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C-level: i nuovi “influencer” della cultura aziendale



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Perché un manager risulti un ambassador credibile della sua organizzazione, oggi è necessario che applichi tutte le soft skill adeguate per avvicinare le persone. Diventa, per questo, centrale un nuovo approccio, più attuale, pensato in chiave collaborativa e basato sull’empatia, sull’innovazione e sull’inclusione, piuttosto che su gerarchie e logiche top down

Pubblicato il 22 nov 2024

Chiara Barluzzi

Partner LHH Executive Search



C-Level

Nell’attuale contesto lavorativo, scandito da obiettivi sempre più sfidanti e dalla spinta delle evoluzioni in atto, molti manager stanno richiedendo ai dipendenti sempre più presenza in ufficio, con l’obiettivo di riportare in vita una grande protagonista del passato, ovvero “la cultura dell’ufficio”, considerata come il denominatore comune in grado di unire i team.

Negli anni passati, il luogo fisico di lavoro e l’ambiente che rappresentava per i lavoratori, erano sinonimo di cultura aziendale e il collante per creare una squadra solida ed efficiente. Oggi le modalità lavorative, combinando Smart Working, lavoro ibrido e remote working, sono differenti e più fluide, e per manager e C-level, chiamati a veicolare la cultura dell’azienda, compare una nuova sfida: cercare strade alternative alla sola presenza fisica.

Una definizione di cultura aziendale

Ma cosa si intende per cultura aziendale? Si tratta di quell’insieme di principi, regole e valori identificabili all’interno di una realtà lavorativa, che seguiti dai manager come dai collaboratori, creano la cultura dell’azienda. Nell’attuale scenario lavorativo, identificare e consolidare un terreno comune è una sfida prioritaria, perché in grado di stimolare maggiormente il commitment di ciascun dipendente, rafforzando l’engagement e così il business stesso. Ma come fare a trasmettere questi importanti messaggi?

C-level ed HR: sempre più insieme per creare una comunicazione primariamente esplicita ed onesta

Le figure apicali sono il canale preferenziale per trasferire i valori aziendali, in quanto più di altre sono a conoscenza di progetti, case study e best practice in grado di coinvolgere tutti i dipendenti. Al tempo stesso essere conoscitori e promotori di iniziative non basta. Perché un C-level risulti un ambassador credibile della cultura aziendale, è necessario che applichi oggi più che mai tutte le soft skill adeguate per avvicinare le persone. È quindi cruciale un nuovo approccio, più attuale, pensato in chiave collaborativa e basato sull’empatia, sull’innovazione e sull’inclusione, piuttosto che su gerarchie e logiche top down.

Modalità vincenti per attuare un cambiamento di questo tipo sono in primis l’ascolto attivo, la capacità di accogliere le diversità, creare valore dalle differenze e trasferire sicurezza. Per poter arrivare a questo è basilare investire sulla comunicazione tra figure apicali e dipendenti con l’intento di strutturare un dialogo sempre più esplicito, chiaro e onesto, dando fiducia ai propri interlocutori.

Un gioco di squadra

Si tratta di un cambio apicale e di una crescita non indifferente del livello di responsabilità di tali figure. Ma in questa “sfidante avventura” i manager non sono soli: al loro fianco hanno un team HR che sempre più è parte integrante della C-suite, considerabile come un vero business partner e cuore del processo, capace di rendere effettiva una cultura aziendale che vuole dimostrarsi evoluta. Il ruolo delle risorse umane, infatti, si è notevolmente trasformato negli ultimi anni, e il loro focus è sempre più improntato su un approccio people centric a partire dall’attuazione di politiche di welfare e wellbeing.

La formula vincente per avere team coesi e uniti? Una migliore qualità del tempo in presenza e una maggiore fiducia nello smart working

In ottica di dialogo aperto e di collaborazione, è bene valutare da un lato cosa necessitino di più i dipendenti per sentirsi parte della “famiglia aziendale”, dall’altra cosa pensino sia più appropriato fare da parte dei manager, affinché le persone percepiscano più profondamente la cultura dell’azienda, sia a livello umano che professionale.

La presenza sul luogo di lavoro è un tema cardine, ma pensare di tornare alle modalità lavorative pre-pandemia è un’ipotesi che pone differenti quesiti. Senza perdere di flessibilità, è fondamentale riconoscere e far comprendere quanto alcuni momenti in presenza possano essere più arricchenti rispetto a quelli da remoto. Come in tutte le relazioni ben equilibrate l’ascolto e il tempo dedicato sono strumenti vincenti. Organizzare momenti extra time, iniziative semplici e di aggregazione, dove è possibile percepire un legame senza la pressione professionale è sempre più una leva fondamentale. Ad esempio, un aperitivo di team durante il quale accantonare agende, smartphone ed e-mail, per dedicare un paio d’ore alla conoscenza degli altri, così da favorire maggiore vicinanza emotiva, sentimenti di accoglienza e di apertura, agevolando una cultura dove ciascun individuo si senta riconosciuto e, quindi, parte di una community.

Anche dal punto di vista lavorativo il tempo è un aspetto strategico, è importante che i manager ritaglino degli slot adeguati per consegnare ai propri dipendenti una visione di insieme dell’operato. Investire tempo per condividere con i propri collaboratori gli obiettivi e le finalità dei task che sono chiamati a seguire, favorisce un maggior coinvolgimento, permettendo alle persone di sentirsi parte integrante di tutta la macchina organizzativa. Anche restituire feedback puntuali e costruttivi sui compiti svolti risulta cruciale, perché facilita gli interlocutori a soffermarsi su alcuni aspetti della propria professionalità e migliorare le performance. Tutto ciò consente di veicolare il concetto che anche una sola attività ben svolta può innescare un processo virtuoso per tutto l’ecosistema-azienda, utile a raggiungere i risultati di business e i benefici prefissati.

Alcuni C-level preferiscono gestire questi momenti professionali live, perché ritengono che in presenza i messaggi possano avere un maggior impatto a beneficio del messaggio trasmesso. Per molti, infatti, le riunioni in ufficio favoriscono a mantenere una soglia d’attenzione più alta e continuativa, ad aumentare la motivazione, e ad avere impatti più efficaci sull’apprendimento, la formazione e lo sviluppo della persona nella sua totalità.

In ogni casistica, l’ascolto e la vicinanza, che il lavoro si svolga in presenza o in smart working, risultano l’obiettivo principale per fortificare la cultura aziendale. Ed è in quest’ottica che gioca un ruolo fondamentale la fiducia, che si traduce in responsabilizzazione.

Con questo cambio di paradigma, sono stati sovvertiti i concetti di gerarchia, prediligendo il coinvolgimento e l’assunzione di responsabilità da parte dei lavoratori, impegnati a risultare ancora più affidabili con i loro manager. Ma cosa più di altro ha dato questi benefici? Grazie al remote working i dipendenti si sono sentiti autonomi e responsabilizzati, hanno percepito fiducia da parte dei propri line manager e questo si è tradotto in un maggior engagement e di conseguenza in un minor turnover.

In base ad analisi interne LHH emerge in modo dirompente che i due terzi dei lavoratori considera l’aspetto della flessibilità più rilevante rispetto alla remunerazione. Saper accogliere e rispondere a richieste e bisogni dei dipendenti rende la C-suite flessibile: anche la flessibilità è un elemento essenziale per una cultura aziendale solida.

Come la De&I sul posto di lavoro influisce sulla cultura aziendale

Nell’attuale contesto contemporaneo si evidenzia una tendenza sempre più crescente delle persone a considerare centrale il rispetto delle diversità e l’importanza dell’inclusione nel mondo lavorativo e nella cultura aziendale.

È fondamentale che i business lavorino sempre più in questa direzione applicando metodologie e comportamenti che educhino a riconoscere e sovvertire i bias, adottando un approccio scevro da condizionamenti ed etichette, attivando invece una forte sensibilità nei confronti dell’altro.

Il ruolo dei C-level nel veicolare messaggi di inclusività

Anche in questo caso i C-level giocano un ruolo di primo piano nel veicolare messaggi di inclusività, e le attuali evoluzioni nel mondo del lavoro dimostrano che non sono soli: come già succede in alcune big company, possono essere i loro stessi diretti sottoposti a farsi portavoce di messaggi espliciti e concreti, guidandoli con azioni mirate volte a promuovere l’inclusività in azienda.

È il caso degli ERG’s (Employee Resource Groups), gruppi d’interesse formati dai dipendenti, che ruotano intorno a specifiche diversità (di abilità, genere, orientamento sessuale, ecc..), uniti per favorire una cultura aziendale ancora più inclusiva, per valorizzare il concetto che la diversità sia un elemento di ricchezza anche all’interno del business: stiamo parlando di un vero e proprio “cambiamento dal basso”.

Concludendo, i rapidi mutamenti in atto nel mondo del lavoro stanno richiedendo sempre più apertura mentale e resilienza: è fondamentale reimpostare le aspettative di performance, considerando primaria la centralità della persona. È in questo contesto che cambia il ruolo del manager, che da “controllore” diventa “facilitatore”. Si modificano anche le competenze richieste ai C-level e le soft skill conquistano un ruolo sempre più importanti rispetto alle hard skill.

Perché siano percepiti come vincenti e credibili, è necessario che i management contemporanei diano spazio all’onestà intellettuale e alla gentilezza, all’innovazione, e alla capacità di assumere punti di vista e prospettive nuove. Mai come ora non possono venire meno modalità lavorative agili e un impegno concreto a compiere progressi significativi su diversità, equità e inclusione (DEI).

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