Il digital workplace è più di un concetto, e ben più di un catalizzatore di soluzioni per la produttività. È un vero e proprio circolo virtuoso. Un nuovo modo di integrare uomo e tecnologia con l’obiettivo di migliorare costantemente le interazioni all’interno dell’organizzazione creando valore e vantaggi sia per l’intero business, sia per le singole risorse umane. È questo il principale salto culturale e di management che un’impresa deve affrontare nel momento in cui intende ridefinire i processi interni sull’onda della digital transformation. La parola d’ordine non è efficienza, è esperienza d’uso. L’efficienza è solo una conseguenza di una user experience efficace, che porta con sé anche l’inestimabile tema della sicurezza. Ne sono convinti Marc Wilkinson e Maria Pardee, rispettivamente Chief Technology Officer e Senior Vice President and General manager della divisione Workplace and Mobility di Dxc Technology. In un lungo articolo apparso sul blog* del colosso dei servizi digitali pensati per il mondo enterprise – nato dalla fusione fra HPE (Hewlett Packard Enterprise ) e CSC -, Wilkinson e Pardee hanno affrontato molte delle questioni oggi sul tavolo dei responsabili HR e IT che hanno ricevuto dal top management il compito di semplificare l’accesso agli strumenti di produttività nell’era del lavoro agile.
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Perché user experience è sinonimo di security
Offrire strumenti accessibili, usabili e intuitivi ai collaboratori – a prescindere dalla loro collocazione geografica e dal fatto che facciano parte dell’organizzazione o che siano partner e fornitori coinvolti in progetti a termine – equivale infatti a costruire un perimetro tanto impalpabile quanto solido attorno alle attività aziendali, sempre più frammentate da fenomeni irreversibili come smart working e internazionalizzazione. Alla base di tutto, sottolineano gli esperti di Dxc Technology, ci sono dati e automazione: ecco perchè si parla di circolo virtuoso. Lungi dall’essere un elemento passivo di questo meccanismo, la componente umana è il fulcro attorno al quale dovrebbe ruotare l’intero ecosistema. Intelligenza artificiale, assistenti virtuali, chatbot sono i mezzi attraverso cui le persone possono mettersi in contatto e dialogare con le applicazioni, affinando la responsività dei programmi man mano che sono utilizzati e generando use case che aiutano HR e dipartimento IT a valutare in modo sempre più preciso l’efficacia del workplace e l’esperienza dell’utente.
Il vantaggio in questo senso è duplice. Da una parte aumenta la soddisfazione dei lavoratori, che hanno a disposizione strumenti sempre più semplici da adottare e adoperare, dall’altra, proprio per questo, si garantisce che non vengano introdotte nel sistema pratiche e applicazioni potenzialmente dannose: ormai chiunque possiede più di un device connesso, e spesso lo utilizza – anche impropriamente – come strumento di lavoro. La mobility ha amplificato a dismisura questa abitudine, e la continua comparsa di nuovi software sui marketplace iOS e Android, così come l’affidamento che sempre di più si fa sugli assistenti virtuali consumer, inducono a trasformare il Bring Your Own Device in un ‘fai da te’ che, in estrema sintesi, è sinonimo di caos e, soprattutto, di vulnerabilità.
Il digital workplace è quindi molto più di un salto evolutivo per stare al passo del mercato, e sbaglia chi in questo senso lo vede come un male necessario sul fronte degli investimenti: è un’opportunità da cogliere per tutte le organizzazioni – a partire dalle piccole e medie imprese – che puntano a rendere il business un flusso di attività performanti, sicure e misurabili, offrendo alla propria forza lavoro una piattaforma integrata di servizi senza soluzione di continuità, con la possibilità – grazie specialmente all’apporto del Cloud – di espandere l’universo applicativo in maniera flessibile.
Come far evolvere il digital workplace: sette elementi da prendere in considerazione
Come si suole ripetere, la sfida, più che tecnologica, è culturale. Sul piano delle soluzioni e dei servizi, infatti, società come Dxc Technology hanno sviluppato offerte che coniugano, verticale per verticale, la sicurezza e l’affidabilità della standardizzazione con la facoltà di implementare funzionalità e strumenti cuciti in modo sartoriale sulle esigenze specifiche di ciascuna azienda. Wilkinson e Pardee identificano infatti sette elementi da tenere in considerazione se si vuole impostare una corretta strategia di crescita fondata sul digital workplace.
Il primo è naturalmente la forza lavoro, o meglio, il modo in cui si intende e sempre più si intenderà l’apporto umano al buon funzionamento dell’organizzazione. Siamo ormai nella gig economy, e questo implica un continuo ricambio di talenti e competenze che va oltre il rapido turnover a cui le aziende stavano cominciando ad abituarsi con l’ingresso dei Millennial nel mondo del lavoro. Il workplace deve quindi garantire l’elasticità indispensabile ad abilitare team multidisciplinari che si formano e si disfano man mano che partono e si esauriscono task e progetti.
Il secondo elemento riguarda la gestione delle risorse umane, da coordinare con modelli di management evoluti, non più verticali ma sempre più appiattiti e focalizzati, ancora una volta, sulle specificità di ciascun progetto.
L’efficienza dei flussi informativi – e siamo qui al terzo punto – sarà quindi alla base della possibilità di correggere in corsa, con un approccio just-in-time, i processi già avviati, per orientare produttività e performance in base a nuovi input ed evidenze emerse dall’analisi dei dati.
A tal proposito, le informazioni devono essere rilevanti: curare i meccanismi in cui si processano per generare e distribuire i report è essenziale per renderle pervasive ed effettivamente utili nel momento in cui occorrono davvero.
Al quinto punto si era già accennato più sopra: l’innovazione deve essere impostata sulle reali esigenze di dipendenti e collaboratori. Le organizzazioni hanno il compito di far incontrare aspettative delle risorse umane e obiettivi di business, incrociando trend e opportunità. In questo senso, dare vita a network informali di supporto nel momento in cui si avvia un progetto di trasformazione può rivelarsi un’esperienza estremamente interessante per favorire scambi di opinioni e feedback, oltre che per avere il polso della situazione rispetto all’effettivo morale della popolazione aziendale.
Il sesto elemento deriva direttamente dal quinto: l’azienda deve sostenere la collaborazione in tutte le sue forme, a maggior ragione garantendo la massima flessibilità nel modo in cui le risorse umane scelgono e adoperano i dispositivi messi loro a disposizione. Porre senza una giustificazione divieti e barriere nella user experience, come abbiamo visto, vuol dire spingere gli utenti a trovare un’altra strada per svolgere le proprie mansioni nel modo più rapido possibile. E quella strada, molto probabilmente, è irta di insidie per la sicurezza aziendale.
L’ultimo punto indicato da Wilskinson e Pardee è invece squisitamente tecnologico: nel compiere il percorso di trasformazione del workplace, tutte le imprese, anche quelle di piccole dimensioni, hanno un alleato che fino a qualche anno fa solo poche organizzazioni potevano permettersi. Parliamo naturalmente dell’intelligenza artificiale e dei processi di automazione per il perfezionamento della user experience su ciascun dispositivo e touch point. Lasciar fare alle macchine il “lavoro sporco” permette di focalizzarsi sull’attività più importante del change management: l’ascolto.
*Fonte dell’articolo è il blog di DXC.