STRATEGIE

Oltre la struttura gerarchica: i modelli che fanno convivere esigenze delle persone e successo dell’impresa



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Puntare sull’auto-organizzazione per superare i limiti delle configurazioni tradizionali, dando la possibilità a ciascuno di esprimere il potenziale, con impatti positivi benessere e produttività. È su questo cambiamento culturale e operativo che dovrebbero lavorare le aziende, accompagnando manager e dipendenti. L’intervista a Stefano Petti, Partner di Asterys, società internazionale di sviluppo organizzativo

Pubblicato il 17 lug 2024



Struttura-gerarchica

Le dinamiche lavorative faticano ancora a mantenere il passo con i cambiamenti degli ultimi anni, trainati dalla diffusione delle tecnologie digitali e dai modelli di lavoro ibrido. Si assiste quindi a un forte scollamento rispetto allo stato di benessere in azienda auspicato e il rapporto tra i modelli organizzativi esistenti, struttura gerarchica in primis, e le nuove esigenze delle persone.

Addirittura, come ha rilevato la ricerca “L’azienda nociva. È ora di riportare la persona al centro”, condotta da Asterys – società internazionale di sviluppo organizzativo -, in collaborazione con Dynata, che ha coinvolto 600 dipendenti, manager ed executive in Italia, l’81% dei lavoratori subisce conseguenze importanti sulla salute e sul benessere a causa delle dinamiche dannose e solo il 47% afferma che gli sono garantite pari opportunità di esprimere il proprio potenziale.

Ne abbiamo parlato con Stefano Petti, Partner di Asterys.

Who's Who

Stefano Petti

Partner di Asterys

Stefano Petti

In Italia predomina la struttura tradizionale gerarchica

«Tra i grandi limiti che frenano l’evoluzione del mondo del lavoro c’è il persistere di un modello gerarchico che nel nostro Paese è profondamente radicato e difficile da scardinare – ha sottolineato Petti -. Lo hanno confermato anche la World Value Survey, che analizza la cultura e i valori predominanti in diversi paesi del mondo, e la nostra ricerca, secondo cui il 71% delle aziende italiane ha una struttura tradizionale gerarchica, in cui le decisioni chiave sono prese dal vertice e quelle operative dai line manager, che hanno anche un ruolo di controllo nei confronti dei loro riporti. Si tratta di un sistema organizzativo limitante, in cui le aziende fanno fatica a creare lo spazio per pratiche virtuose di cui esse stesse hanno bisogno e che le persone desiderano».

Le realtà in cui le decisioni vengono prese prevalentemente dal management e dai team leader, ma che danno anche un certo livello di autonomia ai dipendenti, sono solo il 25% del campione e appena nel 4% i membri di un gruppo di lavoro prendono decisioni autonomamente e il monitoraggio e controllo sui risultati spetta all’intero team.

«Quello che però stiamo rilevando è che c’è una pressione crescente, dal basso, verso il cambiamento. Millennials e GenZ, ad esempio, hanno delle aspettative ben precise sulla leadership che deve diventare partecipativa e inclusiva (fonte: Deloitte, 2023). E le aziende gradualmente stanno comprendendo che non si può rimanere a guardare, che qualcosa si deve fare partendo proprio dalla cultura».

Secondo Petti, la sfida principale è riuscire a far proprio un paradigma diverso da quello dell’organizzazione gerarchica, con cui conviviamo sin dalle prime interazioni scolastiche: «Ciò che non si conosce, difficilmente si riesce a identificare, manca l’esperienza di modalità alternative a quelle conosciute. E poi bisogna fare anche i conti con il fatto che viviamo in un contesto in cui la propensione al rischio è piuttosto bassa: le aziende fanno fatica a sperimentare e a prendere strade diverse perché temono le conseguenze sull’operatività e sui risultati di business. È indubbiamente un freno: nonostante l’Italia sia un paese di grandi innovatori, quando si tratta di cambiare lo status quo subentra un atteggiamento conservativo».

Che cosa rende nocive le aziende e le ricadute sul benessere

Dalla ricerca di Asterys, emerge che a pesare oggi sulle persone sono principalmente competizione interna e carichi di lavoro sproporzionati presenti sempre o spesso per il 50% del campione, seguiti da burocrazia eccessiva (48%), compartimenti stagni (41%), focus solo sul breve termine a pari merito con processi farraginosi e inutili (42%) e inattenzione alle esigenze dei dipendenti (41%). A non vivere le dinamiche aziendali come limitanti è appena il 19% dei partecipanti alla survey.

«Questo vuol dire che in Italia si lavora male. Inoltre, il tasso di entropia, cioè la percentuale dell’energia aziendale dispersa in attività che non solo non creano valore per l’azienda, ma che addirittura inficiano performance e benessere dei dipendenti, è attorno al 40%. E le dinamiche disfunzionali influenzano il wellbeing delle persone e la loro produttività. Per il 91% degli intervistati, le conseguenze sono almeno 3: nervosismo (40%), carichi di lavoro eccessivi (34%), stato di stress prolungato (32%), ore di lavoro improduttivo (27%), diminuzione della performance (25%) con potenziali impatti a lungo termine».

Ascoltare le persone: su cosa dovrebbero puntare oggi le organizzazioni

Quello che dovrebbero fare le aziende nel ridisegnare il modello del lavoro è partire dalle condizioni desiderate dalle persone. Ci sono alcuni aspetti che hanno un peso specifico più spiccato rispetto ad altri in termini di aspettative nei confronti dell’azienda.

In primis, avere uguali opportunità di poter esprimere il potenziale.

«Si tratta di una prospettiva interessante anche rispetto al tema delle pari opportunità in azienda, che rientra nell’ambito della Diversity and Inclusion – ha ribadito Petti -: non sempre, infatti, viene contemplato l’aspetto del potenziale. Inoltre, farlo richiede di liberare le persone da briglie e meccanismi che l’organizzazione gerarchica tende a imporre».

Un altro tema su cui le persone hanno delle attese è quello della chiarezza rispetto ai ruoli e alle responsabilità. «Oggi le aziende sono molto articolate e complesse. Soprattutto le più grandi, hanno adottato l’organizzazione a matrice nella speranza di portare ordine, ma in realtà quello che notiamo è che si si genera confusione».

Per finire, quello che ci si auspica è poter lavorare in un contesto basato sulla cultura della fiducia – e non del controllo, come tende ad avvenire in contesti gerarchici – e in cui l’errore venga vissuto come un’opportunità di apprendimento, aprendo così le porte alla possibilità di sperimentare e innovare, senza aver timore di ritorsioni.

«È questa l’ambizione delle persone, tuttavia quello che accade in azienda tende a essere in controtendenza rispetto alle aspettative, ecco perché è necessario prendere consapevolezza del fatto che per poter creare un ambiente di lavoro più sano è opportuno andare in profondità, non basta attivare delle azioni correttive “emergenziali”. Anche perché spesso le aziende nocive affondano le loro radici nel modo in cui sono strutturate, nel paradigma organizzativo e in alcune dinamiche che ci portiamo dietro da centinaia di anni».

Dalla struttura gerarchica all’auto-organizzazione

Secondo Petti, diverse sono le strategie che si possono adottare. «Si può procedere per azioni incrementali, attivando programmi che indirizzino in modo chirurgico la strategia, partendo ad esempio da workload e stress, passando per la relazione capo collaboratore. Non è di certo un approccio completo che va a lavorare realmente in profondità, ma nel breve periodo può portare qualche risultato, soprattutto se si permette contemporaneamente alle persone di lavorare sull’autoconsapevolezza, sulla gestione dello stress».

C’è però anche un’altra strada percorribile, che porta a immaginarsi un’azienda diversa, delle modalità di lavoro differenti, agendo in modo profondo sul sistema. «Siamo fermamente convinti che un cambio di passo a tutto tondo consenta all’azienda nociva di trasformarsi. E una delle chiavi di volta è abbandonare il modello gerarchico, in favore di modelli organizzativi centrati sulla persona».

Ed è questo che poi caratterizza proprio AEquacy, il paradigma proposto da Asterys, che permette un capovolgimento culturale e operativo della realtà con benefici importanti e a lungo termine, perché trasforma sia il sistema azienda e la sua struttura di potere sia la mentalità delle persone, con un approccio che si fonda su cinque principi: orientamento allo scopo e ai valori, auto-organizzazione, equalità, trasparenza, adattività.

«Il concetto di auto-organizzazione porta a responsabilizzare le persone, renderle autonome e dare fiducia. Quello che accade è che, chiarito scopo e obiettivi, viene data a ciascuno la possibilità di esprimere pienamente il potenziale. Nelle realtà che hanno adottato AEquacy, le persone sentono di ricevere più fiducia e riconoscimento, i perimetri delle aree di responsabilità sono molto più netti e in generale c’è più chiarezza, i dipendenti sono valorizzati in una costante logica di miglioramento continuo, l’errore viene vissuto come opportunità di crescita».

Si tratta di un cambiamento profondo che richiede tempo e che entra profondamente nelle pieghe della cultura aziendale. Per questo è necessario lavorare sulle persone, che devono essere accompagnate nella transizione, con programmi ben strutturati. «I manager, in primis, devono fare i conti con un ruolo che cambia, non più votato alla funzione di controllo ma con una corresponsabilizzazione con il team – ha ricordato Petti -. Si va quindi incontro a un rischio-opportunità: il rischio è che il manager abbia una crisi d’identità e non riesca a uscirne proprio perché rimane agganciato allo status di persona che supervisiona e controlla quello che fanno gli altri. La grande opportunità sta nel fatto che c’è una redistribuzione delle responsabilità che fanno capo al ruolo del manager all’interno del team, liberandogli così spazio per dedicarsi ad attività a valore aggiunto maggiore rispetto a controllare quello che fanno gli altri. C’è quindi un’opportunità che richiede un accompagnamento».

Guardando al resto della popolazione aziendale, di fronte a questo tipo di percorsi alcune persone faticano a uscire dall’area di comfort e a entrare in uno spazio che inizialmente è più scomodo perché dà più responsabilità: «In questo caso le reazioni possono essere svariate: chi si sentiva compresso, intravede subito la grande opportunità di liberare energia e potenziale, chi invece è più conservativo ha bisogno di più tempo per apprezzarne il valore, ma alla fine anche persone sedute e demotivate rifioriscono», ha concluso Petti.

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