talent management

BCG, quattro passi per portare le donne ai vertici delle imprese italiane. Uno è lo Smart Working

Una ricerca mostra come la presenza femminile a capo delle grandi aziende italiane sia ancora esigua: neanche una su 5 è direttore generale o direttore di funzione (19%). Tra i principali imputati cultura aziendale, assenza di percorsi di carriera chiari e scarsa proattività delle donne a ricercare la promozione o ruoli più di business

Pubblicato il 20 Giu 2017

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Soffitto di cristallo più infrangibile nelle aziende italiane che non nelle multinazionali, dove la percentuale di primi riporti donne è del 36% su una popolazione femminile del 48%, di cui è dirigente il 44%. Nelle imprese italiane, invece, la percentuale di direttori generali e direttori di funzione donne si dimezza rispetto alla presenza complessiva di genere (19% versus 38%, di cui sono dirigenti solo il 27%).

Sono queste le prime grandi evidenze emerse dalla ricerca di BCG per Valore D.  Benché il campione non siano le PMI, ma grandi aziende con un fatturato tra 1 e 50 miliardi di euro e con un numero di dipendenti dai 500 ai 50mila, questa discrepanza tra organizzazioni fa pensare a un tema di cultura tutta italiana. E i dati confermano questa prima impressione. Proprio le resistenze a una maggiore presenza di professioniste ai vertici sono al primo posto tra gli ostacoli segnalati dagli intervistati (2.000 donne over 40 e/o manager; 500 manager uomini e 25 direttori HR) dei settori Pharma, Financial Service, Consumer Goods, Energy and Industrial e Telco. Quasi uno su due vede come principale ostacolo alla carriera proprio il clima culturale aziendale (48%), seguito da un limitato supporto alla crescita professionale (26%) e solo al terzo posto vengono indicati gli impegni familiari (23%). Quest’ultimo dato conferma le evidenze sullo Smart Working emerse dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, secondo cui il lavoro agile non sarebbe né sfruttato né a solo vantaggio delle donne.

Dei 250mila smart worker italiani, infatti, risulta che il 69% è un uomo (dati Doxa).  Guardando più da vicino gli ostacoli denunciati, la resistenza culturale si compone di quattro elementi: limitato supporto da parte della cultura interna (16%), limitata flessibilità dei modelli organizzativi (15%), mancanza di role model da seguire (10%), modelli di leadership premianti riconosciuti (7%). Il secondo ostacolo, invece, su un limitato supporto alla crescita comprende la mancanza di chiari percorsi di carriera (15%), un atteggiamento poco proattivo da parte delle donne stesse (8%) e l’eccessiva specializzazione (3%). Il peso dato ai vari ostacoli cambia però a seconda che rispondano le dirette interessate (d’accordo manager e impiegate), o viceversa che a rispondere siano gli uomini. In particolare, se le donne danno la priorità al limitato supporto al percorso di carriera (62%), lo è “solo” per il 49% degli uomini, mentre cresce il peso dato agli impegni familiari, al 30% per gli uomini, al 22% per le donne. Allineati invece i due generi sull’atteggiamento passivo delle donne nella ricerca dell’avanzamento di carriera (9% le donne, 10% gli uomini), mentre non ci sarebbero ostacoli per il 3% delle donne che sale al 7% nell’altro sesso.

Barbara Falcomer, Direttore Generale di Valore D, suggerisce di lavorare sui pregiudizi inconsapevoli di uomini e donne, di favorire programmi di mentorship e crescita professionale (con Accelerating path e C-level school) per le donne e WelfareLab per le risorse umane.

A sua volta Laura Villani, Partner e managing Director di BCG, porta l’attenzione su un altro fattore che inciderebbe sui percorsi di carriera: una formazione poco orientata alle materie tecnico-scientifiche. Solo il 16% delle donne è laureato in materie scientifiche o ingegneristiche contro il 38% degli uomini e le donne hanno anche un minor livello di istruzione in azienda (31% diplomate contro solo il 12% degli uomini, che a loro volta hanno un master nel 13% dei casi contro l’8% delle donne). «Le donne – commenta Villani – soffrono anche un tema di formazione non corrispondente alle richieste di mercato e hanno un posizionamento che non facilita l’accesso ai vertici. Le lauree tradizionalmente femminili portano a occupare posizioni di staff. E, nello staff, in media le donne diventano manager più di due anni dopo i colleghi uomini».

BCG e Valore D suggeriscono 4 passi per incoraggiare la crescita professionale delle donne verso i vertici:

1.  Adattare il recruiting per attrarre talenti femminili anche in aree tecniche.

2.  Nella cultura aziendale creare trasparenza attraverso chiari e concreti kpi per misurare il successo del cambiamento culturale.

3.  Incoraggiare le donne a pensare in modo attivo al proprio percorso professionale.

4.  Promuovere meccanismi di flessibilità del lavoro e Smart Working.

E come agire a livello di leadership? Come superare la resistenza stessa delle donne a proporsi per una promozione, o la tendenza a scegliere ruoli di staff?

L’abbiamo chiesto a Massimo Bandinelli, Executive e Business Coach e Leadership Trainer: «La resistenza è comprensibile, dati alcuni vincoli culturali e di contesto che possono demotivare una donna, come altrettanti uomini. Ma questi vincoli si possono spezzare, osando.  È forse la più falsa convinzione credere che la leadership sia una “casella” da occupare, piuttosto che un impegno quotidiano a guidare sé stessi in modo eccellente per poi finalmente esprimere “consistenza” e “visione”, come elementi ispiratori per gli altri. L’errore più ricorrente è confondere la leadership con lo status e il raggiungimento di un ambìto potere. I modelli di leadership sono essi stessi semplificazioni di una complessità incredibile. E come tali, a volte funzionano, a volte per niente. Maschile versus femminile è una ulteriore semplificazione, un errore epistemologico di grande rilievo. Bisogna rompere questa classificazione quando parliamo di leadership. La leadership nasce dall’avere una propria visione, dal desiderare fortemente di lasciare una traccia concreta in termini di valore atteso e dall’avere coraggio. Un leader è qualcuno che crea un contesto al quale gli altri desiderano appartenere. E creare questo contesto è una abilità presente sia negli uomini che nelle donne».

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