I talenti. Se ne parla come fossero un “trofeo” da conquistare, capace di scatenare un’aspra competizione tra aziende per attrarre, reclutare e trattenere i migliori.
Quella che McKinsey chiamò, già nel 1997, “War For Talents”, una sfida strategica per il business e un fattore critico per le performance aziendali. Quando la bolla delle dot-com è scoppiata e l’economia ha rallentato la sua crescita si è pensato che la guerra per i talenti sarebbe finita. Non è stato così e oggi gli autori dello studio originale rivelano che, a causa di forze economiche e sociali che ancora perdurano, continuerà almeno per i prossimi due decenni. Anche sul fronte lavorativo, dunque, il conflitto non cenna a placarsi.
Ma che cosa si intende per talento? Per essere brevi – si veda il dizionario Hoepli ma anche la Treccani – il talento è una “propensione, un’attitudine, una predisposizione, una dote intellettuale rilevante, specialmente in quanto naturale“. Se si ha un talento, in sintesi, usarlo costa meno fatica che usare altre capacità.
La verità è che talenti siamo tutti: il più delle volte a fare la differenza sono la curiosità, la propensione al cambiamento e la capacità di migliorarsi sempre, trasformando le sfide in opportunità e i limiti in sviluppo.
Esaminare attentamente il concetto di talento può rendere più facile riconoscerlo in sé stessi e negli altri, per poterlo esercitare al meglio nella vita quotidiana. Che cosa distingue, ad esempio, il talento da concetti affini, ma molto diversi, come la competenza o lo stile? Secondo Gallup, e probabilmente chi si occupa di sviluppo del personale concorda, il talento consente schemi di pensiero e comportamenti ricorrenti e di successo. Possono essere accresciuti o imparati?
Forse, in questo caso, sarebbe più opportuno parlare di competenze acquisite e sviluppate, di nuovi punti di forza che consentono di fornire quelle prestazioni eccellenti in una attività specifica.
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Non fateli fuggire!
Ritorna sul tema McKinsey che analizza il ruolo dei talenti in una economia incerta come quella in cui viviamo oggi.
Le prospettive economiche per il 2023 rimangono contrastanti, con la possibilità di un rallentamento. Nel frattempo, la concorrenza per i talenti è feroce.
Si tratta di una combinazione storica di incertezza economica con segnali confusi, ambigui e simultanei in un mercato del lavoro rigido che impone riduzione dei budget ma anche mantenimento dei talenti chiave, proteggendo l’azienda nel breve termine.
La corda non è mai stata così tesa e, sottolinea McKinsey, le aziende potrebbero rimanere a corto di talenti nel 2023 e più a lungo di quanto si aspettino. Una delle ragioni è la ben nota Great Resignation: tanto per fare un esempio, negli Stati Uniti le dimissioni dell’ottobre 2022 sono state circa 600.000 in più rispetto al febbraio 2020. Quanto a ciò che trattiene le persone, sappiamo che lo stipendio non è più una leva sufficiente (vd. tabella sotto).
La fluttuazione del lavoro e le correzioni post-pandemia continuano a provocare effetti a catena. Se è vero che i lavoratori USA sono oggi meno disposti a lasciare il proprio posto di lavoro, il 48% di loro si sta spostando in settori diversi. Settori come i servizi di alloggio e ristorazione, la pubblica amministrazione e le attività artistiche e ricreative stanno perdendo lavoratori. Sul fronte italiano l’analisi di Info Jobs indica come le aziende hanno una buona propensione alle assunzioni di nuovi collaboratori e conferma che la vera sfida sia trattenere i talenti, anche con azioni di formazione e sviluppo.
La ricetta di Pittini è investire da vent’anni in formazione
Ma quale tipo di formazione li trattiene? Che ruolo possono avere i leader?
In un contesto mutevole come questo la sola formazione tecnica per “imparare a fare” non è sufficiente. Le persone talentuose sanno di avere di più da dare e si aspettano che l’azienda lo riconosca; anche con piani di sviluppo professionale ben definiti e di welfare costruiti su misura per le loro esigenze. Ai capi si richiede di essere “vicini” ai propri collaboratori con un approccio forse più simile a quello di un coach, che sappia ascoltare, riconoscere e valorizzare le caratteristiche della persona, il suo talento (appunto).
A tale costanza è dedicato anche l’impegno formativo del Gruppo Pittini che, con oltre 3 milioni di tonnellate di acciaio prodotto all’anno, è il primo produttore italiano di acciai lunghi destinati all’edilizia e all’industria meccanica. Stabilimenti produttivi e filiali commerciali presenti in diversi Paesi europei e un valore dell’esportazione pari al 70%, fanno del Gruppo Pittini un’importante realtà internazionale.
Uno dei suoi punti di forza nell’attrazione di nuovi talenti è rappresentato da una consolidata tradizione formativa. La sua corporate school, Officina Pittini per la Formazione (OPF), è nata già nel 2003.
«Ci ha guidati una visione – spiega Micaela Di Giusto, Responsabile Gestione e Sviluppo Risorse Umane di Gruppo Pittini e anche presidente di OPF – che è aderente al nostro modo di fare impresa: da un lato, offrire gli strumenti di crescita ai collaboratori del Gruppo – una volta entrati e nel corso del tempo – dall’altro, attrarre talenti dall’esterno, aprendo le porte di OPF al territorio; stretto, per esempio, è il legame con scuole e realtà formative della Regione Friuli Venezia Giulia e del territorio nazionale».
Who's Who
Micaela Di Giusto
Responsabile Gestione e Sviluppo Risorse Umane di Gruppo Pittini e anche presidente di OPF
Frequentare i corsi, anche online attraverso la piattaforma My OPF, non è vissuta come un’imposizione aziendale ma come un’abitudine positiva, utile primariamente alla persona e all’arricchimento del suo bagaglio di conoscenze. Un paradigma che è chiaramente evoluto nel corso del tempo: basti pensare alle caratteristiche di un settore come quello siderurgico, tipicamente manifatturiero e abituato a metodologie formative più tradizionali.
«Formare internamente ci permette sia di valutare meglio le competenze acquisite sia di svilupparne di nuove – chiarisce Di Giusto – per quelli che saranno i ruoli a tendere delle persone. Grazie a questa visione lungimirante, i contenuti proposti non sono mai solo tecnici – ambiti in cui l’addestramento on the job e l’affiancamento intergenerazionale hanno un valore molto importante – ma anche trasversali: pensiamo alle soft skill. Le persone sono il nostro capitale più prezioso e lo scambio di competenze è un valore estremamente arricchente. Lo consideriamo strategico a tutti i livelli e lo ritroviamo nell’intero arco dell’esperienza in azienda».