Anche in seguito alla pandemia, la trasformazione digitale continua a guidare i progetti di Change Management. I nuovi modelli di lavoro sono rimasti al centro dell’attenzione e si pensa a una nuova leadership che sviluppi delega ed empowerment delle persone e che guardi all’innovazione e al futuro con capacità visionaria. Ma la vera novità è che permane l’esigenza di una maggiore apertura al cambiamento.
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Cosa si intende per Change Management: una definizione
Il Change Management è l’insieme delle attività strutturate per la gestione del cambiamento in azienda. Questo percorso articolato e complesso comprende la pianificazione, l’implementazione, il monitoraggio e la stabilizzazione dei cambiamenti all’interno di un’organizzazione, coprendo aspetti come strategie, processi, tecnologie e cultura aziendale. Il Change Management mira a massimizzare i benefici e minimizzare gli impatti negativi del cambiamento, coinvolgendo attivamente tutte le parti interessate e garantendo che il personale sia adeguatamente preparato e supportato durante tutto il percorso. Un approccio integrato e fondamentale per assicurare che le transizioni siano fluide, efficienti e sostenibili nel lungo termine, così da migliorare la resilienza e la competitività dell’organizzazione.
Gestire l’aspetto umano, che significa accompagnare le persone verso nuovi obiettivi e consuetudini, risulta quindi l’aspetto più delicato.
Non a caso, già secondo la Business And Technology Services Survey di Forrester del 2022, la resistenza al cambiamento si posizionava tra le cinque sfide più diffuse quando ci si approccia a progetti di Digital Transformation.
Il Change Management va di pari passo con la Digital Transformation. Introdurre le tecnologie senza trasformare abitudini e processi è infatti inutile, e può rivelarsi uno spreco di soldi e di tempo.
Il tema è già da un po’ sotto le luci dei riflettori, basti pensare che addirittura nel 2017 la trasformazione digitale era entrata al terzo posto tra le ragioni del cambiamento sul posto di lavoro nella survey annuale dell’Osservatorio di Assochange, l’associazione che riunisce change manager, consulenti, aziende, università e business school impegnati nei temi di cambiamento.
L’allora Presidente aveva sottolineato che se da un lato di innovazione tecnologica si parlava già da tempo, riferendosi a interventi isolati o specifici servizi come l’e-commerce, dall’altro gradualmente si iniziava a inquadrare il tema della trasformazione digitale, intesa come un approccio più strutturato e completo, che implica una visione integrata del digitale nell’organizzazione e nel modo di gestire il business e il rapporto con fornitori e clienti.
Cosa significa (e come) costruire un percorso di Change Management
Change Management significa costruire un percorso di transizione che dalla situazione attuale (dove siamo) fissa un obiettivo (dove vogliamo arrivare) e una transizione (come ci arriviamo). Una metodologia efficace di Change Management deve contemplare tutti gli elementi in gioco. I pilastri sono 4, secondo il modello 4P.
- People: significa cambiare il Mindset delle persone, l’aspetto più oneroso. Il Change Management efficace mette infatti l’utente al centro;
- Process: occorre rivedere i processi in chiave moderna, efficace e digitale;
- Platform: serve introdurre in aziende le tecnologie digitali a supporto della produttività, in un mondo ormai mobile;
- Place: ovvero ripensare i luoghi di lavoro in ottica Activity based workspace e Smart Working.
Questo approccio porta a numerosi vantaggi, così riassumibili:
- rispetto degli obiettivi;
- rispetto dei tempi;
- rispetto del budegt;
- aumento del ROI.
Quali sono i fattori che inducono oggi al cambiamento
Secondo i dati relativi al 2024 dell’Osservatorio Assochange sul Change Management in Italia, realizzato in collaborazione con il Politecnico di Milano, il panorama del Change Management è profondamente influenzato da una serie di fattori che guidano il cambiamento nelle organizzazioni. Tra i più rilevanti emergono: la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica (53%), l’ottimizzazione dei costi (41%), il miglioramento della flessibilità e reattività ai cambiamenti esterni (23%), miglioramento della capacità di attrarre, trattenere e ingaggiare le persone (23%) e mantenere competenze e professionalità competitive (22%).
«Anche quest’anno, giunti all’undicesima edizione, ci sono degli elementi di continuità, con il passato: le organizzazioni che cambiano in maniera più efficace sono quelle che hanno un approccio più sistemico. Però in questa nuova edizione abbiamo aggiunto un paio di elementi da tenere sotto controllo: l’AI da una parte e la presenza fino a 5 generazioni diverse nelle organizzazioni, dall’altra. Le organizzazioni sono sempre più attente al tema delle generazioni, ma quello che emerge è che ancora non si sia trovata la ricetta», ha spiegato Daniele Cantore, Vicepresidente Assochange.
«Le domande in qualche misura sono sempre le stesse: “Qual è il modo giusto di coinvolgere? Come monitorare? In che modo si mettono insieme i diversi fattori?” La sensazione è che ad oggi ci siano risposte un po’ tradizionali; quindi, sarà necessario domandarsi se e fino a che punto mettere in discussione le metodologie di Change», Daniele Cantore
Non vanno, tuttavia, trascurati i fattori di fallimento nei progetti di Change Management, che l’Osservatorio ha individuato, sottolineando che non esiste una singola causa. Tra i principali ostacoli figurano: la scarsa capacità di coinvolgimento ed engagement dei collaboratori (28%), gli stili di leadership adottati (26%), la mancanza di una cultura aziendale aperta e inclusiva (23%), la qualità della sponsorship del top management (23%) e non solo.
«È un tema che si lega bene alla tematica del Change Management, e quindi come ad esempio affrontare il tema del dialogo tra generazioni, e quindi riflettere sulle modalità e sulle metodologie – ha aggiunto Moira Masper, Presidente Assochange -. E questo vale anche per l’Artificial Intelligence: dalla survey di quest’anno emerge proprio la necessità di individuare un modello di Change Management per implementare, utilizzare e innovare con l’AI. La domanda che ci si fa è: “Il modello tradizionale di Change può andare bene per un cambiamento di questo tipo, che sarà un cambiamento epocale del nostro modo di vivere”?».
Il piano di transizione: comunicare e monitorare il cambiamento
Per diffondere internamente i processi di change, per esempio, dove la comunicazione resta il secondo punto di debolezza dopo la mancanza di cultura al cambiamento, gli strumenti digitali più utilizzati rimangono l’email per immediatezza e ampiezza di diffusione, i video, i social media, la newsletter elettronica e la bacheca elettronica. Accanto a questi strumenti più tradizionali, si fanno spazio soluzioni ideate proprio per aumentare il coinvolgimento attivo e la collaborazione, come dashboard, piattaforme condivise e gamification.
Come ha spiegato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, «L’Intelligenza Artificiale sta cambiando il modo di vivere e lavorare, come dimostra il successo di ChatGPT, una delle tecnologie più velocemente adottate della storia. Questo successo non riguarda solo i risultati, ma anche gli investimenti. Per il mercato digitale IT del prossimo anno, l’AI generativa è salita tra le priorità, dal nono al quinto posto, promettendo di migliorare la produttività su larga scala. Tuttavia, questo progresso genera anche ansia. Non è la prima volta che assistiamo a un simile cambiamento tecnologico. Secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice, le persone oggi si dividono tra preoccupati e ottimisti. Ma la storia ci ha insegnato che le evoluzioni tecnologiche, sebbene inizialmente ansiogene, tendono a creare nuove opportunità di carriera e competenze. Questa transizione richiede una gestione attenta. Solo il 17% delle aziende ha valutato l’impatto dell’AI sulle competenze, e appena il 15% ha avviato programmi di formazione adeguata. Questo crea un significativo divario di consapevolezza, rischiando di compromettere le organizzazioni. Chi lavora nel campo delle risorse umane e della formazione deve comprendere il proprio ruolo nell’accompagnare le persone attraverso questo cambiamento».
Perché il Change Management è importante per innovare l’azienda
Il Change Management è cruciale per l’innovazione aziendale perché rappresenta il ponte tra l’adozione di nuove tecnologie, processi e strategie e la loro efficace integrazione nella cultura e nelle operazioni quotidiane dell’azienda. Senza una gestione strutturata del cambiamento, le iniziative innovative rischiano di fallire a causa di resistenze interne, mancanza di competenze adeguate o scarso allineamento tra i vari stakeholder. Implementare un solido processo di Change Management assicura che tutti i membri dell’organizzazione siano preparati e motivati a abbracciare le novità, riducendo al minimo l’attrito e massimizzando i benefici dell’innovazione. Questo approccio non solo facilita la transizione verso nuovi modelli operativi, ma crea anche un ambiente di lavoro più agile e resiliente, in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato e alle nuove opportunità. In definitiva, il Change Management è essenziale per trasformare le idee innovative in realtà operative, garantendo che l’azienda rimanga competitiva e all’avanguardia nel proprio settore.
Restare ancorati al vecchio modo di pensare e la difficoltà di cambiare gli schemi mentali sono tra i principali fattori che producono resistenze nella messa in atto di nuovi comportamenti delle persone e questi aspetti sono maggiormente ricorrenti quando non si comprendono ragioni e motivi del cambiamento.
L’importanza del People Management in un percorso di Change Management
Visto che la carenza di cultura del cambiamento e la mancanza di comunicazione sono considerati i due principali elementi di difficoltà nei processi di Change Management, bisogna sottolineare un aspetto fondamentale: non c’è Change Management senza People Management, senza portare a bordo le persone e cambiare il loro Mindset. Per attuare queste tipologie di percorso all’interno delle organizzazioni, infatti,, è necessario mettere il dipendente al centro.
Come fare quindi? Da un lato una ben costruita comunicazione interna sul cambiamento può venire d’aiuto per coinvolgere le persone e motivarle.
Attività di ingaggio, piani editoriali, strutturazione di momenti di spiegazione degli step del cambiamento, Call4Ideas, sono alcune degli elementi che le organizzazioni possono pensare di realizzare.
Dall’altro lato però questo non basta: è necessaria una formazione ingaggiante (micro-learning, gamification), personalizzata e continua, che porti le persone a bordo dei progetti e le sensibilizzi sull’importanza della Digital Transformation, contribuendo quindi alla creazione di un mindset condiviso e di una cultura del cambiamento.
4 leve per combattere la resistenza al cambiamento dei dipendenti
Assochange suggerisce 4 leve integrate per superare le resistenze culturali e operative che intralciano i processi, li rallentano, fanno aumentare i costi e, spesso, fanno fallire i progetti.
- Comunicare il progetto dall’inizio alla fine
Condividere via via i risultati parziali fino al risultato finale è un modo per tenere ingaggiate e dare fiducia alle persone coinvolte nei progetti. Su questo fronte le tecnologie ormai offrono moltissime opportunità, spesso non utilizzate al meglio. Certo, la diffusione del sapere è anche un tema culturale: la tecnologia può essere un fattore abilitante ma la cultura aziendale deve essere resa “capace” di accoglierla. Da questo punto di vista bisogna considerare gli aspetti intangibili della comunicazione corporate: valori, comportamenti, ascolto, crescita. - Monitorare il progetto anche con KPI “soft”
Monitorare il clima aziendale, con indicatori anche relativi all’engagement delle persone, ai ruoli e alle competenze, aiuterebbe a predisporre interventi per assicurarsi la sponsorship delle persone e l’efficacia delle prestazioni. Un cruscotto esauriente e puntuale, fruibile anche in modalità Mobile, che considera l’andamento dei KPI qualitativi e quantitativi consente di tenere traccia dei risultati strada facendo e, se serve, di orientare meglio il cambiamento. Si tende invece a privilegiare i soli aspetti quantitativi, come i risultati di business, i tempi e i costi del progetto. Si trascurano invece l’attivazione di ruoli e competenze e il reale supporto alle attività necessarie per cambiare. Sembra poi non interessare proprio cosa pensino dipendenti e stakeholder del progetto di change. Riguardo a questo punto, i KPI che possono venire in aiuto possono essere sia KPI di formazione, che dati derivanti dall’HR Analytics. - Valorizzare gli influencer informali
Puntare anche sugli agenti di cambiamento informali, che vengono ascoltati da pari e collaboratori più delle comunicazioni ufficiali, tenendo con loro un filo diretto e dotandoli anche di strumenti e competenze digitali per aumentarne l’efficacia come messaggeri del progetto di trasformazione. Nuovi modelli di relazione possono essere alimentati attraverso interventi di formazione e sensibilizzazione sulle tecnologie di Unified Communication & Collaboration. - Lavorare sulla capacità di leadership dei capi
Coinvolgere e rendere maggiormente partecipi i manager intermedi non solo con formazione tradizionale, ma con modalità digitali e virtuali di condivisione di best practice, training on demand, community, che garantiscono al tempo stesso alta qualità, capillarità, tempestività. E potenziare così il ruolo “cerniera” tra le decisioni strategiche del management e la popolazione operativa, spesso impreparato al ruolo e resistente, con effetti a catena sulle persone e sull’efficacia stessa dei progetti. Queste figure sono quelle da cui ci si aspetta il maggior coinvolgimento e invece sono quelle che, in concreto, a oggi influenzano meno il cambiamento, insieme al direttore della comunicazione e all’HR manager (coinvolto nella fase di progettazione solo in un’azienda su tre), tutte figure che dovrebbero avere più a che fare con le persone.
Ancora una volta, la tecnologia potrebbe fornire loro un valido supporto a essere più proattive, molto spesso però la cultura aziendale non è in grado di realizzarne appieno le potenzialità e sono così costrette a “rimanere indietro” rispetto a un ruolo di prima fila nel cambiamento. Più attivi sono invece il project manager e il change manager, orientati alla supervisione degli aspetti tecnici.
Modello ADKAR, la bussola del Change Management
Uno schema per avviare e concludere con successo il processo di change management è rappresentato dal modello ADKAR brevettato da Prosci, acronimo di Awareness, Desire, Knowledge, Ability e Reinforcement. Ossia: Consapevolezza della necessità di cambiare, Desiderio di partecipare al cambiamento, Conoscenza del modo di attuare il cambiamento, Capacità di implementare il cambiamento con nuove competenze e comportamenti e Rinforzo per rendere il cambiamento duraturo. Il modello è fisso: va seguito con precisione nelle sue sequenze e si basa sul principio che la trasformazione digitale può avvenire solo con la piena adesione dell’intera popolazione aziendale.
Come spiega in un blog post Proge Software, il primo step del modello ADKAR, l’Awareness, mira a costruire all’interno dell’azienda una generale consapevolezza della necessità di rinnovarsi, vincendo le resistenze al cambiamento. Per questo nei processi di Change Management è fondamentale svolgere intense attività di comunicazione.
Solo concluso il primo step si passa al secondo, Desire, in cui è fondamentale chiarire che cosa deve aspettarsi ogni risorsa in azienda alla conclusione del processo di Change Management. Queste prime due fasi aprono la strada al terzo step rappresentato dalla Knowledge, ossia dall’acquisizione di conoscenze e skill indispensabili per esercitare un nuovo ruolo all’interno dell’organizzazione.
Se i primi step hanno preparato le persone al cambiamento, gli ultimi due le portano direttamente al centro. A fare la differenza tra la terza e la quarta fase è un passaggio sostanziale, quello che porta dalla semplice conoscenza all’effettiva capacità di utilizzo dei nuovi strumenti di lavoro (Ability). L’ultimo step (Reinforcement), puntella il cambiamento grazie a una visibilità immediata su tutte le difficoltà che gli utenti possono incontrare nel concreto utilizzo dei nuovi strumenti di lavoro. In questo modo si potranno introdurre correttivi tempestivi, capaci di consolidare i risultati raggiunti e scongiurare il rischio di fallimento per l’intero processo.