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Self energy management: come allineare se stessi puntando sull’empowerment

Le emozioni sono un elemento decisionale essenziale, invece di reprimerle, possiamo scegliere di capirle, interpretarle e utilizzarle per aumentare la nostra performance e benessere anche sul lavoro. Il passo successivo è individuare con i propri “capi” un percorso o un piano di soddisfazione dei propri bisogni. L’intervista a Sandro Formica, ideatore del metodo della scienza del sé

Pubblicato il 26 Feb 2021

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Che cosa si intende con self energy management? È la capacità di coltivare prima di tutto il proprio sé più vero e la felicità, attraverso l’allineamento con propositi, valori e bisogni. È la respon-abilità di definire il proprio piano di vita, di portarlo avanti con consapevolezza, ispirando con l’esempio coerente, contaminando di positività le relazioni e i sistemi che abitiamo.

Si tratta quindi di una skill che tutti dovrebbero allenare, ed è anche una delle competenze specifiche del CHO. L’allineamento di ‘se stessi’ è una abilità centrale in ogni percorso trasformativo ed evolutivo, un motore di energia vitale per il nostro ben-essere che integra corpo, emozioni, mente, spirito.

Ne ho parlato con Sandro Formica, PHD presso la Florida International University (FIU) su self empowerment, ideatore del metodo della scienza del sé e keynote sui temi dell’happiness nella vita e al lavoro.

L’OMS fornisce una prospettiva olistica: le 5 b del benessere. È un check up energetico, una bussola per orientarsi verso un self empowerment consapevole?

Dal 1998 l’organizzazione mondiale della sanità ha utilizzato 5 semplici domande per misurare il benessere delle persone: 1. mi sono sentito: allegro e di buon umore; 2. calmo e rilassato; 3. attivo e vigoroso; 4. mi sono svegliato riposato e rinvigorito; e 5. la mia giornata è stata piena di cose che mi interessano. Sebbene fosse stato sviluppato per essere utilizzato nell’ambiente medico-sanitario, è stato adottato anche per misurare la felicità delle persone che non riscontravano patologie. Certamente, farsi queste domande aiuta a capire come ci sentiamo. Ci invita a fare un’auto-diagnosi. Dubito tuttavia che porti all’auto-consapevolezza e ancor meno al self-empowerment. Rappresenta un primo passo che ci permette di comprendere se e quanto necessario sia iniziare un percorso di crescita personale. Spesso, anche coloro che sentono di dover approfondire un lavoro personale sul sé o sul proprio essere (e quindi spostare la propria attenzione giornalmente, anche se per 5 minuti, dal fare e dall’avere) poi decidono di interrompere e rimandare perché hanno “cose più importanti da fare”. E mollano l’essere per dedicarsi al fare a ragion veduta. Infatti, intraprendere un percorso di auto-consapevolezza, e di self energy management, porta spesso a conseguenze emotive negative, causate dal portare in superficie aspetti o caratteristiche del sé che non ci piacciono. Allora, la cosa più facile da fare è quella di lasciare le cose come stanno … fino a quando, a causa di fattori esogeni — la morte di una persona cara — o endogeni — un divorzio — sentiremo la necessità inderogabile di lavorare su noi stessi.

Riconoscere e soddisfare i nostri bisogni in modo sostenibile sembra essere un punto cardine: in che senso?

Lo è, in quanto non facciamo niente che non sia motivato dalla soddisfazione di uno o più bisogni. Quindi, i bisogni sono la ragione che ci fa alzare la mattina, ci fa interagire con gli altri e ci spinge a prendere tutte le micro (e macro) decisioni che ci rendono operativi. Molti di noi, tuttavia, non sono consapevoli dei bisogni che agiscono da stimolo alle azioni che svolgiamo quotidianamente e questo potrebbe rappresentare un problema. Per esempio, un ragazzino al quale non viene offerta l’attenzione che desidera a casa, potrebbe scegliere di diventare un bullo a scuola per soddisfare i propri bisogni di attenzione nei suoi confronti. Capire i bisogni che si nascondono dietro a un’azione non vuol dire giustificare l’azione stessa. Ci permette invece di trovare dei comportamenti alternativi e più sostenibili, ovvero comportamenti che produrranno del benessere per chi agisce e per chi interagisce con quest’ultimo. Conoscere e riconoscere i bisogni è un’attività di responsabilità di crescita individuale e collettiva. Eppure, molti di noi ne sono inconsapevoli. Quanti di voi sono andati a un colloquio di lavoro e vi è stato chiesto di scrivere una lista dei bisogni che vorreste aver soddisfatti al lavoro? Quanti di voi che lavorano hanno sviluppato, insieme al proprio leader, un percorso o un piano di soddisfazione dei propri bisogni al lavoro, specificando percentuali di soddisfazione e persona indicata per soddisfare ognuno dei vostri bisogni? Per esempio, Marco potrebbe avere un bisogno di collaborazione al lavoro, per ora soddisfatto al 45% e la cui soddisfazione viene affidata a Stefania, sua supervisor. Un altro bisogno di Marco potrebbe essere quello di crescita, soddisfatto al 77% dalla direttrice delle risorse umane, Cristina. La sfida o l’opportunità per Stefania e Cristina, è quella di massimizzare la soddisfazione dei bisogni di Marco attraverso un piano specifico che potrebbe comprendere il “job crafting”, una revisione del job description e job analysis che integrano i bisogni di Marco.

Tante emozioni non elaborate e credenze limitanti: come si diventa leader di se stessi, in ottica self energy management?

Lavorandoci su. A volte, siamo portati a pensare che per “risolvere” i disagi dell’essere basti frequentare un seminario, un intensivo o affidarsi a qualcuno per qualche mese. Coltivare gli aspetti intangibili della nostra persona richiede lo stesso impegno di quando ci prendiamo cura del nostro corpo. C’è da farlo quotidianamente. Cosi come facciamo esercizio fisico o ci laviamo, l’essere richiede un’attenzione costante per poterci supportare e migliorare. In questa domanda si fa riferimento a due aspetti particolarmente importanti dell’essere: emozioni e convinzioni. Mi piacerebbe affermare che non esiste una bacchetta magica per uscire dai disagi emotivi e dalle credenze limitanti. Questo non vuol dire che non esistano opportunità di miglioramento, di trasformazione positiva. Ci sono. Richiedono competenza e attenzione. Parlando delle emozioni, se proveniamo da un modello educativo che ci ha insegnato a reprimere le nostre emozioni, evidentemente cerchiamo di evitare di esprimerle o gestirle. E cosi la nostra intelligenza emotiva non si è sviluppata e vogliamo che anche gli altri facciano lo stesso, anche perché non sapremmo come gestire le loro emozioni e attivare risposte empatiche. Visto che, da un punto di vista bio-chimico, le emozioni sono un elemento decisionale essenziale, invece di reprimerle, possiamo scegliere di capirle, interpretarle e utilizzarle per aumentare la nostra performance, benessere e felicità. Quando vi sentite tristi, dove si manifesta quella sensazione nel corpo? E come si manifesta? È una sensazione pungente? Soffocante? E i battiti del cuore, aumentano o diminuiscono? Il respiro, è più veloce o lento, più profondo o superficiale? E la temperatura del corpo, aumenta o diminuisce? La muscolatura, è più tesa o rilassata? Quando sentiamo un’emozione non desiderata, invece di ignorarla o reprimerla, iniziamo a notarla e capirla facendoci qualche domanda come quelle che abbiamo appena letto. La self-leadership è una naturale conseguenza del lavoro che facciamo su noi stessi, sul nostro essere. Più ci impegniamo a lavorare sul sé e più la nostra self-leadership aumenterà.

Tante risorse a disposizione che spesso non vediamo, un talento che ci rende unici e un proposito che diventa il nostro faro: qualche domanda potente per far fiorire questi valori e qualche pratica di senso?

Certo. Consiglierei di iniziare dalla fine, una tecnica che utilizziamo inconsapevolmente in tutto quello che facciamo. Per esempio, se dobbiamo andare al supermercato, iniziamo a fare un elenco di quello che vogliamo acquistare e quindi, con la nostra mente, abbiamo già fatto spesa. Quando ci siamo iscritti all’università o anche alle scuole superiori, lo abbiamo fatto riflettendo su cosa ci sarebbe servita quella laurea o diploma. Ho detto che utilizziamo questa tecnica in tutto quello che facciamo… con un’eccezione: la nostra vita. Quando si tratta di riflettere sulla nostra vita e iniziare dalla fine della stessa, lo evitiamo. Il risultato? Quello di non avere una meta precisa, di cambiare rotta a seconda di quello che ci viene offerto o delle situazioni di vita. In altre parole, siamo spesso in balia e sotto il controllo o l’influenza di fattori esterni. Mi preme aggiungere che non sono assolutamente contro il cambiamento. Ho vissuto volontariamente e intenzionalmente dei cambiamenti radicali, come andare a studiare e vivere in un altro continente, cambiare radicalmente tipologia di lavoro, da commerciante, a funzionario, a direttore d’albergo a studente. Da professore di management a professore di auto-consapevolezza e felicità. Il suggerimento che vorrei condividere con voi è quello di darsi un proposito di vita e perseguirlo. Il proposito potrebbe cambiare, quello che è importante è che le decisioni che prendiamo e gli obiettivi che ci diamo siano costantemente allineate al proposito. Così facendo diventeremo e rimarremo i registi, produttori e attori della nostra vita. Qual’è l’eredità che vorresti lasciare agli altri? Quale impronta vorresti lasciare sulla terra? Se ti fosse data la possibilità di iniziare e gestire un’attività produttiva senza rischi, senza capitali iniziali, senza perdite, cosa decideresti di fare? Quali sarebbero i prodotti e servizi che vorresti offrire, sapendo che il mondo ne ha bisogno? Alcune domande potenti per scoprire il proprio proposito.

Ringrazio Sandro Formica per questi spunti preziosi e l’appuntamento e per il prossimo articolo sul positive leadership development per allineare gli altri, con Francesco Mondora, CEO e Founder di Mondora.

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