REPORTAGE

Collective workforce: come cambiano approcci, competenze e leadership nell’era dell’Intelligenza Artificiale



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Trend e cinque direttrici strategiche per affrontare la trasformazione del lavoro: dall’employee experience alla valorizzazione delle skill, passando per l’integrazione etica dell’AI e la creazione di contesti sostenibili. Un nuovo modello organizzativo prende forma, capace di rispondere a bisogni emergenti e favorire una cultura del senso, della fiducia e della responsabilità condivisa

Pubblicato il 16 giu 2025



Cambiamento organizzativo

Cosa significa davvero parlare di collective workforce? Quale cultura manageriale serve per orientarsi in un mercato del lavoro attraversato da fratture generazionali, crisi di senso, nuove tecnologie e carenza strutturale di competenze? A queste domande ha provato a rispondere il convegno “Collective Workforce. Gli ecosistemi al centro del cambiamento organizzativo”, promosso dal Top Employers Institute e dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

Un appuntamento ormai consolidato, che anche quest’anno ha posto le basi per un confronto ad alto livello sule sfide principali per le direzioni HR – evoluzione dei modelli delle aziende, nuove forme di engagement, employee experience diffusa e governance dell’intelligenza artificiale – che richiedono un profondo cambiamento organizzativo.

A inaugurare la mattinata, gli interventi di Massimo Begelle, Regional Manager di Top Employers Institute, e Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice, due voci autorevoli e complementari: il primo ha delineato i grandi trend globali, il secondo ha restituito la fotografia – lucida – dello scenario italiano.

Un mondo più complesso, un’organizzazione più collettiva

«Abbiamo scelto un titolo volutamente denso – ha detto Massimo Begelle –. Collective Workforce non è uno slogan: è una visione. Parliamo di un mondo del lavoro sempre più articolato, dove le persone non sono più solo dipendenti o collaboratori, ma parte di un ecosistema che si confronta quotidianamente con complessità esterne e interne».

Un ecosistema, appunto, fatto di diversità generazionali, ruoli ibridi, tecnologie emergenti e nuove forme di relazione.

A partire da questa prospettiva, la ricerca “World of work insights 2025” di Top Employers Institute ha individuato i trend che, secondo Begelle, «rappresentano le coordinate strategiche per costruire organizzazioni sostenibili e inclusive nei prossimi anni».

Cinque trend per costruire il cambiamento organizzativo

Cinque direttrici strategiche per interpretare il cambiamento, non subirlo. È questa la bussola che Top Employers Institute ha consegnato alle imprese attraverso il report. Alla base, una certezza: solo chi saprà evolvere in chiave ecosistemica potrà restare competitivo.

Costruire spazi di lavoro sostenibili

«La speranza di vita è aumentata di 25 anni rispetto al 1950. Oggi convivono fino a cinque generazioni in azienda. Questo non è solo un fatto demografico: è un terremoto organizzativo. Il punto non è gestire il welfare, ma creare un senso condiviso che tenga unite visioni del mondo diverse. Il purpose non può più essere uno slogan corporate: dev’essere un terreno comune su cui costruire l’appartenenza».

Un nuovo senso di appartenenza

«La Generazione Z cambierà lavoro in media 18 volte nella propria vita. Non possiamo più parlare di talent retention in senso tradizionale. Il vero obiettivo è la fidelizzazione, costruire legami che durino anche fuori dal perimetro aziendale. Dobbiamo abilitare carriere fluide, reti professionali, comunità di senso»

Employee experience per tutti

«Serve superare l’asimmetria tra white e blue collar. La nuova frontiera è creare una employee experience equa e personalizzata. Il futuro passa anche dai new collar: profili altamente qualificati, con competenze acquisite fuori dai percorsi accademici canonici. E dalla capacità di costruire leadership capaci di ispirare, non solo di dirigere»

Neuroinclusione

«Il 15-20% della popolazione è neurodivergente, ma spesso non lo dichiara, o è costretta a mascherare per adattarsi. L’inclusione non basta: serve creare contesti realmente capaci di valorizzare le differenze cognitive. Le aziende che investono in D&I con approccio sistemico registrano +35% in innovazione e +40% in impatto sul business».

AI come leva di leadership

«Il 46% delle aziende globali utilizza l’AI almeno in una funzione HR, ma solo il 20% ne misura l’impatto. Questo è un problema. L’Intelligenza Artificiale può essere un potente abilitatore di decisioni e processi, ma solo se accompagnata da una regia etica, strategica e guidata dall’HR».

A che punto è il mondo del lavoro in Italia

Se Begelle ha raccontato la mappa, Mariano Corso ha messo a fuoco le coordinate del presente. E il quadro che emerge dai dati dell’Osservatorio HR Innovation Practice non è incoraggiante.

«Viviamo in un momento di tempesta», ha esordito Corso. «Il malessere dei lavoratori non è passato: è semplicemente cambiato forma. Le dimissioni volontarie restano alte, ma si sta affermando una tendenza ancora più preoccupante: il distacco emotivo. Le persone non lasciano l’azienda, ma smettono di crederci. Rinunciano a cercare alternative. E questo è il segnale più forte di una crisi del senso del lavoro».

Il dato più allarmante? Solo una persona su dieci in Italia si definisce in stato di benessere psicologico, fisico e relazionale. E il livello di engagement resta fermo al 17%. «Si è diffusa una forma di rassegnazione. Un quiet quitting permanente che mina alla base il contratto psicologico tra persona e organizzazione».

Skill-based organization: l’antidoto al mismatch delle competenze

In questo scenario, la risposta non può essere tattica. Serve un cambio di paradigma: «Le imprese che performano meglio sono quelle che adottano un modello organizzativo skill-based – ha spiegato Corso –. Significa rivedere i ruoli in modo fluido, valorizzare le competenze reali, ripensare i processi di recruiting, learning e performance management con al centro il potenziale».

I benefici? Tangibili: minore tasso di dimissioni, benessere doppio rispetto alla media, engagement in crescita. «L’HR deve smettere di essere reattivo: è il momento di diventare designer del cambiamento».

L’intelligenza artificiale è il timone, non il rischio per le aziende

Non poteva mancare un focus sull’AI. Corso è netto: «Oggi si dibatte troppo sul fatto che l’AI sia buona o cattiva. È come se i dinosauri si fossero messi a discutere sul meteorite. L’intelligenza artificiale è già qui. Va compresa, regolata e messa al servizio della strategia organizzativa».

Il 70% delle aziende italiane prevede un incremento degli investimenti in AI nel prossimo anno. «Ma siamo ancora alle prime battute. L’AI può liberare tempo – fino a 50 minuti al giorno per chi la utilizza quotidianamente – e questo tempo può essere reinvestito in produttività o benessere. Sta alla cultura aziendale decidere come utilizzarlo».

Un cambiamento organizzativo profondo richiede visione integrata di persone, competenze e innovazione

Il convegno ha lanciato un messaggio forte e chiaro: il futuro delle organizzazioni passa dalla loro capacità di diventare piattaforme di crescita, benessere e fiducia. Un’impresa collettiva, fondata su connessioni autentiche, scelte coraggiose e leadership consapevoli.

«La partita non si gioca sull’adozione delle tecnologie – ha concluso Corso –. Si gioca sulla capacità di integrare persone, competenze e innovazione dentro una visione evolutiva dell’organizzazione. Chi non saprà navigare questo cambiamento, resterà fuori rotta».

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