Alcune trasformazioni erano già in atto e il Covid-19 ne è stato l’acceleratore. Per altri versi, invece, l’impatto della pandemia ha provocato una sterzata in una direzione non prevista. Quel che è certo è che quello che abbiamo vissuto ha cambiato il nostro modo di lavorare sia da un punto di vista pratico, sia da quello dell’approccio umano, con implicazioni a lungo termine anche sulla funzione delle risorse umane e sul ruolo delle aziende. Gartner, multinazionale che si che si occupa di consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo della tecnologia dell’informazione, ha condotto un’analisi e ha individuato i 9 trend che in futuro orienteranno il lavoro a livello globale. Eccoli.
Indice degli argomenti
1. Lavoro agile
Il primo e più evidente cambiamento di questi ultimi mesi è stato il lavoro a distanza, che si tratti di Smart Working (con flessibilità di luogo e orario e focus sul raggiungimento di obiettivi) o remote working (in questo caso il dipendente, pur lavorando da remoto, è tenuto al rispetto degli stessi orari che avrebbe osservato in ufficio). Secondo Gartner, saranno sempre di più le persone – quasi il 50% – che lavoreranno a distanza almeno per una parte del tempo, contro il 30% di prima della pandemia.
In Italia le percentuali pre-Covid-19 erano più basse. Una nota dell’Osservatorio per i Conti Pubblici dell’Università Cattolica cita un rapporto di Eurofound del 2017 che posizionava l’Italia in fondo alla classifica dei Paesi UE per la diffusione dello Smart Working tra i lavoratori, con un 7% dei dipendenti a farne ricorso, rispetto al 12% della Germania, al 25% della Francia e al 26% del Regno Unito. Ma già nel 2019, i dati dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, stimavano che i lavoratori smart in Italia nel 2019 fossero 570mila (il 20% in più rispetto al 2018). Accanto a questi studi, alcune ricerche elaborate in seguito allo scoppio dell’epidemia hanno cercato di stimare la percentuale di occupazioni potenzialmente eseguibili in modalità Smart Working nel nostro Paese: un recente contributo (T. Boeri et al., 2020), sempre citato dall’OCPI, stima tale percentuale attorno al 24% della forza lavoro.
Con l’adattarsi del sistema produttivo alle nuove esigenze, anche l’HR dovrà essere in grado di individuare e valorizzare le competenze indispensabili a rendere efficace il lavoro da remoto, in primis quelle digitali. A evolvere sarà anche il concetto di leadership: stili di gestione, valutazioni e obiettivi dovranno adattarsi ai bisogni di un team che lavorerà in modo flessibile.
2. Utilizzo dei dati dei dipendenti
Il lavoro a distanza aumenterà la raccolta dei dati passivi dei dipendenti – registrazione virtuale e orari in entrata e in uscita, uso di computer e telefono, email, chat e comunicazione interna, movimenti e localizzazione dei dati. Al momento il 16% delle aziende già dichiara di raccoglierli, ma nuovi protocolli di salute e sicurezza potrebbero richiedere di farlo in modo più ampio ed esplicito. È inoltre possibile che tali dati influenzino la valutazione della produttività dei dipendenti. Di qui la necessità di tecnologie che ne migliorino la memorizzazione, la gestione e l’analisi. E, soprattutto, di policy che ne regolamentino l’utilizzo da parte dell’azienda e di terzi.
3. Il datore di lavoro come rete di sicurezza sociale
Le aziende saranno chiamate a rivestire un ruolo sociale sempre più importante su questioni come il minimo salariale, l’aumento del congedo parentale, la parità effettiva tra i sessi. Negli USA, ad esempio, nel 2017, un centinaio di compagnie – da Apple a Facebook e Microsoft – avevano firmato il ricorso a una corte d’appello della California contro il decreto di Trump che bloccava l’immigrazione da sette Paesi. In Italia si va in questa direzione attraverso il Family Act, progetto di legge destinato a introdurre una serie di misure di sostegno alle famiglie (un rinnovo della disciplina dei congedi parentali e di paternità; incentivi al lavoro delle madri).
4. Lavoro a contratto
Le aziende faranno maggiore ricorso a lavoratori occasionali per ridurre i costi e aumentare il personale. Saranno quindi indispensabili piani di sviluppo per coinvolgere nel gruppo i gig workers (lavoratori in proprio che intervengono solo quando c’è richiesta) e migliorarne le competenze. Un modello di impiego non tradizionale che, però, per funzionare avrà bisogno di nuovi sistemi di valutazione e inclusione. E, soprattutto, di nuove tutele, che stabiliscano se i lavoratori a contratto abbiano diritto agli stessi benefici rispetto ai colleghi full time.
5. Competenze chiave
Le aziende ridefiniscono le competenze chiave, quelle cioè necessarie a raggiungere obiettivi strategici. Tali competenze, però, non sono più sinonimo di ruoli in senso tradizionale. Compito dell’HR sarà quindi di motivare i dipendenti a sviluppare professionalità che moltiplichino le loro opzioni, non limitandosi a prepararli per una specifica mansione successiva.
6. Un lavoro (dis)umanizzato?
Destreggiarsi tra bisogno di empatia e produttività solleva una domanda: cosa è troppo da chiedere ai dipendenti? Nella mediazione tra le diverse esigenze sarà fondamentale il ruolo dell’HR: da un lato per spingere i manager a sviluppare intelligenza emotiva e soft skill per capire cosa è ragionevole aspettarsi da un team che lavora in remoto; dall’altro per aiutare i dipendenti a soddisfare queste richieste e rafforzare la cultura dell’inclusione.
7. Il livello di un’azienda si vede nella risposta alla crisi
Tra i cambiamenti meno prevedibili provocati dalla pandemia, c’è anche una nuova percezione della reputazione dei datori di lavoro. Le decisioni prese ora e la risposta a questo momento di difficoltà segneranno uno spartiacque per gli anni a venire e saranno un segno distintivo dell’azienda. Chi ora dimostra il proprio impegno nei confronti dei dipendenti – sia in termini di supporto, sia nel comunicare i motivi delle decisioni – verrà considerato in futuro un brand di alto livello.
8. Resilienza
Prima del Covid-19 la maggior parte delle riorganizzazioni era focalizzata sull’aumento dell’efficienza. La pandemia però ha dimostrato quanto la resilienza non sia un fattore secondario rispetto alla produttività. Di qui la necessità di adattare rapidamente le competenze e il modello di lavoro – comprese le possibilità di carriera – ai cambiamenti in atto, ridisegnando ruoli, strutture e processi attorno al risultato che si desidera ottenere.
9. Complessità organizzativa
Un’altra conseguenza della crisi saranno salvataggi e nazionalizzazioni, assieme a un probabile aumento di fusioni e acquisizioni globali che andranno di pari passo con il calo della pandemia. Sarà quindi opportuna una transizione a modelli operativi agili e flessibili, impiegando le risorse per risolvere i problemi e smantellando la burocrazia.