ministri.
«Questo è un passo avanti per la diffusione dello Smart Working in Italia», commenta Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management Politecnico di Milano. E continua sottolineando che «sebbene non consenta di fare qualcosa in più rispetto a prima (alcune aziende già lo praticano da anni, ne sono un esempio Barilla, Philip, Vodafone, Sisal, e il comune di Milano lo promuove con la Settimana del lavoro agile, a maggio), né tantomeno definisca obblighi di attuazione o incentivi, il testo enuncia principi e promuove diritti di grande valore, eliminando gli alibi di chi riteneva mancasse l’adeguato supporto normativo per il Lavoro Agile. Oggi in Italia lo Smart Working si può e si deve fare. L’auspicio è che si possa diffondere in modo più capillare e profondo».
Il decreto di legge (ddl) “promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte all’esterno entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”, come specifica il testo dell’articolo di legge.
«La legge rappresenta un buon punto di riferimento e non va assolutamente vista come “debole” – prosegue Corso -. Enuncia alcuni principi fondamentali, come la possibilità di lavorare in modo flessibile rispetto al luogo e all’orario attraverso l’uso delle tecnologie digitali, con effetti positivi sia nel lavoro che nel work-life balance. Importante anche l’attenzione alla sicurezza del lavoratore agile e il diritto alla disconnessione».
L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto “ai fini della regolarità amministrativa e della prova”. Inoltre, il lavoratore ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le stesse mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. L’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato. Il recesso è ammesso, nell’ipotesi di giustificato motivo, anche per l’accordo a termine. Inoltre il datore di lavoro deve garantire la salute e la sicurezza del prestatore di lavoro agile e consegnare al dipendente, nonché al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta, in cui siano individuati i rischi generali e quelli specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Non è prevista una sanzione specifica per il mancato rispetto dell’obbligo. Il lavoratore ha, poi, diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali. Inoltre, è prevista la definizione dei tempi di riposo del lavoratore nonché delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.
Secondo Emanuele Madini, Associate Partner di P4i – Partners4Innovation, «adesso è importante non limitarsi però solo all’applicazione didattica della norma, è necessario infatti affrontare questo tipo di cambiamento con maturità e consapevolezza delle potenzialità che lo Smart Working può offrire a Manager e collaboratori per ripensare e ridisegnare le relazioni, i processi e le modalità di lavoro quotidiane. Tutto questo indipendentemente dal fatto che si svolgano a casa o in ufficio. Per questo motivo le imprese dovranno porre molta attenzione alle fasi iniziali di analisi e comprensione delle esigenze lavorative delle proprie persone e alla definizione di percorsi di supporto e formazione, che consentano ai capi di sviluppare nuovi stili di management e alle persone di acquisire nuove digital soft skills per un utilizzo più avanzato e consapevole delle nuove tecnologie digitali».
Secondo la ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano sono già circa 250 mila in Italia gli Smart Workers, cioè i lavoratori subordinati che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti. E sono già ben il 30% le grandi imprese che hanno avviato progetti di Smart Working. A fronte dei benefici concreti riscontrati e del favore dei lavoratori, molte di queste stanno oggi ulteriormente estendendo il numero di persone coinvolte e l’intensità di applicazione.
«Tocca ora alle PMI e alle Pubbliche Amministrazioni, rimaste per il momento ai margini del fenomeno, intraprendere questo percorso. Dalla PA negli ultimi mesi sono arrivati segnali incoraggianti. L’approvazione finale del testo di riforma del Pubblico Impiego avvenuta a marzo ha confermato l’obiettivo di arrivare a offrire ad almeno il 10 per cento dei lavoratori forme di flessibilità (Smart Working, ma non solo) entro il 2018. Certamente non basta, ma fanno ben sperare il tentativo concreto avviato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che inizierà a far sperimentare lo Smart Working a 400 persone da novembre 2017 e alcuni bandi pubblici recentemente pubblicati per dare supporto le Pubbliche Amministrazioni che vogliono approcciare questo cambiamento», conclude Corso.