L’anno 2025 è stato frequentemente adottato come riferimento temporale per molti programmi e progetti di innovazione promossi da Governi, Istituzioni e Aziende. Com’è naturale che sia è giunto quindi il momento per fare il punto sui risultati effettivamente conseguiti e definire anche nuovi obiettivi e priorità per i prossimi cinque anni.
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2025: anno di bilanci e ripartenze
È quindi arrivato il momento per valutare i risultati conseguiti e stabilire i nuovi obiettivi per i prossimi cinque anni.
Anche per chi si occupa di capitale umano in azienda, Direzione HR in primis, il 2025 diventa quindi l’occasione per fare il punto nave e tracciare la nuova rotta e le priorità.
Il quinquennio 2020-2025 è stato caratterizzato da grandi cambiamenti nel mondo del lavoro condizionati da fenomeni con impatti difficili da decifrare e che hanno messo a dura prova persone e organizzazioni: basti pensare alla pandemia, alla crisi dell’engagement e alla necessità di fare i conti con un’Intelligenza Artificiale che ormai è entrata a far parte della nostra quotidianità, anche lavorativa.
Come ha sottolineato Mariano Corso in una nostra recente videointervista, «l’introduzione dell’AI nelle nostre organizzazioni è ben più di una moda, ed è anche più di una innovazione tecnologica. È una rivoluzione destinata a trasformare le nostre organizzazioni e il mercato del lavoro. Ma la direzione in cui questa trasformazione avverrà, ed il suo effetto sulle organizzazioni, le persone, la società, l’impatto sul mercato del lavoro e la sua inclusività sono tutt’altro che scontate: dipenderanno da noi, da come sapremo comprendere, abbracciare, valorizzare e disciplinarla».
Le 6 priorità 2025 per la Direzione HR
Il nuovo anno si apre quindi con la consapevolezza che gli HR Professionals dovranno affrontare già da subito alcune tematiche che caratterizzeranno profondamente tutto il prossimo quinquennio. Obiettivo: ripensare la relazione con le persone, punto centrale della strategia di ogni azienda, e definire nuove prassi e modelli di lavoro, che tengano conto anche delle rinnovate esigenze.
E allora, insieme a Emanuele Madini, Senior Manager di Methodos, e Marco Pinciroli, Senior Consultant di Methodos, abbiamo deciso in continuità con gli altri anni di inquadrare le priorità su cui la Direzione HR dovrà lavorare nel 2025.
AI: dalla selezione al perfomance management un alleato per la Direzione HR
«L’Intelligenza Artificiale sta trasformando il panorama aziendale globale, e il suo mercato è destinato a raggiungere un valore di 1,8 trilioni di dollari entro il 2030 – sottolinea Pinciroli -. Anche per chi si occupa di HR, l’AI sarà il trend più rilevante nei prossimi 3-5 anni e avrà un forte impatto sia sui processi di gestione e sviluppo delle persone, sia sull’evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro».
Who's Who
Marco Pinciroli
Senior Consultant di Methodos
Dalle Ricerche dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, emerge che il 69% delle Direzione HR sta sperimentando l’utilizzo dell’AI soprattutto nei processi di selezione dei candidati (34%) dove le applicazioni più diffuse riguardano la scrittura delle Job Description, l’analisi dei CV o il supporto informativo al candidato nelle fasi di selezione.
Anche nella formazione e analisi delle competenze si sta iniziando a valutare di ricorrere all’Intelligenza Artificiale (24%), per esempio per guidare le persone nella definizione di piani di sviluppo e carriera sulla base di informazioni su interessi, competenze ed esperienze fatte.
«È sempre più chiaro che l’AI non è solo un trend tecnologico che favorisce l’automazione e l’efficientamento dei processi, ma è anche un’occasione per ripensare con attenzione e in modo consistente i modelli e le attività HR. A questo proposito, a nostro avviso uno degli ambiti di adozione che ne potrà più beneficiare è il performance management, che tra tutti i processi HR è quello che a oggi ha colto ancora in modo più limitato le potenzialità tecnologiche ed è rimasto ancorato a riferimenti tradizionali.
Grazie agli strumenti avanzati di analisi predittiva, l’AI permette di raccogliere rapidamente una grande quantità di informazioni sulle performance di team e persone, favorire i feedback tempestivi e personalizzati e supportare la definizione di obiettivi allineati alla strategia aziendale. Non da ultimo, l’integrazione della Generative AI (GenAI) consente di ricorrere a soluzioni come i chatbot per guidare i responsabili nella definizione di obiettivi chiari e nella creazione di feedback più efficaci e bias-free, potenziando al contempo le loro competenze in questi ambiti e favorendo una cultura del miglioramento continuo».
Per governare questa trasformazione con successo, uno dei punti di attenzione è il coinvolgimento attivo della Direzione HR, che deve diventare essa stessa uno degli sperimentatori attivi della tecnologia e contribuire a guidare il processo di cambiamento con particolare attenzione al coinvolgimento positivo delle persone e all’evoluzione di ruoli e competenze.
Wellbeing tra le priorità 2025 per la Direzione HR: serve un approccio sistemico
Il 2024 aveva già evidenziato un tema destinato a diventare centrale nel 2025: il benessere dei dipendenti. Secondo l’ultima ricerca dell’Osservatorio HR del Politecnico di Milano, la ricerca di maggiore wellbeing, per la prima volta, è stata la motivazione principale che ha spinto le persone a cambiare lavoro.
«Questo trend non fa altro che sottolineare una presa di coscienza delle persone guardano con più attenzione e sensibilità il tema del benessere e lancia un chiaro avvertimento alle Organizzazioni e ai loro Leader – dice Madini -: non è più sufficiente proporre iniziative focalizzate solamente sui singoli individui (come il supporto psicologico, i percorsi di formazione e le app sul mindfulness,…) ; è necessario adottare strategie che impattino sul benessere in modo davvero sistemico agendo su quelle variabili organizzative e culturali che oggi sono più collegate».
Who's Who
Emanuele Madini
Senior Manager di Methodos
Tutto questo diventa ancora più urgente se si considera la “crisi di ingaggio” che sta colpendo i lavoratori a livello globale, con appena il 23% delle persone ingaggiate, percentuale che scende al 13% in Europa e all’8% in Italia, come rileva Gallup. Dopo la cosiddetta e rinomata “Great Resignation“, assistiamo oggi al fenomeno del “Great Detachment“, un distacco emotivo verso l’organizzazione che lascia molte persone in uno stato di stallo lavorativo. Questo non solo riduce la produttività nel breve termine, ma compromette anche il potenziale di crescita a lungo termine delle organizzazioni.
«Per rispondere a queste sfide, le Direzioni HR devono adottare un approccio olistico al wellbeing, andando oltre le classiche politiche di welfare aziendale e lavorando su Employee Experience, Cultura, modelli di Leadership. Ogni azienda deve costruire la propria Wellbeing Value Proposition. Inoltre, ascoltare e coinvolgere i dipendenti nella progettazione di queste iniziative non solo ne aumenta l’efficacia, ma rafforza anche il senso di appartenenza e partecipazione, elementi fondamentali per ricostruire l’engagement», ribadisce Madini.
Trust and Purpose: il binomio che rafforza il senso di appartenenza all’azienda
Secondo Madini, il 2025 sarà anche l’anno in cui la Purpose-Driven Leadership diventerà centrale. «È sempre più chiara la posizione delle persone, in particolare delle nuove generazioni, che considerano il purpose aziendale una priorità nella scelta del proprio datore di lavoro – ribadisce -. Questa evidenza sottolinea un cambiamento epocale: il Purpose non è più un “nice-to-have”, ma un driver strategico che influenza l’engagement, la retention e la performance organizzativa».
D’altronde fenomeni come il Great Detachment e il Quiet Quitting amplificano l’importanza di una leadership che sappia guidare le persone verso una visione condivisa, capace di rispondere alle ansie e alle fragilità tipiche del contesto BANI (Brittleness, Anxiety, Non-linearity, Incomprehensibility). «In questo senso, la leadership guidata dal purpose va oltre la tradizionale gestione dell’organizzazione del lavoro e si fonda su un forte allineamento strategico, in cui il Purpose diventa la vera chiave di significato da trasferire alle persone e con cui guidare attraverso comportamenti coerenti».
Facendo riferimento alle indagini di Great Place to work, è possibile notare che nelle aziende Best Workplaces competenza, valori e visione del management sono valutate, mediamente, al 90%, portando la fiducia verso l’alta direzione a valori prossimi al 94%. Al contrario, nelle altre aziende, la valutazione sui fattori chiave arrivano al 73%, comportando una fiducia di 85 punti percentuali, 10 in meno rispetto alle Best Workplaces.
«Per le Direzioni HR, adottare un approccio Purpose-Driven significa ripensare l’Employee Value Proposition (EVP) per renderla coerente con valori e Purpose aziendali e sviluppare programmi di leadership che enfatizzino il ruolo del purpose come leva di ingaggio delle persone».
Diversità, equità e inclusione: largo agli strumenti di analisi per definire strategie e programmi
Anche nel 2025, la DEI continuerà a essere un pilastro fondamentale per le organizzazioni che aspirano a creare ambienti di lavoro equi e inclusivi. Sulla base delle Ricerca di Top Employers Institute, il 41% delle aziende continua a dare priorità a questi aspetti, segnando un aumento di 18 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
«In particolare – osserva Madini -, nelle aziende più virtuose, le Direzioni HR stanno passando da iniziative di comunicazione e sensibilizzazione ad approcci DEI sempre più integrati nell’Employee Experience e nei processi HR e con un focus il più ampio possibile rispetto a tutte le possibili diversità e con un’attenzione crescente anche verso la neurodiversità. Un aspetto chiave del futuro della DEI sarà il miglioramento degli strumenti di analisi e metriche, per cogliere meglio le diverse sfaccettature della diversità in tutte le sue forme, rispettando allo stesso tempo la privacy delle persone. Questo può portare poi a sviluppare iniziative e strategie che siano il più possibile trasversali superando la polarizzazione tra gruppi o la focalizzazione su singoli aspetti di diversità».
Skill Based Organization per puntare sulle competenze dinamiche delle persone
Con il 39% delle competenze attuali destinato a diventare obsoleto entro il 2030 (World Economic Forum), le Direzioni HR devono accelerare la transizione verso un modello basato sulle competenze. «Questo dato evidenzia l’urgenza per le aziende di adottare strategie di reskilling e upskilling- ricorda Pinciroli -. Non sorprende infatti che il 63% dei datori di lavoro identifichi il gap di competenze come la principale barriera alla trasformazione aziendale. In questo quadro la parola d’ordine diventa skill-based organization, che porta all’adozione di un approccio incentrato sulle competenze dinamiche delle persone piuttosto che sui ruoli tradizionali e statici. La skill-based organization favorisce flessibilità, upskilling continuo e un uso ottimale delle risorse».
Una ricerca di Deloitte, condotta su oltre 1.200 professionisti in 10 Paesi, rivela che il 98% dei leader aziendali concorda sulla necessità di trasformare la propria organizzazione in una skill-based organization. Tuttavia, emerge una significativa discrepanza tra le aziende che stanno sperimentando questo approccio e quelle che lo applicano in modo diffuso. Il 2025 potrebbe rappresentare un punto di svolta, favorendo un’adozione più ampia e strutturata di questo modello.
«Le Direzioni HR possono guidare la transizione verso una skill-based organization mappando le competenze attuali e future necessarie all’azienda. Investire in programmi di reskilling e upskilling, utilizzare piattaforme digitali per la gestione delle competenze e promuovere una cultura di apprendimento continuo sono ulteriori passi chiave per favorire la trasformazione e mantenere la competitività».
Smart Working e settimana corta: è tempo di fare uno step evolutivo sui modelli di organizzazione del lavoro
«Dal punto di vista dello Smart Working, il 2024 è stato caratterizzato dalle clamorose notizie di importanti aziende come Amazon e JPMorgan che hanno richiesto alle persone di tornare a lavorare prevalentemente in ufficio – sottolinea Madini -. Si è riaperto quindi il dibattito sullo Smart Working in modo contradditorio e potenzialmente fuorviante concentrandosi su una mera contrapposizione tra lavoro da remoto e lavoro in presenza, senza invece creare consapevolezza sulla vera sfida di riprogettazione dell’esperienza lavorativa “ibrida”».
I dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano dimostrano che il fenomeno in Italia non è in declino, ma anzi le iniziative nelle organizzazioni sono stabili rispetto all’anno scorso e il numero di lavoratori che possono adottare lo Smart Working è in crescita soprattutto nelle grandi imprese.
«Le Direzione HR non devono quindi abbassare la guardia rispetto allo Smart Working. Da una parte il processo di cambiamento di comportamenti, modelli di Leadership e modalità di lavoro a distanza non è ancora completo e serve responsabilizzare i team nel progettare le nuove esperienze di lavoro in modo da valorizzare il senso di appartenenza, la socializzazione, l’efficacia lavorativa e le occasioni di collaborazione e innovazione. Dall’altra parte, è arrivato il momento per fare uno step evolutivo sui modelli di organizzazione del lavoro per rispondere alle nuove sfide legate a crisi demografica, talent shortage e disingaggio.
In questo senso, la settimana corta sta riscontrando sempre più interesse nelle organizzazioni anche se le iniziative di sperimentazione avviate presentano una grande eterogeneità dei modelli e delle pratiche adottate (es. settimana compressa, venerdì brevi, …). Di certo, le prime esperienze mostrano una grande potenzialità di applicazione della settimana corta soprattutto a ruoli e professioni come quelli legati alle fabbriche (vedi casi Luxottica e Lamborghini) che sono stati fin a oggi meno coinvolti dallo Smart Working e che potrebbero quindi beneficiarne maggiormente», conclude il Manager.