Bisogna cambiare, questo le aziende lo sanno, ma lo fanno ancora poco e male. Secondo diverse ricerche internazionali falliscono tre quarti dei progetti di cambiamento, dato confermato dai risultati dell’indagine condotta dal primo Osservatorio di Assochange, l’associazione che riunisce docenti, consulenti, manager e aziende impegnati nella diffusione di una cultura di change management in Italia.
Al questionario hanno risposto oltre cento aziende, soprattutto multinazionali con più di mille dipendenti, un terzo con oltre un miliardo di euro di fatturato, per la metà del settore industriale e le altre distribuite tra servizi e trasporti, telecomunicazioni e servizi finanziari.
Negli ultimi cinque anni le imprese hanno dovuto affrontare numerose sfide, che hanno imposto loro di modificare il proprio assetto organizzativo (così per 4 su 5), di ridefinire la propria strategia (per un terzo dei rispondenti), di sviluppare processi di lavoro più efficaci ed efficienti (per quasi la metà) e di cambiare cultura organizzativa (un’azienda su 4).
Eppure, solo l’8% delle aziende intervistate ha portato a termine i propri progetti di change, percentuale che sale al 16% con il 90% di risultati raggiunti, ma la media si attesta sul 70% di risultati. Inoltre, solo una su due è riuscita a rispettare i tempi previsti, che per 3 su 4 erano oltre l’anno, ma un buon 42% ha generato ritardi, con un impatto negativo anche su costi e ritorni economici.
«A un progetto di cambiamento, perché funzioni, servono metodo, budget dedicati, competenze, comunicazione a due vie, coinvolgimento dal basso e sistemi di monitoraggio del processo», spiega Salvatore Merando, Presidente di Assochange e Senior Advisor Accenture. Eppure, oltre un terzo delle aziende del campione ancora non destina un budget ai progetti di change, anche se il 62% dice che investirà di più in futuro; non coinvolge la divisione comunicazione e non dà abbastanza peso al metodo, come neppure al coinvolgimento del personale.
Prevale infatti ancora una cultura top down, dove il principale fattore critico di successo viene visto nella sponsorship del top management (73%), seguito solo al 39% dal coinvolgimento dei collaboratori e al 35% da un approccio metodologico strutturato.
E dove i primi fattori di debolezza sono proprio quelli trascurati come elementi di successo: mancanza di cultura orientata al cambiamento (54%), di comunicazione (38%) e di monitoraggio e controllo (28%). «Sono tre i fattori da triangolare perché un cambiamento abbia successo: sapere cosa fare, saperlo fare e volerlo fare, agendo, appunto, su cultura organizzativa ed engagement delle persone per farle sentire parte attiva del processo», spiega Alessio Vaccarezza, Managing Partner e Responsabile Cultural Change Management Practice di Methodos, nonché Vicepresidente di Assochange.
Come si gestisce oggi il cambiamento
Dalla mappatura dell’Osservatorio emerge pure che più di un terzo delle aziende gestisce con le sole forze interne il cambiamento, oltre la metà ricorre a un supporto consulenziale, mentre è limitato al 4% il coinvolgimento di temporary manager esperti di cambiamento.
Quando si fa ricorso a risorse e professionalità esterne, nella maggior parte dei casi (76%) la richiesta è per pianificare il progetto, mentre la fase di implementazione, come comunicazione e formazione, nella metà dei casi è gestita all’interno.
Infine, meno di due terzi delle aziende adotta strumenti di misurazione del cambiamento e dei risultati conseguiti, e solo con attenzione al risultato finale e non al processo attraverso il quale si intende raggiungerlo. Si utilizzano così indicatori classici come l’impatto su costi, P&L e indicatori di business, e non quelli di processo come per esempio la curva di adozione volontaria del target coinvolto nella fase di education e training.
Neanche una su dieci, inoltre, ha una funzione dedicata al change management, figura che oltre a essere poco diffusa è di recente introduzione e che, in genere, riporta alla divisione delle risorse umane ed è assorbita nella funzione sviluppo e organizzazione. Questa professionalità, secondo le aziende, deve possedere importanti doti relazionali, di leadership e di comunicazione per svolgere nell’organizzazione un ruolo trasversale di facilitazione e diffusione della cultura del cambiamento.