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Formazione professionale, come farla e perché è un volano per le PMI



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Le aziende italiane, anche le più piccole, hanno il potenziale per giocare un ruolo cruciale nell’economia globale. Investire nella preparazione delle persone diventa quindi strategico per competere in un mercato in rapida evoluzione e sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione

Pubblicato il 1 lug 2024

Alessandra Colonna

Ceo e co-founder di Bridge Partners



Formazione-professionale

Da diversi anni le aziende, anche quelle più piccole, hanno compreso che quello della formazione professionale è un aspetto su cui non si può soprassedere. Non si tratta più solo di un’esigenza di business, ma anche di una richiesta che arriva dagli stessi lavoratori.

Formazione professionale, a che punto è l’Italia

Secondo un recente studio di Inapp e Anpal, l’Italia è al di sotto della soglia del 10% per attività di formazione professionale, contro la media del 12% degli altri Paesi UE.

Attraverso il PNRR, il Governo prevede lo stanziamento di 4,4 miliardi di euro fino al 2025 per integrare politiche attive per sviluppare partnership tra Pubblico e Privato e stimolare la formazione aziendale e l’acquisizione di maggiori competenze da parte de lavoratori: il Piano nazionale nuove competenze (PNNC) e il Programma nazionale per la garanzia occupabilità dei lavoratori (GOL).

Tuttavia, la dimensione ridotta di piccole e media imprese e l’ossatura dell’economia italiana sono fattori critici per agevolare l’adozione di strumenti formativi, che renderebbero le aziende maggiormente competitive a livello nazionale e internazionale. Da qui la necessità di attivare delle azioni concrete.

Formazione professionale: quando cambiare è una necessità, anche per le PMI

Martin Luther King disse che “ogni società ha i suoi protettori dello status quo e le sue confraternite di indifferenti che notoriamente dormono durante le rivoluzioni. Ma oggi la nostra stessa sopravvivenza dipende dalla nostra capacità di rimanere svegli, di adattarci alle nuove idee, di rimanere vigili e di affrontare la sfida del cambiamento”.
Queste parole valgono anche per le aziende.

Cambiare non è un’opzione, è una necessità, e la velocità del cambiamento è tale che le competenze tecniche e relazionali con le quali lo si è affrontato fino a prima della pandemia, non sono più le stesse.

La formazione continua e il cosiddetto lifelong learning devono diventare un mindset non solo per le grandi aziende ma soprattutto per le piccole e medie imprese (PMI) che per loro natura hanno nella versatilità un grande vantaggio competitivo che, se colto e sfruttato al meglio, permette loro di giocare un ruolo di spicco nello sviluppo del Paese.

Versatilità e rapidità di esecuzione però non bastano. Le aziende si sviluppano grazie alla capacità di innovare perché, come ha detto Timothy Clark, se l’esecuzione è la delivery del presente, l’innovazione è la delivery del futuro.

Nel contesto globalizzato con il quale anche le PMI italiane si confrontano – se ancora non lo facessero, dovranno invertire comunque la rotta al più presto -, dove innovazione e digitalizzazione ridefiniscono continuamente i paradigmi competitivi, la formazione professionale è uno strumento decisivo per garantire non solo la sopravvivenza ma anche l’opportunità che queste realtà prosperino a livello internazionale.

Far strada all’innovazione richiede di puntare anche sull’unicità dell’individuo e sulle sue competenze

Per creare contesti aperti all’innovazione e capaci altresì di generarla, al di là delle innegabili competenze tecniche e digitali, si deve dare spazio alla creatività che ha la sua benzina nel confronto libero e aperto. Solo dove regna sicurezza psicologica autentica e reale si creano lo spazio e le condizioni per l’innovazione e il cambiamento.
Una ricerca condotta da Google, – Progetto Aristotele -, nata allo scopo di individuare la caratteristica pregnante dei suoi team più performanti, ha messo in luce che, tra le cinque dimensioni emerse, la principale fosse proprio la sicurezza psicologica.

Amy Edmonson, professoressa di Harvard, profonda conoscitrice del tema, nel suo libro più famoso – Organizzazioni senza paura – l’ha definita come l’assenza del timore di assumersi rischi relazionali.

In un’epoca in cui è chiaramente superato il modello tayloristico del lavoro e siamo tutti sempre più chiamati a dare il nostro contributo in quanto knowledge workers, secondo una felice definizione di Peter Drucker, inventiva e capacità di contribuire attraverso le proprie idee sono fondamentali.

Le persone – scrive Edmonson – devono imparare a lavorare in team e a collaborare per risolvere problemi e portare a termine incarichi sempre più fluidi“.

Se conoscenza e innovazione sono leve di crescita vitali, sono ancora troppo pochi i leader e i manager che sono passati all’azione impegnandosi concretamente allo sviluppo di contesti lavorativi e capacità che permettano alle persone di esprimersi liberamente e dare così un vero contributo.
Se non si creano le condizioni per cui l’unicità di tutti trovi espressione concreta attraverso la possibilità di esprimere le proprie idee – anche e soprattutto se divergenti dalla maggioranza – senza paura di ritorsioni o delle conseguenze, spirito critico, spinta all’innovazione e motivazione delle persone subiranno un grave contraccolpo. E con esse la produttività e l’efficienza delle aziende.

Perché le PMI devono investire in formazione professionale

In tal senso, assodata l’importanza di dotare le persone delle necessarie competenze tecniche, sarà sempre più centrale il ruolo della formazione manageriale per affrontare e gestire i radicali processi di trasformazione che il mondo del lavoro sta vivendo.

I manager e i loro team devono essere formati all’uso di capacità relazionali che li mettano in condizione, grazie ai propri comportamenti, di creare contesti apertamente collaborativi, dove le informazioni fluiscano rapidamente, l’errore sia accettato e messo a bilancio come investimento per la crescita delle persone e quindi delle loro competenze.

La capacità di saper creare contesti sicuri dal punto di vista psicologico si basa fondamentalmente sulla capacità di saper bilanciare il rispetto per le idee altrui come per le proprie, di contribuire a un dialogo costruttivo e contaminante, che incentivi responsabilità, proattività e creatività, semi dell’innovazione.

Pensando in particolare al mondo delle PMI, tutto questo si deve accompagnare a un profondo cambiamento culturale, di strategia imprenditoriale e di mindset delle persone.

Le PMI italiane hanno il potenziale per giocare un ruolo cruciale nell’economia globale. Investire in formazione manageriale non è più un lusso o un’opzione ma una necessità strategica. Attraverso la corretta formazione, i manager e le aziende possono acquisire le adeguate e aggiornate competenze per navigare in un mercato in rapida evoluzione e sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione.

La formazione professionale di qualità continuerà a rappresentare quindi un investimento irrinunciabile per il futuro, non solo delle aziende, ma dell’intero tessuto economico e sociale del nostro Paese.

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