Great resignation, quiet quitting e job hopping sono tre espressioni che negli ultimi anni si sono pienamente imposte all’interno del vocabolario del mondo del lavoro.
Dal post pandemia, infatti, un numero considerevole di lavoratori ha deciso di lasciare volontariamente la propria mansione per intraprendere percorsi più soddisfacenti e personalizzati. Altri, per mancanza di stimoli, hanno gradualmente diminuito la propria produttività o partecipazione alla vita aziendale, oppure hanno cambiato diversi posti di lavoro in brevi periodi di tempo in cerca di opportunità migliori.
Queste tendenze segnano un cambiamento radicale nel paradigma di carriera, identificando una sempre maggiore necessità di flessibilità da parte dei lavoratori nella definizione del proprio percorso professionale. Con il mito della carriera lavorativa verticale che sembra lasciare spazio al desiderio diffuso di ridisegnare il proprio percorso lavorativo dentro o fuori dall’azienda, si assiste a un progressivo abbandono di quella che tradizionalmente era considerata la “carriera tradizionale” o del posto fisso, a favore di un percorso professionale più aperto al cambiamento e a nuove esperienze che assecondino le predisposizioni del lavoratore.
Indice degli argomenti
Il 40% dei dipendenti segue una carriera lavorativa non lineare
Si tratta di un fenomeno che emerge anche dall’ultimo studio di GoodHabitz, la piattaforma internazionale per la formazione aziendale, condotto in collaborazione con l’ente di ricerca YouGov su un campione di più di 1000 lavoratori italiani, secondo il quale il 40% dei dipendenti sta portando avanti un percorso lavorativo “non lineare“, ovvero con diversi cambi di settore o di ruolo all’interno della stessa azienda o di realtà diverse (e il dato coinvolge ben il 41% degli impiegati over 45, rispetto al 38% degli under 44).
Una scelta dovuta, in primo luogo, alla volontà di ricercare migliori condizioni di retribuzione e benefit economici (per il 30% dei dipendenti italiani, secondo la ricerca GoodHabitz) mentre quasi un dipendente su quattro (il 23%) dichiara di aver cambiato o di voler cambiare perché stanco del proprio lavoro.
Cosa possono fare le aziende per adattarsi a un nuovo scenario in continua evoluzione
In primo luogo, è fondamentale diventare ricettivi verso le nuove dinamiche del mercato del lavoro, valorizzando la formazione continua e stimolando lo sviluppo delle competenze trasversali dei lavoratori.
Le soft skill possono, infatti, diventare un potente catalizzatore per la crescita professionale e la realizzazione personale. Investire in esse, non solo migliora il benessere, la produttività e l’efficienza dei dipendenti, ma contribuisce anche alla retention dei talenti, promuovendo un ambiente lavorativo dinamico e inclusivo e garantendo, in ultima analisi, una maggiore resilienza organizzativa e un vantaggio competitivo sul lungo termine.
Il valore delle soft skill
Secondo un numero sempre maggiore di lavoratori le soft skill servono a scoprire nuove predisposizioni personali (secondo l’81% dei rispondenti – ma la percentuale sale all’85% per le donne) a sviluppare il proprio talento, come afferma il 79% dei professionisti italiani intervistati e, infine, a costruire la propria carriera ideale (74%). Il metodo più utilizzato per svilupparle in azienda è tramite l’esperienza diretta (78% dei rispondenti) mentre al secondo posto ci sono i corsi in presenza e online (34%).
Carriera lavorativa: si può puntare anche a cambiare ruolo nella stessa azienda
È importante notare che prendere in mano la propria carriera lavorativa e tracciare un percorso più incline alle proprie aspirazioni non implica necessariamente un continuo cambio di lavoro. Al contrario, questo è possibile tanto in una nuova realtà quanto nella stessa azienda, attraverso un percorso costante di crescita interna. Ad avvalorare ciò, i dipendenti inseriti in aziende con oltre 250 persone hanno maggiori probabilità di cambiare ruolo all’interno della stessa azienda piuttosto che cercare opportunità esterne (48% rispetto alla media del 40% e al 33% di chi lavora in un contesto più piccolo, da 10 a 249 persone).
In generale, comunque, il nuovo paradigma del lavoro in Italia vede una crescente flessibilità e personalizzazione dei percorsi professionali, con un numero in crescita di lavoratori che scelgono di abbracciare il concetto di “non linearità” nella propria carriera. Le aziende devono quindi essere pronte a cogliere queste nuove dinamiche, ponendo più attenzione alla crescita personale di ciascun dipendente all’interno dell’organizzazione. La formazione, in questo senso, non solo aiuta ognuno a esprimere il suo potenziale, ma funge anche da perno per una maggiore attraction e retention aziendale, contrastando il turnover dovuto al “job hopping”. Se oggi il futuro del lavoro lascia presagire uno scenario caratterizzato da sfide complesse per le aziende, allo stesso tempo offre loro nuovi strumenti e numerose opportunità per mettere a terra un vantaggio competitivo sul lungo periodo.