Il cambiamento nelle organizzazioni, legato alla trasformazione digitale, non si ferma all’introduzione di nuove tecnologie ma richiede di intervenire su processi e cultura. È richiesto uno sforzo congiunto tra varie funzioni: il concept richiede il coinvolgimento delle funzioni IT, HR e delle principali linee di business. Tale sforzo deve essere indirizzato e guidato da un team multidisciplinare che includa esperti di tecnologia, di Change Management e di User Experience.
Un mix di competenze che ritroviamo in Avanade, fornitore globale di servizi digitali innovativi, cloud, business solutions ed experience design che fanno leva sull’ecosistema Microsoft, e proprio con il Change Enablement Lead di Avanade Italia, Luisa Di Prima, abbiamo parlato di come cambia il lavoro, dal Digital workplace alla Employee experience.
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Nella sua esperienza di leader del Change Manager, che cosa può consigliare alle aziende per avviare, gestire e realizzare il cambiamento?
È fondamentale avere consapevolezza che la trasformazione digitale è un problema multidimensionale. Quello che potrei suggerire è partire dal riconoscere gli errori più comuni commessi dalle aziende pioniere della digital transformation, spesso riconoscibili anche nella propria organizzazione. In passato le aziende hanno spesso “peccato” nell’interpretare gli investimenti in trasformazioni digitali come mere evoluzioni tecnologiche, circoscrivendo la responsabilità del progetto alla sola funzione IT e trascurando di allargare la conversazione ai referenti HR o delle linee di business coinvolte per valutarne anche l’impatto sui processi e sulle persone. Questo approccio miope ha portato alla proliferazione di “cattedrali nel deserto”: ovvero sistemi perfettamente funzionanti sulla base di logiche non condivise e che, pertanto, sono spesso rimasti inutilizzati o (nel caso peggiore) sono stati utilizzati impropriamente dagli utenti finali, con abitudini o comportamenti non allineati agli obiettivi di business. Quasi sempre un cambiamento non riuscito si lega alla scarsa sensibilità verso la componente umana e culturale (il 44% dei progetti fallisce per questo motivo secondo i dati dell’Osservatorio Assochange 2019) .
In questo approccio olistico alla trasformazione digitale, dunque, non si può implementare la tecnologia senza agire sulla cultura…
Esatto, è necessario agire su tre diversi ambiti di intervento.
La tecnologia, ovviamente, funziona da abilitatore del cambiamento, ed è bene puntare su piattaforme flessibili e adattabili al modello di business, perché il mercato è in continua e rapida evoluzione.
Ma occorre agire anche sui processi. È infatti questa l’altra dimensione su cui intervenire: le Operation. Se la tecnologia si evolve, il modello operativo deve evolvere di pari passo adattando i flussi di lavoro, trasformando i ruoli e accrescendo le competenze delle persone che ci lavorano.
Arriviamo quindi all’aspetto culturale del cambiamento. Bisogna partire dal mindset diffuso nell’organizzazione per capire quali leve utilizzare al fine di allinearlo agli obiettivi della trasformazione. Si tratta di un percorso che l’organizzazione deve affrontare e che può essere realizzato a livello collettivo solo innescandolo a livello individuale. Bisogna fare leva sui comportamenti dei singoli dipendenti che possono essere correttamente indirizzati solo a fronte dell’aspettativa di poter fruire di un’ esperienza di lavoro gratificante e coerente. È questo il momento di spostare il focus dalla Customer Experience all’Employee Experience.
I tre ambiti devono evolvere sinergicamente e l’adozione di un approccio di Change management è il fattore chiave di successo: è il Direttore d’orchestra che scandisce un ritmo comune e che concerta gli interventi sui ciascuno degli ambiti in modo che procedano verso una direzione comune ed in piena cooperazione.
Questa “direzione comune” è sempre rappresentata dagli obiettivi di business. Parliamo di quegli stessi obiettivi che, a livello strategico, hanno motivato l’investimento nel progetto di digitalizzazione o evoluzione tecnologica. Questo è un punto che può sembrare scontato, ma non lo è affatto. Spesso infatti la “big picture” rischia di essere dimenticata in corso d’opera, sebbene rappresenti lo “spartito” che l’intera orchestra deve seguire nella nostra metafora.
Quali sono le principali resistenze che si incontrano quando le persone sono chiamate a cambiare abitudini?
La resistenza al cambiamento è fisiologica, è difficile per tutti abbandonare la propria comfort zone. In Avanade affianchiamo le aziende clienti per aiutarle a identificare ed anticipare le possibili resistenze rispetto alla trasformazione desiderata. Uno dei primi passi da compiere è quello di analizzare i precedenti ”casi di insuccesso”, ovvero i tentativi di trasformazione falliti, per capire dove risiede l’ostacolo che potrebbe ripresentarsi e compromettere la buona riuscita del nostro progetto. Spesso riaffiora il ricordo di un’esperienza deludente che può avere innescato forme di pregiudizio o scetticismo rispetto ad alcuni cambiamenti, altre volte è mancata la comprensione del motivo del cambiamento, mentre più frequentemente vige il timore di una complessità che si aggiunge al lavoro di tutti i giorni. Il nuovo viene spesso percepito come “vizio di forma” inutile o come rischio difficile da gestire dal punto di vista organizzativo, si temono la robotica e l’automazione come possibili minacce al proprio posto di lavoro, oppure gli strumenti di remote working come limitanti l’esperienza relazionale. Per portare le persone a bordo del cambiamento bisogna che capiscano, anzi tocchino con mano, i vantaggi che ne deriveranno e che l’esperienza nuova sia altrettanto se non più gratificante e soddisfacente di quella precedente. Per questo quando si imbastisce un piano di Change Mangement, non basta lavorare a livelllo di formazione, ma serve attivare iniziative di comunicazione, ingaggio, sperimentazione e supporto, sempre mantenendo il focus sull’ Employee experience desiderata.
In questo 2020 quali cambiamenti del modo di lavorare ci dobbiamo aspettare?
L’ambiente di lavoro sta diventando sempre più liquido e dinamico. Trovo significativo il fatto che l’accezione di Digital workplace si stia arricchendo di nuove sfaccettature, non solo quella fisica e tecnologica. Le teorie più moderne evidenziano altre due dimensioni emergenti: l’Emotional workplace e il Purposeful workplace, perché è sempre più rilevante il modoin cui la persona vive e percepisce il posto di lavoro anche dal punto di vista emotivo e di gratificazione ed empatia rispetto ad obiettivi nobili che trascendono la sfera professionale.
Ma si può “insegnare” a cambiare?
Nel Change management il ruolo della formazione è essenziale per fornire sia strumenti hard, ovvero facendo conoscere alle persone le nuove tecnologie, sia soft, ovvero plasmando nuove abilità e modi di pensare. Proprio perché si cerca di “insegnare” come sviluppare una mentalità più flessibile e aperta al cambiamento, l’approccio alla formazione non può essere limitato alla somministrazione di nozioni accademiche: serve un approccio di coaching per stimolare un salto culturale, serve la condivisione di best practice di riferimento e di esperienze concrete per dare un’evidenza credibile dei benefici che il cambiamento può portare.
Come procede Avanade con i suoi clienti nei progetti di Change management?
Coerentemente con quanto detto finora, il nostro approccio vede la chiave di volta nelle persone e nel valore della loro esperienza.
È per questo che spesso suggeriamo di partire da progetti pilota per poi estenderli al resto dell’organizzazione facendo leva su figure interne all’azienda che ricoprano il ruolo di agenti del cambiamento. È importante che questi pionieri della trasformazione siano a bordo del progetto sin dalle fasi embrionali, che siano consapevoli del perché è necessario cambiare e siano convinti dei benefici che ne deriveranno per se stessi e per i colleghi dando loro l’occasione di sperimentarli in prima persona. Per questo le soft skill che più contano qui sono l’assertività, la capacità di comunicazione e di ascolto oltre che l’empatia.
Cerchiamo anche di stimolare nelle persone l’attitudine alla proattività e al mutuo soccorso: i nuovi strumenti di lavoro sono sempre più “cloni” delle applicazioni che utilizziamo quotidianamente nella nostra vita personale, dove siamo abituati a trovare da soli, o grazie all’aiuto di amici o al supporto del nostro network, le soluzioni a eventuali problemi che incontriamo ogni qual volta cambiamo device o un’applicazione sul nostro smartphone viene aggiornata alla versione più recente. È un modello valido nel lungo periodo, perché il cambiamento è continuo.
Il 26 marzo Digital4Executive organizzerà un webinar con Avanade sul tema “Digital Workplace e Change management: come cambia il lavoro nel 2020” in cui saranno presentati anche due casi concreti: Gruppo Angelini e Inail. Qual è il filo conduttore di queste esperienze?
Il focus sulla cultura e sull’Employee Experience: è questo che permette di ottenere una trasformazione di successo. I due casi hanno approcci diversi ma il fil rouge è quello.
In entrambi i casi la trasformazione digitale è stata guidata da un approccio di Change Management perchè in entrambe le organizzazioni era già matura la sensibilità che il valore di business atteso dall’investimento avrebbe potuto realizzarsi solo grazie ad un’adozione diffusa e consapevole di un nuovo modo di lavorare.
Se si trascura la parte Change management, la trasformazione digitale non potrà che essere una trasformazione a metà.