Il 58% della forza lavoro avrà bisogno di nuove competenze per svolgere il proprio lavoro con successo. A rivelarlo è una ricerca condotta da Gartner che sottolinea come dal 2017 il numero totale di competenze richieste per un singolo lavoro è aumentato anno su anno del 10% e una competenza su tre presente in un annuncio di lavoro standard nel 2017 per posizioni nel settore IT, finanza o vendite è già obsoleta. La ricerca Gartner va così ad aggiungersi a quel folto numero di studi che da qualche tempo pone l’accento sulla carenza di professionalità aggiornate in grado di sfruttare al meglio tutte le opportunità offerte dalla digital transformation. Sebbene diverse aziende si stiano impegnando nell’assumere nuove figure, non tutte le realtà hanno però la disponibilità economica di ampliare la propria forza lavoro attraverso le assunzioni, soprattutto dopo un periodo di forte crisi come quella generata dalla pandemia. La soluzione può essere trovata all’interno di un processo di riqualificazione della forza lavoro in essere mediante lo sviluppo di progetti formativi. “Nel contesto attuale l’assunzione non è possibile per molte organizzazioni. Le aziende, invece, possono esaminare i dipendenti attuali che hanno competenze strettamente simili a quelle richieste e utilizzare la formazione per colmare eventuali lacune” ha affermato Alison Smith, direttrice di Gartner HR practice.
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Skill mismatch, un ostacolo al successo delle imprese
Facciamo chiarezza: lo skill mismatch è cosa differente dallo skill gap, con questo termine si intende infatti non l’assenza sul mercato di potenziali lavoratori idonei a ricoprire determinati ruoli, ma la differenza tra le competenze necessarie per svolgere una specifica mansione e le competenze effettivamente in possesso di chi è incaricato a portarla a termine. Lo skill mismatch può essere di due tipi: over skilled, ovvero quando il lavoratore possiede più competenze di quelle necessarie al suo ruolo, o under skilled, ovvero l’esatto opposto. In entrambi i casi lo skill mismatch rappresenta una minaccia per la produttività e la competitività dell’azienda. Uno studio firmato da Boston Consulting Group evidenzia come, sebbene anche prima dell’arrivo del Covid-19 i Paesi abbiano dovuto affrontate lo skill mismatch, la pandemia ha aggravato il problema, peggiorando potenzialmente le perdite di produttività dal 6% all’11% e causando un Pil non realizzato pari a 18 trilioni di dollari entro il 2025. Ciò significa, intimano i ricercatori, che i governi devono agire ora, non solo per affrontare le sfide a breve termine, ma anche per ricostruire il proprio capitale umano per il futuro.
Il divario di competenze in Italia e le azioni per superarlo
In quanto a livello di competenze digitali da aggiornare o acquisire ex novo l’Italia non è messa certo bene. Secondo l’ultimo report prodotto dall’Ocse sulla capacità dei Paesi di trarre vantaggio dalla digitalizzazione, Oecd Skills Outlook 2019. Thriving in a Digital World, la popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia nella società che sul posto di lavoro, basti considerare che solo il 21% degli individui in età compresa tra i 16 e i 65 anni ha un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo, così come solo il 36%, il livello più basso tra i paesi Ocse per cui informazione è disponibile, è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata. Inoltre i lavoratori italiani utilizzano le Tic (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione sul lavoro) sul lavoro, ma meno intensamente che in molti altri paesi Ocse. Malgrado ciò solo il 30% degli adulti ha ricevuto formazione negli ultimi 12 mesi, contro una media Ocse del 42%. A conferma di questa condizione che colloca il nostro Paese in una posizione altamente penalizzante nella sfida al digitale giunge anche una recente analisi condotta dall’agenzia dell’Unione europea preposta alla raccolta dati sulla formazione professionale, la Cedefop (The European Centre for the Development of Vocational training), che mostra come secondo l’Esi (European Skills Index) nel 2020 l’Italia si è colloca al 25° posto su 31 Paesi per skills matching, ciò per capacità di abbinare le giuste competenze alla giusta posizione, e all’ultimo posto per skills activation, cioè le misure utili alla transizione nel mondo del lavoro.
Una risposta a questi numeri arriva ora alle istituzioni che, compresa l’importanza di riuscire a cavalcare la rivoluzione digitale e non soccombere ad essa, stanno sviluppando programmi mirati a colmare il divario di competenze, come il Fondo Nuove Competenze, uno dei punti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027.
Il Fondo Nuove Competenze
Fondo Nuove Competenze nasce per rilanciare le politiche attive del lavoro. Indirizzato ai datori di lavoro privati che attraverso questo accordo potranno commutare ore di lavoro, non al momento necessarie per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa, in appositi percorsi di sviluppo delle competenze del lavoratore, il fondo, come riportato sul sito dell’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro), si pone l’obiettivo di “innalzare il livello del capitale umano e risponde, da un lato, alla necessità di accompagnare la fase di ripresa delle imprese e riallineare le competenze del proprio personale ai nuovi fabbisogni, e dall’altro sostiene i lavoratori nell’accrescere e rinnovare le proprie competenze e la capacità di adattarsi al cambiamento”. A metà gennaio, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del secondo governo Conte, Nunzia Catalfo, comunicato che erano oltre 50mila i lavoratori già coinvolti dal Fondo Nuove Competenze, per un totale di più di 4,7 milioni di ore di lavoro convertite in formazione.
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Alla riqualificazione delle competenze ha dato rilevanza anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la declinazione italiana del Recovery Plan. La quinta delle sei aree del piano, dette “missioni”, è infatti totalmente dedicata al tema ‘Inclusione e coesione’. Ridurre il mismatch di competenze è uno degli obiettivi della componente della missione denominata ‘Politiche per il lavoro’, insieme alla volontà di aumentare il tasso di occupazione facilitando le transizioni lavorative dotando le persone di formazione adeguata e alla volontà di aumentare quantità e qualità dei programmi di formazione continua degli occupati e dei disoccupati. “La formazione e il miglioramento delle competenze, in particolare quelle digitali, tecniche e scientifiche – riporta il documento −, miglioreranno la mobilità dei lavoratori e forniranno loro le capacità di raccogliere le future sfide del mercato del lavoro poste anche dalle transizioni verde e digitale”. Per lo sviluppo delle ‘Politiche per il lavoro’ ad oggi risultano allocati 12,62 miliardi.
Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027
Anche a livello europeo la formazione in ambito digitale ha assunto un ruolo di primo piano. Con il Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027 la Commissione europea ha voluto dare il proprio apporto diretto per un’istruzione digitale di alta qualità, inclusiva e accessibile. Due le priorità strategiche del nuovo piano: promuovere la crescita di un ecosistema altamente efficiente di istruzione digitale; sviluppare le competenze e le abilità digitali necessarie per la trasformazione digitale. Per raggiungere questo secondo obiettivo l’Ue si è prefissata di mettere in campo azioni atte a diffondere competenze digitali di base sin dall’infanzia e a sviluppare competenze digitali avanzate che producano un maggior numero di specialisti digitali.
Digital skill gap: le nuove competenze digitali che cercano le aziende
Non solo allineamento delle competenze degli occupati con i ruoli ad essi assegnati dunque, ma anche sviluppo di competenze completamente nuove al momento carenti sul mercato da introdurre in azienda per colmare il digital skill gap. Una duplice esigenza alla quale dover far fronte al più presto. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Competenze Digitali già nel terzo trimestre del 2020 è stata registrata una decisiva ripresa della richiesta di professionisti qualificati nell’ambito ICT, e non solo nel settore strettamente tecnologico a conferma della trasversalità che questi ruoli ormai ricoprono nell’intero sistema produttivo.
Ma quali sono le nuove competenze digitali più richieste dalle aziende? Lo studio realizzato dal World Economic Forum intitolato The Future of Jobs Report 2020 rivela come, entro il 2025, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero essere sostituiti dalle macchine per via dell’introduzione sempre più capillare dell’automazione, contemporaneamente però potrebbero emergere ben 97 milioni di nuovi ruoli più adatti all’integrazione tra esseri umani, macchine e algoritmi. Ecco dunque secondo i ricercatori del Wef quali sono le prime dieci nuove competenze digitali che vedranno una crescita della domanda da parte delle aziende nell’immediato futuro.
1. Data analyst and data scientist
Con le aziende che hanno compreso l’importanza strategica dei dati, figure in grado di saperli gestire, analizzare e trarne approfondimenti e informazioni diventano un elemento chiave per il successo del business.
2. AI and machine learning specialist
Quasi ogni settore oggi fa affidamento sulla tecnologia per operare e prosperare, motivo per cui l’Intelligenza Artificiale e il machine learning stanno diventando sempre più importanti per aiutare le aziende a prendere decisioni e realizzare prodotti più intelligenti e veloci.
3. Big data specialist
Il big data specialist è in grado di distinguere le varie tipologie di dati e di organizzarli insieme in modelli che i data scientist possono utilizzare per produrre analisi predittive.
4. Digital marketing and strategy specialist
Maestri della SEO e del SEM, esperti di e-mail marketing, guru dei social media, web copywriter, mai come adesso le aziende hanno bisogno di professionisti ai quali affidare la propria comunicazione online.
5. Process automation specialist
Nell’era dell’automazione a questa figura è demandato il compito di fornire nuove idee, sperimentare e valutare continuamente nuove tecnologie per offrire la migliore automazione dei processi aziendali complessi.
6. Business development professional
A lui il compito di individuare e sviluppare le opportunità di business attraverso gli strumenti e i canali messi a disposizione dalla tecnologia.
7. Digital transformation specialist
Il digital trasformation specialist, come dice il nome stesso, è colui al quale è affidata la guida della trasformazione digitale dell’azienda. Riconoscere quale tecnologia serve, sapere dove andarla a recuperare e come implementarla all’interno dell’organizzazione sono i compiti strategici che gli competono.
8. Information security analyst
Con la diffusione degli attacchi informatici il ruolo dell’information security analyst si fa sempre più importante. Egli è responsabile della protezione della rete di computer di un’organizzazione, crea, mantiene e controlla le misure di sicurezza per assicurarsi che le reti di computer siano regolamentate e monitorate.
9. Software and applications developer
Esperto di linguaggi informatici, lo sviluppatore di software e app è la figura che sta alla base di qualsiasi innovazione tecnologica.
10. Internet of things specialist
Con un numero crescente di dispositivi connessi a Internet che offreno sempre maggiore efficienza e sicurezza nelle aziende e comfort e benessere nelle case, lo specialista IoT sarà certamente una delle figure più richieste del panorama digital.