L’emergenza sanitaria degli ultimi anni ha spinto molti lavoratori a rivedere le proprie priorità alla ricerca di un miglior equilibrio tra vita privata e professionale. Una tendenza che ha prodotto un aumento considerevole delle dimissioni (si parla, a questo proposito, di Great Resignation), specie nelle realtà più ancorate a un concezione tradizionale dell’ambiente di lavoro, basata sulla presenza in ufficio e il rispetto di orari rigidi. Abitudini un tempo consolidate, con cui però i lavoratori, specie le nuove leve, non riescono più a sentirsi in sintonia. D’altronde il lockdown ha dimostrato la validità di modelli di produttività alternativi, più in linea ai bisogni attuali dei dipendenti. Molti lavoratori andati a vivere nei paesi d’origine durante la prima emergenza sanitaria, infatti, non hanno più intenzione di tornare indietro. Nella scorsa estate, poi, è cresciuto il numero dei collaboratori che ha deciso di passare più tempo nelle seconde case in montagna o al mare. E se questo non bastasse, molte donne lavoratrici hanno capito che grazie a modalità di lavoro più flessibili sono in grado di organizzare al meglio anche la loro vita familiare.
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Come cambia l’Employee Experience nell’era dell’ufficio “blended”
La produttività personale e di team, ormai lo abbiamo capito, oggi può essere completamente svincolata dalla presenza costante in ufficio e l’abitudine a collaborare remotamente con colleghi e superiori non sembra destinata a tramontare molto presto. Questa tendenza, se da un lato ridisegna completamente lo scenario del mercato immobiliare, specie nelle grandi città, dall’altro richiede all’organizzazione di ripensare in toto l’Employee Experience. Il rischio, per chi lavora sistematicamente al di fuori dell’ufficio, è di rimanere escluso dalle dinamiche organizzative, smarrendo progressivamente il senso di appartenenza e l’affezione all’azienda. La parola chiave, lo sentiamo ripetere spesso, è engagement.
Millennials e Generazione Z “motori” dell’innovazione IT
«In un’azienda ci sono sempre due clienti: il vero cliente e il dipendente», sosteneva già all’inizio del secolo scorso Rudolf Miele, fondatore della nota azienda tedesca di elettrodomestici. La verità, infatti, è che occorre mostrare per i collaboratori la stessa cura che si ha verso il consumatore, che deve essere costantemente incuriosito, coinvolto e fidelizzato. Il digitale gioca un ruolo chiave nell’engagement e sono in molti a pensare che gli scenari della gestione delle risorse umane vedranno un’integrazione sempre più fluida tra gli strumenti di produttività e collaborazione con la dimensione social da un lato, le piattaforme intelligenti di HR Management dall’altro. Il tutto all’insegna della massima trasparenza e semplicità d’uso. D’altronde sono i lavoratori stessi a chiederlo. «Oggi i Millennials e la Generazione Z costituiscono il 46% della forza lavoro full time delle aziende negli USA e questa cosa non va sottovalutata perché sono proprio loro, i nativi digitali, il vero acceleratore dell’innovazione IT in azienda», sottolinea Francesca Puggioni, Head of Southern Europe Cluster di Orange Business Services.
Abituati alle ”facilitazioni digitali” nella vita privata, dove possono scegliere una canzone o fare un acquisto online semplicemente parlando a uno smart speaker, si trovano spiazzati se non ritrovano la stessa intuitività e immediatezza anche in quella lavorativa. Con la pandemia, infatti, i due mondi si sono incontrati, anzi sovrapposti, per un periodo di tempo piuttosto lungo e ci si è resi conto che non si poteva più tornare indietro. L’impiegato è diventato molto più sensibile ed esigente rispetto all’ambiente e ai tool aziendali, ed è disposto anche a cambiare datore di lavoro se non vede soddisfatte le sue aspettative». Al contrario, un ambiente IT più inclusivo e favorevole a modalità di collaborazione moderne e adattive rappresenta la chiave per riportare nel mondo del lavoro anche alcune categorie sociali, come le donne con figli, che negli ultimi anni ne erano rimaste ai margini. «Nel marzo 2022 – conferma Puggioni – si è rilevato un incremento del 59,9% dell’impiego e questa crescita è stata trainata in particolare dagli ingressi delle mamme con figli piccoli, che oggi grazie allo Smart Working riescono a conciliare meglio il lavoro con la vita privata».
Il digitale ridisegna gli scenari di produttività
Le nuove leve hanno già dimestichezza con i workplace digitali, i wiki, le piattaforme UCC, i social media. Anzi, sono proprio i giovani assunti i primi promotori dell’uso in azienda di questi strumenti in cui tutte le informazioni e i servizi rilevanti per svolgere il proprio compito sono letteralmente a portata di click. «La fedeltà dei talenti all’organizzazione – puntualizza la manager – è, quindi, sempre più spesso legata alla capacità che ha l’IT di garantire semplicità d’uso, ampiezza delle applicazioni disponibili e continuità dell’esperienza di lavoro in ufficio, a casa e in mobilità, ovvero lungo tutti e tre gli stadi evolutivi dell’hybrid working. Questo significa riprogettare l’IT sul singolo individuo, ragionando in ottica persona-based, customizzando i servizi in base ai suoi compiti e ai suoi bisogni, ai device e al tipo di connettività che utilizza in prevalenza». Volendo razionalizzare al massimo, schematizza Puggioni, occorre presidiare tre aspetti chiave dell’esperienza di lavoro:
- Onboarding Experience: «Il neo assunto si aspetta di ricevere dall’azienda laptop e smartphone di ultima generazione, intuitivi e con un accesso diretto alle applicazioni di produttività. Oppure si aspetta di poter utilizzare per scopi di lavoro i suoi device personali».
- Ongoing Experience: «Dipendenti, agenti e manager si aspettano che l’IT sia in grado di supportarli efficacemente all’interno di tutto il perimetro di lavoro, non solo in ufficio o a casa ma anche in mobilità, per condividere file e fare riunioni in tutta sicurezza anche se viaggiano spesso».
- Offboarding Experience: «Anche la restituzione dei device aziendali e la dismissione dell’indirizzo business di posta elettronica per il dipendente dimissionario devono risolversi in pochi click del mouse».
«Secondo una recente indagine, le aziende che offrono questo tipo di agilità hanno il 55% di lavoratori che ottiene performance molto elevate, contro il 30% di quelle che non supportano adeguatamente il proprio personale», assicura la manager. Le aziende più lungimiranti, però, stanno già attuando vere e proprie strategie Total Experience (TX) di cui l’Employee Experience è una componente essenziale. L’obiettivo della TX è offrire un’esperienza memorabile a chiunque interagisca con i brand dell’azienda, sia internamente che esternamente all’organizzazione. Un goal ambizioso, direttamente collegato alla possibilità, concessa ai dipendenti, di svolgere il proprio lavoro e rispondere alle esigenze dei clienti in un ambiente totalmente multicanale. Gartner si aspetta che le organizzazioni che adottano un approccio orientato alla TX nei prossimi due anni saranno in grado di superare quelle che non lo fanno del 25%, in media, nei parametri di soddisfazione utilizzati per misurare la CX e la EX.
L’IT? Il miglior strumento di retention
La necessità di garantire una produttività itinerante e adattiva, quindi estremamente personalizzata, impone di rivedere anche le tecnologie abilitanti. Ampio spazio, quindi, alla Robotic Process Automation, all’Artificial Intelligence e al Machine Learning non solo per garantire un supporto tecnico efficace anche agli utenti che non sono fisicamente presenti in ufficio, ma soprattutto per massimizzare l’engagement e la fidelizzazione dei talenti, attraverso la gestione efficace delle loro peculiarità. «Mettere le persone al centro – conclude Puggioni – permette di capitalizzare sulle esperienze passate per mettere l’IT al servizio dell’Employee Experience. In questo senso, il digitale diventa un fantastico tool di retention.