E chissà se Steve Jobs spronando i giovani a essere curiosi e coraggiosi superando gli schemi con la sua citazione celebre “Stay hungry. Stay foolish” avrebbe mai potuto immaginare che questa esortazione, a distanza di qualche anno, sarebbe calzata perfettamente anche a chi sta dall’altra parte della barricata: i recruiter. Chi si occupa di Risorse Umane oggi sa bene quanta “fame” di competenze digitali ci sia nel mercato del lavoro. Serve, dunque, una nuova strategia di azione, un approccio originale che permetta di superare lo skill gap creando squadre di talenti digitali pronti ad abbracciare gli obiettivi aziendali, che devono essere condotti sui binari dell’innovazione.
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Potenziale vs esperienza
Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 l’uso diffuso delle tecnologie avanzate potrebbe far sparire 85 milioni di posti di lavoro ormai inadatti e, contemporaneamente, dare vita a 97 milioni di posti adeguati al nuovo contesto. Sebbene dallo scoppiare della pandemia siano stati compiuti immensi passi avanti nel processo di digitalizzazione, tuttavia colmare le lacune delle competenze digitali richiederà ancora del tempo. Basta pensare che, stando a quanto rilevato dal DESI 2022, solo il 54% degli europei di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno le competenze digitali di base e, con i circa 9 milioni di specialisti IT registrati nel 2021 nell’UE (0,8 in Italia), si è ancora molto lontani dal raggiungere l’obiettivo dei 20 milioni di operatori specializzati entro il 2030 necessari per rispondere alle esigenze delle imprese. Ma se l’esperienza è quella che manca, si può però puntare sul potenziale, soprattutto in considerazione del fatto che la tecnologia sta vivendo un’evoluzione talmente rapida che competenze tecniche acquisite appena qualche anno fa potrebbero essere già obsolete per governare i sistemi informatici di oggi. Pensiamo agli algoritmi di Intelligenza Artificiale che, giorno dopo giorno, sviluppano nuove funzionalità sempre più complesse. Ed è a questo potenziale che gli esperti HR devono guardare adesso se vogliono cercare di ingaggiare i talenti digitali più validi. Ne sono convinti gli analisti del McKinsey Global Institute che sostengono che, invece di ossessionarsi nella ricerca del candidato perfetto che risponda fedelmente a tutti i requisiti della job position, puntare sul potenziale potrebbe essere più facile per i recruiter. Questo, naturalmente, non significa accogliere chiunque, ma, partendo dal presupposto che le competenze tecniche si possono imparare, dare maggior peso alle competenze trasversali o “soft skill”, come la capacità di risolvere i problemi, la predisposizione al cambiamento, la mentalità analitica, l’essere multitasking, per concedere più spazio alle candidature che presentano maggior potenziale di crescita. La consapevolezza di McKinsey, naturalmente, parte dalla conoscenza dei numeri. Uno studio da poco rilasciato dall’istituto mostra come le persone siano in grado di acquisire nuove competenze e che le assunzioni non convenzionali in ambito tech non sono poi così atipiche. Con l’87% dei senior executive a livello globale che ha giudicato le proprie aziende non pronte ad affrontare il digital skill gap (questo ancor prima che la pandemia dirottasse milioni di persone verso il lavoro da remoto e l’eCommerce), si comprende bene come un cambiamento di mentalità nel reclutamento dei talenti digital, che valorizzi il potenziale piuttosto che l’esperienza, potrebbe essere la strada giusta da percorrere.
I talenti digitali percorrono strade diverse
Analizzando ben 4 milioni di percorsi professionali raccolti online in modo anonimo e i dati provenienti da circa 280mila professionisti del settore tech, McKinsey ha rilevato che il 44% delle persone che ha ricoperto ruoli tecnologici ha in precedenza avuto posizione una posizione non legata al settore IT. Si tratta di persone che hanno iniziato in ambiti di lavoro completamente diversi e poi si sono reinventate aggiungendo nuove abilità lungo il percorso, magari imparando a programmare, comprendere l’architettura web o sviluppare app. Ora, misurando la “skill distance” associata a specifici cambiamenti professionali, ossia la quota di competenze non sovrapponibili legate al nuovo lavoro che si mette dunque in conto di dover acquisire, si possono fare diverse considerazioni. Nel caso delle persone che iniziano il percorso professionale nel settore tech, il parametro supera il 27% a ogni cambio di ruolo, ma nel caso in cui il professionista tech provenga da settori diversi la percentuale della skill distance sale addirittura al 53%. Ciò indica che i lavoratori che vogliono uscire dalla propria comfort zone sono spesso in grado di sviluppare e applicare nuove competenze tecniche più di quanto ipotizzano molti responsabili delle assunzioni.
Nel set dati analizzato da McKinsey, il 70% dei lavoratori che sono passati a ruoli tecnologici ha iniziato nei servizi professionali, nell’assistenza sanitaria o in altri campi STEM. All’interno dei servizi professionali, le occupazioni più comuni per coloro che sono passati alla tecnologia erano il Marketing Manager, le PR, il Market Research Specialist, le business operation; l’HR specialist; l’assistente d’ufficio e l’operatore del Customer Service. Ingegneri meccanici e industriali e ricercatori di scienze sociali sono tra i professionisti che hanno lasciato altre specialità STEM per entrare nel settore della tecnologia. Un ulteriore 20% proviene da ruoli creativi, educativi e di servizio alla comunità e il loro percorso più comune è iniziato nella progettazione grafica o nell’insegnamento. In generale, i lavoratori che si spostano da ruoli non tecnologici a quelli tecnologici completano la loro preparazione con competenze specifiche come il supporto tecnico, la programmazione, lo sviluppo di applicazioni e infrastruttura web.
Tra i ruoli tech che più frequentemente aprono le porte ai talenti digitali si trovano gli sviluppatori di applicativi software, gli IT support specialist, gli sviluppatori web e i document management specialist.
Inoltre, lo studio ha rilevato che in generale i professionisti del tech guadagnano di più e si spostano più spesso in campi diversi rispetto alle altre tipologie di lavoratori.
Circa il 90% delle occupazioni tecnologiche che sono state analizzate è associato a guadagni superiori alla media e, nel periodo osservato, mentre i professionisti tech per così dire “nativi” registrano un aumento di stipendio annuo del 2,3-2,6%, i nuovi arrivati raggiungono un aumento medio annuo del 5,3%. E mentre i lavoratori di tutte le professioni cambiano ruolo in media ogni 3,2 anni, i professionisti tech si spostano quasi il 20% in più, cambiando ruolo ogni 2,7 anni.
Tre strategie per far emergere i talenti digitali nascosti
I ricercatori McKinsey vanno oltre l’analisi e propongono tre strategie per coltivare i talenti digitali.
Spazio al potenziale interno all’azienda
La tendenza a classificare le persone in base al lavoro che svolgono nei loro ruoli attuali è particolarmente radicata quando si tratta di dipendenti già inseriti nell’organizzazione. Questo spesso spinge gli individui che vogliono reinventarsi a muoversi verso una nuova realtà per soddisfare le proprie esigenze. Rispetto a coloro che ricoprono già ruoli tecnologici, i lavoratori con un background non tecnologico hanno quasi il 30% in più di probabilità di lasciare i loro attuali datori di lavoro per diventare sviluppatori software.
Il suggerimento è dunque quello di non trascurare le persone che all’interno dell’organizzazione hanno le potenzialità per far evolvere le loro competenze. Investire in opportunità di apprendimento e sviluppo per persone che già conoscono il business e hanno dimostrato di essere brillanti e affidabili può essere una scommessa più sicura che guardare all’esterno. Questo può anche aiutare a scongiurare le dimissioni.
Più coraggio nelle assunzioni
Sebbene i dati mostrino che il talento digitale può provenire da un’ampia gamma di background, alcuni datori di lavoro rimangono prudenti quando si tratta di assumere. Considerata la velocità assoluta dei progressi tecnologici e il fatto che gli operatori tecnologici hanno una maggiore mobilità, la cautela può essere controproducente, sostengono gli esperti di McKinsey. Poiché le abilità tecniche possono essere insegnate, ha senso cercare il tipo di mentalità e le competenze trasversali pertinenti richieste dal ruolo. Gli strumenti digitali, comprese le opzioni che includono modalità di gamification per i test pre-assunzione, possono aiutare in questo tipo di valutazioni. Anche rimuovere i requisiti rigorosi di un diploma universitario può essere un vantaggio. Nel set di dati analizzati, quote significative di lavoratori che sono passati a occupazioni tecnologiche non avevano titoli di studio universitari. Ciò vale per il 10% dei tecnici di rete, il 15% degli IT Security Analysts, il 21% dei Network Administrator, il 24% degli specialisti del supporto IT e il 26% degli addetti alla manutenzione IT.
Il potere della formazione
Data la mobilità dei professionisti tech, i datori di lavoro devono riuscire a costruire un’offerta di valore per trattenerli e l’opportunità di imparare è una delle componenti più importanti. Non solo. L’approfondimento e l’espansione delle competenze digitali dell’intera forza lavoro, ripaga sotto forma di produttività, innovazione e fidelizzazione. L’apprendimento, che deve essere permanente (lifelong learning) perché acquisire le competenze digitali è un processo continuo, può assumere la forma di corsi strutturati in presenza per specifici gruppi di dipendenti o di moduli di contenuti digitali a cui i dipendenti possono accedere autonomamente. Aprire il campo a tutti i dipendenti, in particolare alle persone che vogliono reinventarsi, è una tattica intelligente per attivare i talenti digitali e rimanere all’avanguardia.