HR Trend

Da Ferrero a Barilla, le aziende italiane che spiccano nella lotta al gender gap

Sempre più realtà imprenditoriali nel mondo si impegnano a colmare la differenza di genere e a realizzare un ambiente di lavoro inclusivo. Anche in Italia, dove “Italy’s best employers for women 2022” ha svelato il nome delle aziende più attive in tal senso, scovate attraverso il social listening che utilizza algoritmi e AI per analizzare le pagine internet e intercettare i testi che trattano il tema delle pari opportunità

Pubblicato il 18 Lug 2022

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Il tema del gender gap è sempre più sotto la luce dei riflettori. Dati Istat hanno dimostrato come, durante il lockdown, il genere femminile sia stato quello più penalizzato all’interno del mondo del lavoro. Rispetto agli uomini, infatti, un numero più alto di donne – per lo più occupate in modo precario, part-time o saltuario – ha perso il posto di lavoro, ha smesso di cercare lavoro o è entrato nella categoria degli “inattivi”. A fare da contraltare a questa fotografia poco rassicurante spicca l’impegno di un gruppo sempre più ampio di aziende “illuminate” che considerano fondamentale creare un ambiente di lavoro inclusivo. Per queste organizzazioni si tratta in generale di una condizione centrale per il benessere stesso del business e per conseguire migliori risultati. Con l’obiettivo di premiare proprio quelle aziende italiane che si sono distinte come migliori datori di lavoro per le donne è stata pubblicata la ricerca Italy’s best employers for women 2022 realizzata dall’Istituto Tedesco Qualità – Itqf – che fa capo al gruppo Hubert Burda Media, che opera nel campo dell’Employer Branding nei paesi di lingua tedesca -, in collaborazione con La Repubblica Affari&Finanza.

Donne e lavoro: sempre più aziende contrastano il gender gap

Alla sua seconda edizione, lo studio ha considerato oltre 2.000 tra le più importanti aziende italiane e utilizzato un metodo innovativo di ascolto del web. Come spiega l’Itqf, “la classifica finale nasce dall’integrazione ed elaborazione dei dati raccolti attraverso il social listening, che con programmi crawler effettua una scansione automatica delle pagine internet e intercetta i testi che trattano il tema in questione. In pratica, mediante algoritmi e Intelligenza Artificiale sono stati cercati su tutto il web in lingua italiana (social media, blog, forum, portali news, video ecc.) commenti su cultura d’impresa, formazione professionale e pari opportunità. Negli ultimi 12 mesi sono state rilevate oltre due milioni e mezzo di citazioni online riguardanti le aziende del campione considerato. L’Intelligenza Artificiale ha controllato ogni frammento di testo e considerato se il tono e il modo in cui era scritto era positivo, negativo o neutrale”.

Circa il 10% delle aziende analizzate dallo studio si è qualificato per ricevere il premio. Tra queste 200 realtà troviamo in testa marchi sia italiani – come Lavazza, Ferrari, Calzedonia, Barilla, Ferrero, Fineco e Unicredit -, sia marchi appartenenti a multinazionali che in Italia hanno una sede, tra cui Sanofi, Allianz, Amazon Italia e Nespresso Italia, e ovviamente i collosi dell’hi-tech: Amazon, Google e Microsoft.

Queste aziende virtuose hanno ben compreso prima di altre quanto gli accorgimenti che vanno a colmare il gender gap in ambito professionale siano in grado di dar vita ad ambienti lavorativi più stimolanti e collaborativi.

L’inclusione come leva di crescita in azienda

A confermare i benefici delle politiche rivolte verso l’inclusione di genere in azienda ci ha pensato anche la ricerca Meeting the inclusion imperative, condotta da Heidrick & Struggel, la società internazionale di executive search con sede a Chicago.

I ricercatori della Heidrick & Struggel dopo aver individuato un gruppo di aziende attente alla diversità, lo ha messo a confronto con un gruppo di società meno attento. Risultato: in cinque anni il primo gruppo ha ottenuto un tasso di crescita annuo superiore del 62% rispetto al secondo gruppo.

Ma non finisce qui. La ricerca ha infatti messo in luce che le aziende che investono in diversity aumentano del 17% le performance aziendali, del 20% la qualità dei processi decisionali e del 29% il lavoro di squadra. Inoltre, chi adotta politiche inclusive ha più possiblità di emergere: queste realtà hanno 6 volte in più la capacità di essere innovative e agili e 8 volte in più la capacità di ottenere risultati di business migliori.

Tuttavia, un altro recente sondaggio condotto sempre da Heidrick & Struggles, What inclusive leaders do—and don’t do, che ha coinvolto un totale di 412 dirigenti sparsi in tutto il mondo, ha rilevato che solo il 27% dei manager considera la propria azienda oggi ampiamente inclusiva.

Gli studiosi sono andati però oltre e hanno indicato cosa deve fare e cosa non deve fare un leader inclusivo (da qui il titolo della ricerca).

Cosa fa un leader inclusivo:

  • attira follower;
  • adatta facilmente lo stile per rispondere alle esigenze delle diverse situazioni;
  • favorisce la collaborazione tra i team per creare e implementare nuove idee;
  • guida principalmente attraverso l’influenza piuttosto che l’autorità, ma sa quando e come fare un uso efficace del potere conferito dalla sua posizione;
  • adatta e trasforma il proprio approccio alla leadership.

Consa non fa un leader inclusivo:

  • Ignorare lo sviluppo degli altri;
  • Crea un ambiente stressante per gli altri;
  • Detta il cambiamento agli altri piuttosto che coinvolgerli nel processo;
  • Si affida principalmente all’autorità e al potere della posizione per influenzare gli altri;
  • Rende difficile per gli altri fornire feedback.

WEF, Gender Gap: Italia 63esima su 146 Paesi

È di qualche giorno fa il Global Gender Gap Report 2022 realizzato dal World Economic Forum. Secondo lo studio nel 2022 il divario di genere globale è stato colmato del 68,1%. Al ritmo attuale di progresso, ci vorranno 132 anni per raggiungere la piena parità. Ciò rappresenta un leggero miglioramento rispetto alla stima del 2021 (136 anni alla parità),  tuttavia, non compensa la perdita di slancio in questo processo avvenuta tra il 2020 e il 2021 quale conseguenza dell’emergenza pandemica. Su 146 Paesi analizzati l’Italia si attesta solo 63esima dopo Uganda e Zambia. Circoscrivendo l’analisi alla sola Europa, che nel suo insieme ha il secondo livello più alto per parità di genere (76.6%) con un miglioramento di 0,2 punti percentuali rispetto al 2021 e un tempo calcolato di 60 anni per colmare il divario, l’Italia si posiziona 25esima su 35 Paesi. In cima alla classifica Islanda, Finlandia e Norvegia

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