Il mondo della tecnologia sta attraversando un periodo turbolento per quel che riguarda la propria forza lavoro: al fenomeno delle Grandi Dimissioni che si è innescato durante la pandemia, si aggiungono ora gli sconvolgimenti dei licenziamenti avviati dai grandi nomi del Tech (Google, Meta, Spotify, Twitter) e molti parlano già di questo fenomeno come di una “bolla” che doveva esplodere.
La percezione è quella di una perdita di attrattività delle imprese del tech, abbinata a un parallelo calo di fiducia da parte di coloro che già vi sono impiegati, con il rischio che un settore già carente di competenze vada incontro ad ulteriore sofferenza.
Certamente, è impensabile immaginare un futuro in cui le aziende tech non avranno più peso. Tuttavia, ciò che questi fenomeni hanno reso evidente è la necessità di un cambio di passo, di un’attenzione più elevata alle esigenze dei dipendenti, di un lavoro per ricongiungere domanda e offerta e di una strategia solida per la retention dei talenti.
È chiaro che l’investimento nel capitale umano è necessario per far progredire i piani di trasformazione digitale e sostenibile delle imprese, al fine di essere al passo con un mercato in evoluzione continua. La richiesta di competenze digitali arriva sia dal mercato ICT che da altri settori, tra cui servizi finanziari, energy e utilities, manifatturiero e sanità. Indipendentemente dall’attività, infatti, c’è l’esigenza di figure professionali in grado di favorire la crescente digitalizzazione dei processi e di supportare i clienti nell’integrazione delle nuove soluzioni digitali.
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Come mettersi in salvo dal fenomeno delle Grandi dimissioni nel Tech
Ma non finisce qui, c’è anche un’altra faccia della medaglia con cui fare i contri: le competenze digitali evolvono così in fretta che non basta solo accaparrarsi le persone con le giuste skill, ma serve anche prevedere costantemente dei percorsi di reskilling per supportare la continuità operativa e abilitare nuovi modelli di business.
Non si tratta, però, solo di una questione di competenze tecniche: come evidenziato dall’Osservatorio delle Competenze Digitali, per sbloccare il potenziale di queste tecnologie serve potenziare le competenze manageriali e investire sulla formazione di alto livello trasversale a tutti i settori.
Le soft skill rappresentano un grande driver del cambiamento e un requisito preferenziale nella selezione dei candidati da parte delle organizzazioni. Non basta saper estrarre i dati: bisogna avere la capacità di analizzarli nella maniera corretta per supportare efficacemente i processi decisionali.
Il pensiero laterale è quello che contribuisce a trasferire e governare l’innovazione tecnologica all’interno dei processi produttivi e dei servizi di un’organizzazione. In ambito Cloud, ad esempio, saranno necessarie figure esperte dei diversi ambienti, dotati di competenze di governance per essere in grado di orchestrare e gestire sistemi sui diversi Cloud provider, ottimizzando costi di gestione e carichi.
Infine, le competenze relazionali, supportate anche dalla comunicazione tramite piattaforme digitali e social, sono quelle che contribuiscono a rafforzare i rapporti con i clienti e ampliano il bacino di potenziali nuovi utenti.
Inoltre, va tenuto sempre più in considerazione che per i lavoratori, soprattutto i più giovani, la remunerazione economica non è più l’elemento principale di valutazione: una cultura aziendale aperta, inclusiva, che offre flessibilità e work-life balance corretto è molto più appetibile.
Secondo lo studio “People at Work 2022: A Global Workforce View” dell’ADP Research Institute, più di 1 italiano su 3 accetterebbe una riduzione di stipendio per dedicare più tempo alla sua vita privata e oltre 1 italiano su 4 sarebbe disposto a guadagnare il 10% in meno se ciò gli consentisse di gestire più rapidamente le ore lavorative.
Cosa possono fare società e imprese per colmare il gap?
Il percorso verso una possibile soluzione passa da una più stretta collaborazione tra imprese e enti formativi, come scuole, università e associazioni, in modo da poter orientare i giovani al mondo del lavoro con esperienze più concrete e fornire certificazioni accessibili a chiunque, gratuitamente, e immediatamente spendibili sul mercato del lavoro. Un esempio è ciò che stiamo facendo con la Red Hat Academy in tutto il mondo.
Un contributo ugualmente importante passa dalla responsabilizzazione dei dipendenti, incoraggiandone l’autonomia decisionale e supportandone l’evoluzione all’interno dell’azienda con progettualità concrete.
Come Red Hat, è un approccio che adottiamo già nelle prime fasi di onboarding. Ad esempio, attraverso il nostro programma Graduates, rivolto ai neolaureati, offriamo un contratto a tempo determinato che però prevede: un primo periodo di formazione generale e poi una rotazione in 3 diversi dipartimenti (Pre-Sales, Services e Customer Experience & Engagement), pensata proprio per consentire al nuovo dipendente di mettersi alla prova con team differenti e di sperimentare tutte le proprie competenze.
Infine, in un settore in cui il gender gap è particolarmente accentuato, è opportuno prevedere dei percorsi specifici di empowerment femminile. Anche nella nostra realtà abbiamo visto che la maggioranza delle figure femminili è presente in aree di business come HR e vendite, mentre nelle divisioni ingegneristiche si registra una carenza importante.
Anche per questo motivo Red Hat ha istituito la Women’s Leadership Community, una fiorente rete globale di dipendenti donne provenienti da ambiti differenti che hanno creato un forum dove favorire lo scambio di idee ed esperienze, fornire opportunità di networking, offrire programmi educativi e culturali, così da promuovere la crescita come leader e decision makers e dare un contributo positivo alla prossima generazione di donne leader nell’open source.