Disinformazione ma anche scarsa propensione alle professioni più innovative. Le studentesse non si proiettano nei nuovi mestieri del digitale per poco interesse e scarsa attitudine. La maggioranza punta ancora sul marketing, l’amministrazione e le risorse umane; solo una su quattro potrebbe fare informatica e neanche una su tre ingegneria. Le aziende confermano la scarsità di candidate per ruoli tecnico-scientifici, ma ammettono anche resistenze culturali e condizioni di lavoro non sempre idonee a favorire la crescita di figure femminili in determinati ruoli, in cui potrebbero invece portare innovazione di prodotto/servizio.
La rivoluzione digitale è in corso, ma sembra sfiorare appena gli studenti dei licei e delle scuole professionali, abili ovviamente a usare le tecnologie, ma senza le competenze teoriche e l’orientamento che i tempi richiederebbero. Una nuova ricerca, realizzata da NetConsulting Cube per conto di CA Technologies su un campione di HR e CIO di 60 aziende italiane e 225 studenti di licei e istituti professionali, conferma che gli studenti non hanno mai sentito parlare delle nuove professioni digitali. Un maschio su due e due ragazze su tre ignorano cosa sia il Data Protection Officer, il Digital Information Officer, il Big Data Engineer, il Data Scientist, l’Esperto in Metodologie Agile e l’Internet of Things Expert. Hanno sentito parlare solo dell’esperto in intelligenza artificiale e robotica (per 86% degli studenti e il 74% delle studentesse), seguito dal cyber security manager e dallo sviluppatore di applicazioni mobili.
Guardando nello specifico alle studentesse (la ricerca, dal titolo “Donne e digital transformation: binomio vincente”, è stata presentata in occasione dell’incontro “Nuovi orizzonti per le millennial digitali”, organizzato da CA insieme a Fondazione Sodalitas), non sembra trattarsi solo di un tema di disinformazione, ma di scarsa propensione alle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Math). Chiesto agli studenti di proiettarsi nel mondo del lavoro, solo quasi una due si è mostrata interessata (contro il 61% dei ragazzi), ma quasi la metà (46%) non pensa proprio di avere le attitudini o le qualità per poter fare carriera in campo tecnico-scientifico. Il 60% delle ragazze è ancora orientato verso lauree socio-umanistiche e solo il 25% verso l’informatica e il 30% verso l’ingegneria. Anche l’interesse verso le funzioni aziendali mostra differenze sostanziali tra i due sessi e conferma il gender gap in ambito tecnologico: la percentuale di studentesse che si vede in futuro impegnata nei sistemi informativi non arriva al 5%, mentre quella dei maschi sfiora il 22% ed è in testa nelle aspettative professionali. Gli ambiti in cui le ragazze pensano di avere le maggiori opportunità professionali sono l’amministrazione, il marketing e la direzione del personale.
Conoscenze tecnolgiche e ruoli tecnici in azienda, il divario di genere è ancora significativo
Questo scarso orientamento delle donne verso le materie STEM viene confermato dai responsabili delle risorse umane. Le prime difficoltà si rivelano già in fase di recruiting, dove è scarsa la disponibilità di risorse laureate in discipline STEM (secondo il 43,2% degli intervistati), è basso il livello di interesse delle donne verso le professioni IT (29,7%) e sono poche le esperienze lavorative pregresse in ruoli tecnico-scientifici (27%).
Eppure il 95% dei giovani intervistati ritiene le competenze digitali molto importanti o fondamentali ai fini della ricerca di un impiego. Ma ancora, la componente maschile si rivela molto più preparata di quella femminile sui temi tecnologici di maggiore attualità, come la stampa 3D e la realtà aumentata/virtuale. Cloud, Big Data, Internet of Things sono argomenti noti solo in modo superficiale o quasi del tutto sconosciuti per la maggior parte degli studenti, anche se i ragazzi raggiungono mediamente percentuali doppie rispetto alle ragazze.
Le ancora scarse conoscenze teoriche sono, almeno in parte, compensate dalla dimestichezza nell’utilizzo di strumenti tecnologici: alta la percentuale di studenti con buona/ottima conoscenza di text editor, email, tool di presentazione, ma molto bassa la conoscenza della programmazione di base e della creazione di app, soprattutto tra le ragazze. Anche questa rappresenta un’area critica poiché il coding e lo sviluppo software saranno competenze sempre più richieste in futuro.
A fronte di questo ritardo italiano sui temi dell’informatica e del digitale, e in particolare sul versante femminile, cosa si riscontra tra i dipendenti aziendali?
Tra le 60 imprese interpellate, gli addetti che ricoprono ruoli tecnico-scientifici sono il 30% e, di questi, solo il 13% è rappresentato da donne. Esiste quindi un significativo divario di genere, confermato dai direttori dei sistemi informativi, per il 35% dei quali è ancora molto elevato, anche se per il 41,9% dei si sta invece riducendo. Di fatto, sono ancora pochissime le donne che ricoprono i ruoli tecnici più innovativi: circa il 25% tra i Big Data Engineer e i Digital Information Officer e il 15-25% tra gli Esperti in Internet of Things, Cyber Security, Data Protection e Mobile Application. Nessuna donna risulta invece tra i Data Scientist. Unico ruolo nel quale spiccano e sono una su due è l’esperto in metodologie “Agile”, legato alla capacità di sviluppare in modo rapido e veloce applicazioni software.
Gli stessi capi, però, ammettono la persistenza di una cultura che non incoraggia la crescita delle donne in determinate funzioni. Gli HR ammettono l’esistenza di resistenze culturali interne e di difficoltà organizzative nell’integrare le risorse femminili in ruoli tecnico-scientifici. Le principali cause della minore presenza femminile sarebbero legate alla difficoltà di conciliare i tempi del lavoro con quelli familiari (50%), gli stereotipi di genere associati a questi tipi di competenze (47,4%), le minori possibilità di fare carriera rispetto agli uomini (47,4%) e la scarsa applicabilità di soluzioni lavorative part-time e flessibili (47,4%). Senza contare le resistenze aziendali al loro ingresso e alla loro affermazione (42,1%) e la mancanza di modelli femminili di successo italiani in ambito Stem (15,8%).
Tutti ostacoli confermati dai CIO intervistati: il 79,1% riconosce che per una donna è più difficile fare carriera in ambito tecnologico rispetto a un uomo e il 75% ritiene che le donne siano sottorappresentate nelle posizioni manageriali e di responsabilità, ma le cose cambiano un po’ se il CIO è donna. In tal caso la presenza sale dal 28% al 31% e allora il 78,6% delle addette ricopre un ruolo di responsabile di area, che altrimenti si riduce a meno di un terzo (23,5%).
Eppure, entrambe le divisioni ritengono che le aziende dovrebbero incentivare l’ingresso delle donne in azienda e in determinati ruoli. Il 95% degli HR, per esempio, ritiene che una maggiore presenza femminile favorirebbe la creazione di prodotti/servizi dedicati e quindi contribuirebbe a far crescere il business, soprattutto in risposta alla sempre più rilevante richiesta di prodotti tech molto personalizzati da parte delle consumatrici, come sostiene oltre l’84% del campione.
Oltre la metà degli HR afferma anche di aver già avviato programmi per favorire lo sviluppo delle donne, dalle pari opportunità di carriera, iniziativa caldeggiata anche dal 45,2% dei CIO, a soluzioni lavorative a tempo parziale e flessibile (33,3%), a condizioni e strutture di lavoro più adeguate (27,8%) a soluzioni di smart working (25%).