Decollano i progetti di cambiamento nelle aziende: una su due ha dovuto modificare il proprio assetto organizzativo negli ultimi tre anni e/o introdurre processi di lavoro più efficaci ed efficienti. Oppure ha dovuto cambiare cultura e strategia per rispondere alle nuove sfide del mercato o all’esigenza, ma anche all’opportunità, di introdurre nuovi paradigmi organizzativi, in cui la tecnologia a volte è input di trasformazione, a volte volano di cambiamento. Passaggi che, sempre, hanno un forte impatto sulla cultura aziendale.
Di questi progetti, tuttavia, pochi arrivano efficacemente a destinazione. Nel 2015 solo l’1% ha raggiunto in pieno gli obiettivi, il 6% è arrivato al 90%, il 22% all’80% e il 30% al 70% dei risultati. Sono aziende che, per lo più, operano a livello multinazionale o globale e per il 40% a livello nazionale. Quasi la metà ha oltre mille dipendenti e un terzo un fatturato superiore al miliardo di euro. Sono gli ultimi dati raccolti dall’Osservatorio di Assochange.
Cosa manca a questi progetti per avere successo? I maggiori punti di debolezza indicati dalle aziende stesse sono l’assenza di una cultura orientata al cambiamento (39%), una comunicazione non efficace (38%) e la mancanza di un approccio metodologico (23%). Tre i grandi assenti: comunicazione, monitoraggio e commitment dei middle manager. Come agire allora per cambiare le cose?
Alessio Vaccarezza, Vicepresidente Assochange e Responsabile dell’Osservatorio, suggerisce 4 leve integrate per superare le resistenze culturali e operative che intralciano i processi, li rallentano, fanno aumentare i costi e, spesso, fanno fallire i progetti.
1. Comunicare il progetto dall’inizio alla fine
Condividere via via i risultati parziali fino al risultato finale è un modo per tenere ingaggiate e dare fiducia alle persone coinvolte nei progetti. Su questo fronte le tecnologie ormai offrono moltissime opportunità, spesso non utilizzate al meglio. Certo, la diffusione del sapere è anche un tema culturale: la tecnologia può essere un fattore abilitante ma la cultura aziendale deve essere resa “capace” di accoglierla. E così accade che la pratica più diffusa sia quella di comunicare solo all’inizio le ragioni e gli obiettivi del cambiamento, e niente più, con un 30% che non fa neppure questo. Solo un’azienda su quattro, invece, veicola i risultati anche durante il percorso e a cambiamento avvenuto, e meno di una su 10 comunica internamente i cambiamenti nei comportamenti e atteggiamenti richiesti.
2. Monitorare il progetto anche con KPI soft
Monitorare il clima aziendale, con indicatori anche relativi all’engagement delle persone, ai ruoli e alle competenze, aiuterebbe a predisporre interventi per assicurarsi la sponsorship delle persone e l’efficacia delle prestazioni. Un cruscotto esauriente e puntuale, fruibile anche in modalità Mobile, che considera l’andamento dei KPI qualitativi e quantitativi consente di tenere traccia dei risultati strada facendo e, se serve, di orientare meglio il cambiamento. Si tende invece a privilegiare i soli aspetti quantitativi, come i risultati di business (65%), i tempi (49%) e i costi del progetto (37%). Si trascurano invece l’attivazione di ruoli e competenze (31%) e il reale supporto alle attività necessarie per cambiare (28%). Sembra poi non interessare proprio cosa pensino dipendenti e stakeholder del progetto di change.
3. Valorizzare gli influencer informali
Puntare anche sugli agenti di cambiamento informali, che vengono ascoltati da pari e collaboratori più delle comunicazioni ufficiali, tenendo con loro un filo diretto e dotandoli anche di strumenti e competenze digitali per aumentarne l’efficacia come messaggeri del progetto di trasformazione. Nuovi modelli di relazione possono essere alimentati attraverso interventi di formazione e sensibilizzazione sulle tecnologie di Unified Communication & Collaboration.
4. Lavorare sulla capacità di leadership dei capi
Coinvolgere e rendere maggiormente partecipi i manager intermedi non solo con formazione tradizionale, ma con modalità digitali
e virtuali di condivisione di best practice, training on demand, community, che garantiscono al tempo stesso alta qualità, capillarità, tempestività. E potenziare così il ruolo “cerniera” tra le decisioni strategiche del management e la popolazione operativa, spesso impreparato al ruolo e resistente, con effetti a catena sulle persone e sull’efficacia stessa dei progetti. Queste figure sono quelle da cui ci si aspetta il maggior coinvolgimento e invece sono quelle che, in concreto, a oggi influenzano meno il cambiamento, insieme al direttore della comunicazione e all’HR manager (coinvolto nella fase di progettazione solo in un’azienda su tre), tutte figure che dovrebbero avere più a che fare con le persone. Ancora una volta, la tecnologia potrebbe fornire loro un valido supporto a essere più proattive, molto spesso però la cultura aziendale non è in grado di realizzarne appieno le potenzialità e sono così costrette a “rimanere indietro” rispetto a un ruolo di prima fila nel cambiamento. Più attivi sono invece il project manager e il change manager, orientati alla supervisione degli aspetti tecnici.