Per tutelare, conservare, valorizzare e promuovere il patrimonio culturale del nostro Paese è tempo di puntare su competenze nuove.
Ne è fermamente convinta Fondazione Kainòn, che promuove l’innovazione nel mondo della cultura, partendo dal presupposto che la tecnologia può aprire la porta a nuove possibilità e che rappresenta un fattore abilitante di cambiamenti che investono il capitale umano e culturale, contribuendo a promuovere il futuro del Paese e lo sviluppo del nostro patrimonio.
A parlarcene è Emanuela Totaro, Segretario generale della Fondazione.
Who's Who
Emanuela Totaro
Segretario generale, Fondazione Kainòn
Indice degli argomenti
Fondazione Kainòn, un ponte per il futuro della cultura
«Consci che l’avanzare delle nuove tecnologie ormai pervade ogni dimensione, si è deciso di facilitare la creazione di un terreno comune di dibattito, confronto e scambio, anche sostenendo sperimentazioni nel settore culturale (con riferimento a istituzioni musicali, spettacolo dal vivo, cinema, biblioteche, musei, ecc…), che abbiano come focus proprio l’innovazione e le sue diverse applicazioni: la realtà virtuale, la realtà aumentata, la realtà mista, la gamification, tanto per citarne qualcuna. In pratica, attiviamo una serie di processi che facilitano l’incontro del settore culturale con le nuove tecnologie, intervenendo sull’ibridazione delle competenze e la sperimentazione di nuovi modelli lavorativi», ha raccontato Totaro.
Il percorso che quindi sta portando avanti si concentra sulla creazione di link tra tecnologia e cultura: «Due mondi che spesso sentono la necessità di venirsi incontro, di dialogare, ma che non hanno ancora né un glossario comune, né un’adeguata consapevolezza sui reciproci fabbisogni e conoscenza dei differenti approcci, oltre che sulle evoluzioni delle tecnologie da utilizzare e sulle loro potenzialità».
La Fondazione, nata nel 2020, ha quindi da un parte il compito di facilitare l’incontro tra fabbisogni e progettualità, capaci di generare ricadute sociali, imprenditoriali e occupazionali e dall’altro è un vero e proprio mediatore che lavora a stretto contatto con istituzioni culturali, enti di ricerca e con chi oggi fornisce la tecnologia, per generare da un lato più consapevolezza e dall’altro più sensibilità in chi si occupa di innovazione sulle reali esigenze e sul ruolo, le mission, il senso dell’agire culturale. In pratica l’obiettivo è creare un match tra domanda e offerta in ottica di comprensione reciproca.
La Fondazione Kainòn lavora in particolare su tre dimensioni:
- Advocacy, con l’intenzione di sensibilizzare, creare momenti di dibattito e confronto e generare più conoscenza e consapevolezza reciproca;
- Competenze, per intercettare e sostenere la formazione di persone che, lato domanda e offerta, riescano a mettere in connessione questi due mondi (tema ripreso anche dal piano nazionale di digitalizzazione);
- Sperimentazioni, con l’obiettivo di generare buone pratiche per un empowerment generalizzato del settore culturale attraverso modelli che possano essere assunti come esempi di qualcosa che può funzionare e che possano essere scalabili anche da altre istituzioni culturali.
Per portare l’innovazione nel mondo della cultura servono le competenze
Disegnare il futuro vuol dire anche avere le persone giuste e con le giuste conoscenze, capaci di lavorare con il digitale e di individuare come sfruttarne le potenzialità per portare avanti progetti che utilizzino anche le nuove tecnologie.
«È un lavoro sfidante – ha ribadito Totaro -. Bisogna sempre ricordarsi che l’ossatura del nostro panorama culturale è composta per lo più da realtà medio-piccole. Pensiamo, ad esempio, ai musei: non hanno quella infrastruttura e le dimensioni che consentono di attirare risorse e circondarsi di team in grado di dare vita a progetti avveniristici».
E a parlare chiaro sono i dati: secondo le rilevazioni dell’Osservatorio dei Beni Culturali del Politecnico di Milano, il 44% dei musei non ha alcuna figura dedicata all’innovazione e il 34% ha delle persone che gestiscono le attività digitali, ma non c’è un team dedicato. Comunque si tratta di risorse legate alla gestione del sito e dei canali social.
« Questo provoca un gap profondo tra il futuro che si intravede – che alcuni hanno già intercettato e fatto proprio – e quello che effettivamente possono fare. La maggior parte delle strutture che cerca di stare dietro a questi trend lo fa con estrema fatica. Ecco perché è importante intervenire, oltre che sulle risorse anche sulle competenze, a patto però di avere una strategia sul digitale ben chiara, per comprendere effettivamente di che tipo di conoscenze si ha bisogno. È, infatti, il digitale stesso che pone un’attenzione specifica su che tipo di competenze sono necessarie: dal digital curator, al community manager, all’UX designer, al digital strategist. E poi c’è un aspetto che non si può tralasciare e sul quale intervenire: il data-literacy per mettere le persone in grado di organizzare, gestire, interpretare e leggere i dati che con il digitale si moltiplicano».
Quello che però, in generale, si richiede a chi lavora nelle istituzioni culturali è saperne interpretare l’approccio in chiave digitale, e come ha sottolineato Totaro, «i musei, per primi, devono cominciare a fare spazio a queste figure».
Non solo nuovi talenti, ma anche aggiornare le competenze già presenti
«Se è vero che da una parte c’è la necessità di porre l’attenzione su nuove figure, dall’altra sono le persone che già lavorano nei musei che, in una logica di integrazione e ibridazione, devono imparare a lavorare col digitale – ha ribadito Totaro -. E noi vogliamo lavorare proprio su questa dimensione, concentrandoci sia sugli aspetti hard, sia su quelli soft. Innanzitutto, cercando di fornire ai vertici le conoscenze (soprattutto sulle potenzialità delle tecnologie, ndr.) che permettono di acquisire quella consapevolezza che poi si traduce in vision. In generale, per le hard skill, legate alla conoscenza dell’approccio al digitale e al modo in cui funzionano determinati strumenti, vogliamo costruire percorsi in partnership con altri operatori, dedicati ai professionisti che provengono dal mondo della cultura. Questo passaggio rientra nella nostra mission di creare un linguaggio comune che permetta il dialogo e la collaborazione con le aziende e i fornitori.
Ma come anticipato occorre lavorare anche sulla sfera delle soft skill, per fornire alle figure più tecniche come i game designer e i programmatori quella sensibilità e quella conoscenza dei meccanismi chiave legati alla valorizzazione della fruizione dei contenuti e delle dinamiche che caratterizzano il settore culturale necessarie per far sì che la progettazione degli strumenti possa avere un valore aggiunto. In merito a questa seconda strada, la Fondazione sta per attivare un corso di formazione con DTC Lazio, il distretto tecnologico del Lazio dedicato alle lauree STEAM, per fornire degli strumenti per operare nell’ambito dei beni culturali. Ma non finisce qui, perché in prospettiva ci sarà l’attivazione di una serie di progetti dedicati a chi lavora nelle istituzioni culturali per fornire non solo conoscenze generiche di come funziona, ad esempio, la realtà virtuale, ma anche le tecnicalità utili a capire come funzionano determinati linguaggi. Insomma, l’obiettivo ultimo è e sarà sempre accrescere le competenze digitali, al passo coi tempi», ha concluso Totaro.