INTERVISTA

Equità di genere: oltre alla strategia serve raccogliere e analizzare i dati



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Il processo prevede una rigorosa analisi che parte da tre fonti differenti: statistiche e informazioni rilevanti per misurare la parità, policy e pratiche necessarie per diminuire il gender gap, e le esperienze e il percepito dei dipendenti sulle opportunità di carriera. L’intervista a Simona Scarpaleggia, Board Member di EDGE Strategy

Pubblicato il 23 set 2024



Equità di genere

«Quello dell’equità di genere è un tema strategico e così va affrontato: misurare, capire come si comportano le altre realtà, darsi degli obiettivi e definire un piano d’azione per raggiungerli. Ecco cosa bisogna fare, non è sufficiente parlarne o puntare solo sulla formazione».

È così che ha esordito Simona Scarpaleggia, Board Member di EDGE Strategy – società nota in tutto il mondo come ente qualificato per la certificazione della gender equality – che nel suo passato da CEO (per 10 anni è stata alla guida di IKEA Svizzera) si è sempre battuta per un luogo di lavoro più equo e paritario. Non è infatti un caso che abbia co-fondato ValoreD (associazione di imprese che promuovono la DE&I in azienda) e Advance Women (associazione analoga che opera in Svizzera).

Who's Who

Simona Scarpaleggia

Board Member di EDGE Strategy

Simona Scarpaleggia

Promuovere l’equità di genere per persone, compliance e business

In tanti anni di esperienza quello che ha constatato Scarpaleggia è che «è impossibile raggiungere dei risultati duraturi e convincenti se l’equità di genere e gli altri aspetti della Diversity, Equity e Inclusion vengono ritenuti la cosiddetta “ciliegina sulla torta”. Quello che fa la differenza è crederci fino in fondo e investire tempo e risorse, come si fa per tutte le aree ritenute prioritarie per il business, obiettivi strategici in primis, appunto».

E quello di cui le organizzazioni devono prendere coscienza è che si tratta di un tema su cui non si può più soprassedere, anche perché crescono le spinte, interne ed esterne: «Da un lato sono le persone a richiedere alle aziende di attivare dei percorsi a supporto dell’equità di genere, dall’altro bisogna essere compliant a specifiche norme comunitarie, come la direttiva “Women on Boards” e la norma sulla trasparenza retributiva (volta a ridurre il gender pay gap), che per come la vedo io non rappresentano un male, ma un driver positivo per innescare dei circoli virtuosi. Infine, c’è forse l’aspetto più importante – ha ribadito Scarpaleggia -: il vantaggio competitivo. Un’organizzazione equa, che viene percepita come un posto di lavoro dove tutti hanno delle opportunità di crescere e che valorizza il singolo, più facilmente avrà successo. Esiste una stretta correlazione tra performance e politiche D&I, come hanno riportato diversi studi del World Economic Forum e di McKinsey. E questo accade unicamente se l’impegno è preso con consapevolezza da tutti, a partire dalla Direzione, passando per i manager e, in generale, i leader. Lo hanno ben compreso le aziende quotate che oggi si stanno impegnando a lavorare sui fattori ESG, prima considerati come un mero “plus” da prendere in considerazione in seconda battuta. E a questo cambio di passo concorre anche il fatto che ormai sono gli stessi investitori a chiedere quali azioni si sono intraprese in questi ambiti. E qui si torna al tema del business».

Primo passo misurare, ma cosa? E come?

Come detto in apertura, portare avanti un progetto di equità di genere richiedere la raccolta di informazioni e dati, quantitativi e qualitativi.

«Può sembrare “banale” ma la prima cosa da fare è avere ben chiaro il numero di persone, uomini e donne, che compongono l’organizzazione, andando a mappare anche la loro presenza nei diversi livelli dell’organizzazione e quale ruolo ricoprono. Si tratta chiaramente di dati oggettivi, così come lo sono quelli relativi agli stipendi. Dall’incrocio di queste due dimensioni si arriva ad avere un quadro dell’equità salariale».

Questi passaggi che aiutano a capire l’as-is e individuare in modo più chiaro il to-be, dopo aver definito gli obiettivi strategici che ci si prefigge. «Successivamente si misurano la presenza e l’efficacia delle policy introdotte per garantire l’equità. Prima, durante e dopo, invece, spesso si ricorre a delle survey per avere il polso dei bisogni delle persone e delle percezioni. In entrambi i casi ci si muove lungo la sfera qualitativa».

L’ingaggio delle persone attraverso delle survey va di pari passo con il tema della fiducia, come ha sottolineato la Manager. Questo strumento funziona davvero bene, infatti, solo se usato in modo opportuno, partendo da una presentazione preliminare e, a seguire, passando per una presentazione delle evidenze emerse, fino ad arrivare a tradurle in azioni concrete e policy che salvaguardino la parità anche nella definizione delle short list dei candidati all’assunzione.

La certificazione EDGE

Oggi ad aver intrapreso un percorso di certificazione sono diverse aziende, tra queste il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Centrale Europea, il gruppo L’Oréal, e in Italia Allianz, UniCredit, Lavazza, Moncler e Banca d’Italia.

Tutte queste realtà hanno ottenuto la certificazione EDGE, uno tra i principali standard globali per l’equità di genere e intersezionale, che consente anche di ottenere dati già aggregati per la reportistica europea CSRD. «Il processo prevede una rigorosa analisi dei dati, raccolti da tre fonti differenti: statistiche e informazioni rilevanti per misurare la parità di genere, policy e pratiche necessarie per diminuire il gender gap all’interno dell’organizzazione, e infine le esperienze e il percepito dei dipendenti in merito alle opportunità di carriera sul posto di lavoro», ha raccontato Scarpaleggia.

Questo avviene grazie al supporto di una soluzione integrata di DE&I basata su tecnologia SaaS che rende la metodologia scalabile, adatta quindi non solo ad analizzare singole business unit delle aziende, ma le organizzazioni nella loro interezza, a livello nazionale o globale.

«Un team di esperti studia i dati, redige un report piuttosto corposo e prepara una sintesi, per evidenziare dove ci sono le disparità più consistenti con due benchmark, uno a livello di Paese e uno a livello di industria di appartenenza. In base ai risultati specifici si formulano una serie di azioni da intraprendere e l’azienda decide su quali focalizzarsi».

Come ha ribadito la Manager, tutto questo poi viene verificato da un audit indipendente e viene rilasciata una certificazione valida in tutto il mondo per due anni.

«Si tratta di una metodologia applicabile a tutti i settori. Le aziende che nel tempo sono state certificate hanno applicato in tutto o in parte le azioni suggerite. Esistono in particolare tre livelli di certificazione: Assess, Move e Lead. Una certificazione a livello Assess riconosce l’impegno, una a livello Move mostra il progresso e una certificazione a livello Lead celebra il successo nella promozione di ambienti di lavoro equi dal punto di vista del genere. Una certificazione plus riconosce ulteriormente l’impegno ad analizzare le questioni intersezionali tra il genere e una o più delle seguenti dimensioni aggiuntive: identità di genere, razza/etnia, orientamento sessuale, disabilità, nazionalità ed età. Il tutto viene calcolato attraverso un algoritmo sviluppato da EDGE», ha concluso Scarpaleggia.

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