Workplace significa posto di lavoro. L’accezione fa riferimento a quella trasformazione profonda del mondo del lavoro caratterizzata da una nuova flessibilità portata dalle tecnologie digitali. Il concetto rappresenta l’evoluzione di quelle PDL (Postazioni di Lavoro) che, tipicamente, avevano come sede d’elezione l’ufficio. Oggi la produttività individuale è sempre più legata a quella aziendale. Il perché è noto: dall’arrivo dei personal computer prima e di Internet poi, a cui hanno fatto seguito le tecnologie mobili associate a smartphone, tablet e tutto l’ecosistema delle app nonché le tecnologie as a service legate al cloud. Il digitale ha portato a un cambiamento nei modi, nei tempi e nei luoghi del lavoro. Dal workplace 1.0 al workplace 4.0, la storia ci racconta cosa è cambiato e perché.
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Workplace: non è più questione di ubicazione ma di equipaggiamento
Oggi per lavorare (cioè per scrivere, telefonare, inviare e ricevere la posta, condividere informazioni, documenti e messaggi, fare riunioni, portare avanti progetti, programmi o processi) ognuno utilizza una pluralità di applicazioni e di dispositivi. Questo in maniera sempre più indipendente da dove ci si trovi a lavorare: anche se si chiama workplace, infatti, non è più il luogo a costituire un prerequisito fondamentale del lavoro. L’abilitatore è l’equipaggiamento tecnologico (hardware e software): per questo il digital workplace impone alle imprese di impostare nuovi criteri di gestione delle identità e degli accessi, per abilitare una comunicazione che avviene in modo sempre più indipendente dal perimetro fisico dell’organizzazione. Le PDL richiedono una dotazione software che può essere configurata e distribuita in modo diverso a seconda della profilazione degli utenti: dipendenti, collaboratori, partner, dirigenti, clienti e via dicendo. Gli spazi dell’ufficio di conseguenza mutano per conformarsi alle nuove esigenze, aiutando le aziende a fare affari in un’era fatta di servizi e applicazioni che aiutano i lavoratori a operare in una dimensione bimodale, fisica e digitale.
Evoluzione del workplace: dall’1.0 alla 4.0
La Unified Communication & Collaboration, ovvero tutto l’insieme di soluzioni e piattaforme per la comunicazione, lo scambio, la sincronizzazione e l’archiviazione delle informazioni, è un capitale digitale che, grazie anche all’evoluzione della Internet of Things e del machine learning, sta influenzando i modi e i tempi del lavoro. Vediamo, in sintesi, la cronistoria dello sviluppo.
Nell’era 1.0 il lavoro d’ufficio aveva una dotazione di base che prevedeva l’uso di una sedia, di una scrivania, di un telefono fisso e una macchina da scrivere. Lo spazio includeva armadi in cui riporre tutta la documentazione cartacea relativa alla corrispondenza, ai contratti, agli ordini, ai progetti e, in generale, a tutta la burocrazia amministrativa dell’azienda.
Nell’era 2.0 negli uffici arrivano i primi computer. La dotazione base di una postazione di lavoro è costituita da uno schermo, una tastiera e un mouse sulla scrivania e, sotto il pianale, il computer. Le comunicazioni, oltre al telefono fisso comprendono spesso una stampante e un fax. In affiancamento al mondo analogico arriva il mondo digitale.
Nell’era 3.0 arriva Internet che cambia profondamente le modalità di comunicazione all’interno e all’esterno delle aziende. Le postazioni di lavoro sposano le logiche client/server: i computer si fanno più snelli mentre la digitalizzazione delle informazioni e dei servizi favorisce nuovi modelli di scambio e di relazione. Le stampanti, diventando multifunzione, vengono condivise da più postazioni contemporaneamente.
Nell’era 4.0 il workplace capitalizza il meglio dell’evoluzione digitale: IoT, Cloud, tecnologie mobile, smart signage e tecnologie touchscreen, intelligenza artificiale e machine learning. La qualità e la varietà della comunicazione promuove livelli di condivisione e di collaborazione che permettono di gestire le informazioni strutturate e destrutturate utilizzando diversi punti di accesso e di contatto. Non sono più solo i pc e i dispositivi mobili a permettere di lavorare: nelle sale riunioni gli oggetti rispondono alle esigenze dei dipendenti. E così che le sale riunioni, oltre ai sistemi di videocomunicazione tradizionali, si popolano di tavoli, lavagne e flipboard intelligenti. Le soluzioni più avanzate, oltre a gestire il multitouch, integrano tecnologie di riconoscimento vocale che permettono di dettare appunti tradotti in tempo reale nella lingua degli interlocutori coinvolti nella riunione. Tabelle e schizzi sono perfezionati in automatico da software di modellizzazione che rendono accattivanti anche i layout più approssimati. Insomma: il lavoratore è al centro di una profonda trasformazione digitale, progettata per consentire alla conoscenza destrutturata di essere messa a sistema, migliorando la qualità e la quantità di informazioni condivise.
«Oggi le tecnologie supportano la collaborazione, la socialità e l’accessibilità delle informazioni, permettendo alle persone di lavorare in modo efficace a distanza e all’esterno della sede dell’azienda: oltre a supportare e abilitare nuove modalità di lavoro, permettono di ridurre la sensazione di isolamento delle persone oltre che tempi e costi di trasferta. In tale ambito rientrano unified communication & collaboration, mobile business apps, social computing, virtual desktop infrastructure e, in senso più ampio, il cloud computing» – racconta Emanuele Madini, Associate Partner di P4I-Partners4Innovation.
Workplace 4.0, si parte da qui per arrivare allo Smart Working
Le tecnologie digitali hanno portato a una progressiva frammentazione dell’organizzazione aziendale, introducendo nuovi modelli, nuove logiche e nuove policy organizzative. Dagli uffici gerarchici e ad alveare tradizionali che, di fatto, soffocavano la collaborazione, oggi la cultura aziendale è profondamente cambiata anche grazie al fatto che i lavoratori sono sempre più sensibili e aperti all’uso delle tecnologie, ma anche a dimensioni di socializzazione alternative.
«Trainata dai consumatori, la digital trasformation delle aziende è un processo in atto da tempo – ha spiegato Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Enterprise Application Governance del Politecnico di Milano -. Bisogna considerare che, fino all’arrivo dei millennials, i dipendenti usavano la tecnologia se spronati dall’azienda, che sceglieva le soluzioni e faceva formazione. Non solo: il lavoro era organizzato in silos e ogni ufficio gestiva le proprie attività in modo indipendente, con una logica ad alveare e una gerarchia intrinseca. Nel tempo, questi e altri retaggi organizzativi sono stati messi in discussione perché non corrispondono più a quello che sta succedendo e non rispondono più alle esigenze di business».
Di fatto, l’apertura delle organizzazioni allo Smart Working non sarebbe concepibile senza l’evoluzione del workplace. La chiave di volta? Cambiare il modo di concepire la fruizione del tempo e dello spazio per favorire nuovi modelli di lavoro più efficaci ed efficienti. Gli uffici del futuro, insomma, cambieranno dimensioni spaziali e temporali per supportare una produttività scandita da una forte responsabilizzazione del lavoratore rispetto a compiti e obiettivi. Con una rinnovata attenzione al tema della sicurezza da parte di chi deve gestire la governance di dati, applicazioni ed endpoint.