L’emergenza sanitaria ha richiesto alle aziende un profondo cambiamento delle modalità di organizzazione del lavoro e di gestione delle relazioni con le persone. Il ritorno a una «nuova normalità» sarà graduale, nel 2021 si intravedono nuove sfide e la Direzione HR non dovrà sprecare il bagaglio di esperienza e sperimentazione conseguito con il ricorso al lavoro da remoto. Negli ultimi mesi abbiamo assistito infatti a un’adozione estesa degli strumenti tecnologici e a un aumento dell’attitudine al digitale delle persone. Tutto questo è stato possibile grazie al supporto della Direzione HR, chiamata ad accelerare alcuni cambiamenti dei processi, tra cui il recruiting e l’induction delle nuove persone, la formazione, la valutazione delle performance e il monitoraggio dei livelli di engagement.
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Tanti quindi gli aspetti toccati in questa nuova era, aspetti di cui ha parlato Emanuele Madini, Practice Leader dell’area “Smart Working & HR Transformation” di Partners4Innovation, in occasione di Richmond Human Resources Forum 2020.
«Le direzioni del personale sono quelle più coinvolte in questo delicato passaggio che stiamo vivendo – ha ricordato Madini -. Quando si pensa all’organizzazione del lavoro, ci sono 3 livelli di sfida oggi: per le persone, per le aziende, e per la società nel suo complesso. Da un lato si tratta di fare propri nuovi modelli di lavoro e di leadership, dall’altro bisogna rispondere alle esigenze dell’immediato (come la garanzia delle distanze di sicurezza) e però contemporaneamente guardare al futuro per accelerare le iniziative. Infine, bisogna fare i conti con il fatto che sta cambiando il modo in cui si vive la città dal punto di vista lavorativo: ecco perché sarà necessario che centri come Milano, Roma e Torino, prevedano dei progetti di rivisitazione».
Indice degli argomenti
Le sfide 2021 della Direzione HR
Estensione e consolidamento dello Smart Working, creazione di nuove employee experience “phygital”, employability e sviluppo competenze digitali, employee engagement e wellbeing, nuovi modelli di leadership e “distance management”, nuove regole e comportamenti lavorativi: sono queste le sei sfide che la Direzione HR sarà chiamata ad affrontare nel 2021.
Come ha sottolineato Madini, «prima dell’emergenza Covid lo Smart Working era usato occasionalmente, adesso assisteremo alla sua estensione e consolidamento: questo richiederà molto ai team e alle funzioni organizzative in termini di ripensamento dei propri processi, andando a delineare quello che si fa (e come lo si fa) quando si è in ufficio e quando si lavora da remoto».
Di pari passo bisognerà gestire il tema delle competenze digitali: «La situazione che stiamo vivendo ci proietta in avanti di qualche anno rispetto alle nuove attitudini digitali da promuovere nelle persone. Le Direzioni HR dovranno prevedere programmi di upskilling e reskilling per mantenere pienamente attiva e produttiva la forza lavoro, cercando di coglierne le potenzialità».
HR Tech: gli strumenti nella cassetta degli attrezzi della Direzione HR
Adesso, ancora più di prima, il tema della tecnologia applicata ai processi HR diventa chiave, non solo per supportare le persone a svolgere il loro lavoro, ma anche per avere costantemente un quadro chiaro della situazione (cosa più complessa ora che molte persone lavorano da remoto) ed eventualmente intercettare dei segnali di allarme. «Per le Direzioni HR i dati e le informazioni raccolti dagli applicativi in uso diventano ancora più preziosi per tarare la people strategy – ha ricordato Madini -. È arrivato il momento di abbandonare l’approccio classico di gestione delle risorse umane, che puntava su omogeneizzazione e standardizzazione. Dovremmo cercare sempre di più, anche perché le nuove tecnologie lo consentono, di andare verso un management di precisione: la Direzione HR e i manager devono avere a disposizione strumenti e approcci che permettano di gestire il singolo capendone le esigenze, le difficoltà, le necessità di miglioramento e crescita. Si tratta di gestire ciascuno quasi individualmente».
Quando si guarda al cambiamento ci sono, in particolare, sei ambiti su cui le tecnologie in questo momento hanno un potenziale enorme:
- Recruiting e induction: se già prima dell’epidemia diverse aziende – tra cui Ikea e Unilever – avevano adottato delle soluzioni per gestire le fasi iniziali di recruiting, ad esempio con i video colloqui, adesso è plausibile aspettarsi che l’adozione di questi sistemi diventerà più capillare. Rispetto al tema dell’induction e quindi dell’introduzione nel nuovo ambiente di lavoro invece le aziende stanno cominciando a trovare adesso nuove modalità, sarà interessante capire come lo gestiranno.
- Formazione: è sempre più continua e personalizzata. In questo caso le nuove tecnologie non abilitano solo il percorso di e-Learning, ma si stanno spingendo oltre: ad esempio con intelligenza artificiale e big data è possibile creare coach virtuali, che danno consigli e supporto alle persone su come far evolvere i propri modelli di lavoro.
- Performance Management: con il New Normal assisteremo a un’evoluzione dei modelli di lavoro, ecco perché si dovranno rivedere i sistemi e gli approcci di performance management.
- Working experience: la tecnologia diventerà sempre più un valido aiuto per le persone, anche per fare un’autodiagnosi sui comportamenti e sulle abitudini lavorative. Per esempio, i dipendenti di Google accedono a una dashboard personale che riporta il resoconto delle ore passate in riunione, del numero di email mandate, degli orari del giorno e della notte in cui si è lavorato. Questi strumenti permettono anche all’HR di avere sotto controllo come stanno cambiando le abitudini lavorative.
- Comunicazione interna: in quest’ambito prenderanno piede gli strumenti mutuati anche dal mondo dei social network, per creare socialità, senso di appartenenza, comunicazione anche in modo virtuale.
- Engagement e wellbeing: innanzitutto servirà avere gli strumenti giusti per capire se i nuovi modelli di lavoro hanno un impatto positivo o negativo sui livelli di engagement. Inoltre, i servizi di welfare dovranno cambiare veste e abbracciare anche il lavoro da remoto.
Dal performance management al performance development
Madini ha poi affrontato in modo più approfondito due temi particolarmente importanti quando si inquadrano le sfide 2021 della Direzione HR: il performance management e l’engagement dei dipendenti.
«Le discontinuità e l’esperienza dell’emergenza hanno messo ancora più in luce l’inadeguatezza dei sistemi e dei modelli di performance management adottati dalle aziende. I sistemi tradizionali di valutazione annuale di performance sono time consuming, spesso troppo soggettivi, non esaustivi e si focalizzano soltanto sulle performance passate. Dal performance management si deve arrivare al performance development: ovvero un sistema che permetta non solo di valutare le performance ma anche di indirizzarle durante l’anno e di allinearle rispetto agli obiettivi attesi. L’idea è andare verso un approccio che preveda feedback continui, rapidi, semplici e flessibili, orientati a valutare le performance non passate ma quelle attuali, anche con l’ausilio di app sviluppate ad hoc, magari internamente. Per mettere in atto il cambiamento serve il supporto dell’HR e una rivisitazione del ruolo che ha il capo, che deve diventare sempre più un coach che affianca le persone e supporta la loro crescita professionale». In quest’ottica, idealmente, all’inizio dell’anno ci dovrebbe essere un momento di confronto in cui si assegnano gli obiettivi individuali e le priorità di sviluppo, e prevedere poi durante l’anno degli incontri per fornire un feedback continuo. «È importante inoltre dopo aver scambiato più feedback prevedere dei touch point, ovvero dei momenti di discussione più qualitativi e diretti, non mutuati da uno strumento, in modo da arrivare alla fine con una storia scritta di come è andato l’anno. In estrema sintesi è fondamentale in qualche modo collegare il processo di performance development, legato al continuous feedback, con quello di performance management» ha sottolineato Madini.
Puntare sull’engagement dei dipendenti per non ostacolare il cambiamento
Come si diceva l’engagament dei dipendenti rientra tra le sfide 2021 per la Direzione HR. Innanzitutto, è importante non limitarsi a connotarlo solo con la soddisfazione dei dipendenti. Con engagement ci si riferisce al legame più forte e duraturo che si crea tra l’azienda e il lavoratore: è un sentimento di adesione a un purpose, che si ottiene quando si riesce a stimolare nelle persone un senso di fiducia e di condivisione della mission, dei valori, della visione dell’azienda. «Adesso poi, più che mai, – ha ricordato Madini – lavorare sull’engagement vuol dire creare nelle persone una sensazione di sicurezza psicologica e fiducia nel futuro: un dipendente ingaggiato si sente protetto dalla sua azienda, è consapevole che l’azienda si prende cura delle persone non in termini di assistenzialismo, ma in termini di cura della crescita professionale e soprattutto della tua employability, anche nel lungo periodo».
Ma perché è così importante avere una strategia di Employee Engagement? «Le persone non ingaggiate hanno due problemi: da una parte, c’è una correlazione lineare fa l’engagement delle persone e la produttività, dall’altro persone non ingaggiate possono determinare probabilità di fallimento di progetti di cambiamento più alte».
A disposizione delle Direzioni HR per favorire l’employee engagement ci sono i metodi tradizionali sin qui già messi in campo, come i colloqui con i manager, i focus group e le survey di clima; ma considerando che andiamo verso uno scenario in cui il modello di lavoro ibrido perdurerà è necessario valutare l’adozione di strumenti più scientifici, continui, real time che diano un’indicazione sia alla Direzione HR, ma anche manager, sullo stato dell’engagement delle persone, per poter intervenire contestualmente dove c’è un problema.
Ma quando il livello di engagement delle persone è alto? «Lo è se le persone hanno obiettivi chiari, se ricevono feedback continuo, se percepiscono un’interazione sociale positiva all’interno del proprio team e all’interno dell’azienda, di avere delle sfide bilanciate rispetto alle proprie competenze, di migliorare nel loro lavoro, che c’è la cultura dell’errore e se hanno una sensazione di controllo su quello che fanno».
Tutte queste cose possono essere valutate ad esempio con l’ausilio di App come Beaconforce, ma ovviamente «lo strumento non sostituisce il rapporto umano che ci deve comunque essere fra manager e persone: è un modo per strutturare meglio le interazioni, avere una base di linguaggio comune, e uno spunto per parlare e capire se ci possono essere degli elementi miglioramento», ha concluso Madini.