Il Tribunale di Ancona con la sentenza n. 245 del 5 giugno 2024 ha confermato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui il lavoratore beneficiario dei c.d. “Permessi 104” non può essere obbligato a utilizzare tali permessi durante l’orario lavorativo: pertanto, non esiste alcun abuso del beneficio se il dipendente, nelle ore in cui è assente dal lavoro, non presta assistenza al familiare disabile.
La legge n. 104/1992 riconosce ai dipendenti il diritto di assentarsi dal lavoro e fruire di permessi retribuiti in misura pari alternativamente a 2 ore giornaliere o 3 giorni (continuativi o frazionati) al mese per assistere un familiare (coniuge, parente o affine entro il secondo grado) con disabilità grave.
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Si amplia il concetto di “assistenza”
Nell’ottica di favorire sia il dipendente beneficiario sia la persona disabile, la giurisprudenza degli ultimi anni (seppure in maniera non unanime) ha iniziato a interpretare in senso ampio il concetto di “assistenza”, legittimando l’uso dei permessi anche per consentire al lavoratore impegnato nella cura del familiare con handicap di ritagliarsi del tempo per provvedere ai propri bisogni e alle esigenze personali.
Il caso in commento trae spunto dal licenziamento intimato a una dipendente, a cui era stato contestato di aver abusato dei permessi 104 per assistere la madre disabile. In particolare, il datore di lavoro, avvalendosi di un investigatore privato, scopriva che la lavoratrice, per 8 giornate a cavallo tra luglio e agosto 2023, aveva trascorso le ore di permesso 104 all’interno della propria abitazione o altrove, ma non nell’abitazione del familiare disabile e, per tale motivo, intimava il recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro.
Avverso tale recesso la dipendente ricorreva al Giudice del lavoro, sostenendo sia di essersi recata presso gli indirizzi indicati nella relazione investigativa per svolgere commissioni nell’interesse del familiare assistito, sia di essersi comunque recata presso il domicilio della madre, seppure in orario diverso da quello “lavorativo” (ad esempio, la mattina presto o la sera, per prepararle i pasti), in orario non “supervisionato” dall’investigatore incaricato dalla società di controllare i movimenti della dipendente esclusivamente in corrispondenza dell’orario di lavoro.
A sostegno della propria tesi difensiva la lavoratrice richiamava l’orientamento giurisprudenziale secondo cui ai permessi 104 deve essere riconosciuto anche il fine di riassicurare un generale equilibrio di vita al dipendente solitamente impegnato nell’assistenza del familiare bisognoso.
Costituitosi in giudizio, il datore di lavoro chiedeva la conferma della legittimità del licenziamento invocando quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui non sarebbe possibile fruire dei permessi in funzione compensativa delle energie impiegate dal dipendente nell’ordinaria assistenza al familiare disabile dovendosi, per contro, ritenere che i permessi 104 debbano essere riconosciuti in relazione causale diretta con l’assistenza al disabile.
Il Tribunale di Ancona, esaminate le rispettive posizioni, richiamava un precedente orientamento della Corte di Cassazione (Cass. Sezione Penale n. 4106/2016), che aveva chiarito come la legge n. 104/1992, nell’attribuire il diritto a fruire dei permessi, non prevede che l’assistenza debba essere prestata proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa.
Permessi 104, i dettagli della sentenza n. 245 del Tribunale di Ancona
Con l’intento di fornire una lettura maggiormente garantista sia dei diritti della persona disabile, sia del dipendente che lo assiste, il Tribunale ha ribadito che non sarebbe corretto imporre che l’assistenza venga fornita in orario lavorativo, in quanto in tale orario il disabile potrebbe non averne alcun bisogno.
Il lavoratore deve essere, quindi, libero di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto delle esigenze del disabile. Obbligare il lavoratore ad utilizzare i permessi 104 in orario lavorativo potrebbe significare, nei fatti, “andare contro” gli interessi del disabile interessato, che potrebbe necessitare di ulteriore assistenza in orario diverso da quello lavorativo, ad esempio, come avvenuto nel caso in commento, la sera, per aiutare nella preparazione dei pasti.
Il giudice, pur nel contrasto tra i due differenti orientamenti giurisprudenziali, riteneva corretta l’interpretazione estensiva della lavoratrice e, in accoglimento del ricorso, condannava la società alla reintegra ed al risarcimento del danno subito per l’illegittimo licenziamento.
In base ai più recenti e garantisti orientamenti, quindi, se da un lato rimane indubitabile che il lavoratore non debba abusare della fruizione dei “permessi 104” tramite artifizi e raggiri ai danni dal datore di lavoro, dall’altro si riconosce al lavoratore la libertà di prestare assistenza in orari non compatibili con la durata della normale prestazione lavorativa con il solo onere di dimostrare di aver prestato continuativamente soccorso al familiare bisognoso.