L’agevolazione fiscale connessa ai Fringe Benefit di cui all’art. 51, c. 3 del TUIR, è stata oggetto, negli ultimi anni, di diverse ed altalenanti modifiche normative, tutte di carattere straordinario perché legate ad emergenze varie.
Prima di raccontare le ultime novità 2024 sui Fringe Benefit, Giovanni Scansani ci aiuta a ripercorre le ultime tappe: «Nel 2021 il “Decreto Sostegni” ha raddoppiato la soglia ordinaria da 258,23 a 516,46 euro (lo aveva fatto l’anno prima anche il “Decreto Agosto”); nel 2022, con il “Decreto Aiuti Bis”, si è arrivati a 600 euro; a distanza di pochi mesi il salto iperbolico con il “Decreto Aiuti Quarter” che ha portato il limite di esenzione alla soglia “monstre” di 3.000 euro; nel 2023, ormai fuori dall’emergenza pandemica, ma dentro a nuove criticità socio-economiche, il “Decreto Lavoro” confermava la soglia massima a 3.000 euro, ma solo per i dipendenti con figli fiscalmente a carico, riportando gli altri lavoratori alla soglia originaria (ed irrealistica) di 258,23 euro. Ora, la nuova Legge di Bilancio, soltanto per il periodo di imposta 2024, prevede una nuova duplice soglia (ancora una volta temporanea) portata a 1.000 euro per tutti i dipendenti, ma con limite di esenzione elevato a 2.000 euro per i dipendenti con figli a carico. È stata poi confermata la possibilità di utilizzare i Fringe Benefit per il pagamento delle utenze domestiche, mentre come nuova possibile finalità per l’anno in corso, è stata introdotta la possibilità di utilizzare il benefit per il pagamento dell’affitto o del mutuo relativo alla prima casa. Su quest’ultima estensione, non sempre agevole nella pratica, sarà bene che l’Agenzia delle Entrate fornisca alcuni chiarimenti».
Who's Who
Giovanni Scansani
CEO di Bonoos e docente a contratto nonché coordinatore del Laboratorio di Progettazione di Piani di Welfare Aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Indice degli argomenti
Alcune riflessioni sulle novità Fringe Benefit 2024
«Per prima cosa stupisce osservare – ribadisce Scansani – come ancora non siano maturi i tempi (per la politica) per aumentare in maniera strutturale il limite di esenzione − fiscale e contributivo − che ordinariamente corrisponde alla soglia, convertita in euro, a partire dalle 500.000 lire indicate nel 1986 (quando fu pubblicato il TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e che da allora non è mai stata adeguata, nemmeno sulla base dell’indice del costo della vita. Una stabilizzazione a 1.000 euro sembra del tutto congrua e prima o poi chissà che non ci si arrivi».
C’è poi un’altra misura, tra le novità Fringe Benefit del 2024, che potrebbe essere portata avanti: «Si potrebbe arrivare all’eliminazione della regola della ripresa a tassazione dell’intero importo qualora il valore del Fringe Benefit effettivamente concesso sia superiore alla soglia di esenzione. In altre fattispecie il TUIR prevede che ciò che forma materia imponibile è solo la differenza tra il valore-limite indicato dalla norma e quanto effettivamente sia stato percepito o goduto dal beneficiario. L’eliminazione della regola di cui sopra, inoltre, semplificherebbe non poco la vita alle imprese che devono, per ciascun dipendente, calcolare al centesimo il valore di quanto percepito a titolo di Fringe Benefit (anche da pregressi rapporti di lavoro intrattenuti nel medesimo periodo d’imposta) proprio per evitare conseguenze sul piano della tassazione».
Infine, sottolinea Scansani, «resta aperta la questione della disparità di trattamento tra chi ha figli e chi non ne ha e tra chi, in termini di carichi di cura, deve affrontare criticità che non sono quelle genitoriali ma quelle, spesso, filiali (ossia quando, ad esempio, si tratti di lavoratori caregiver che si occupano di uno o di entrambi i genitori anziani e non autosufficienti). Stupisce che in uno dei Paesi con l’aspettativa di vita media tra le più elevate al mondo di ciò non si sia neppure vagamente discusso».
Pur con questi limiti (corrispondenti solo ad alcune delle questioni aperte) resta l’evidenza dell’importanza del welfare aziendale che, non per caso, è da tempo uno dei temi forti della contrattazione, anche nazionale. «È una leva di people management il cui sviluppo è dovuto alle stesse trasformazioni che il lavoro e l’organizzazione d’impresa stanno vivendo anche in conseguenza dell’incessante evoluzione tecnologica che modifica il lavoro, ne cambia i suoi tratti, la sua antropologia e che, in definitiva, ne ridisegna le regole essendo il lavoro uscito dall’alveo del solo scambio di tipo economicistico (salario vs. prestazione) ed essendosi da tempo sempre più aperto anche ad uno scambio di tipo “sociale” del quale, appunto, Fringe Benefit e Flexible Benefit rappresentano le tradizionali “gambe” sulle quali poggiare le iniziative di benessere individuale e collettivo».
Public Benefit, la terza gamba del welfare aziendale
«Invero − prosegue Giovanni Scansani − perché il “tavolo” del welfare aziendale possa stare in piedi più saldamente, vi è la necessità di una terza “gamba” alla quale le imprese più avvedute stanno guardando con particolare interesse (anche perché tale ulteriore elemento non comporta investimenti diretti aggiuntivi rispetto al budget stanziato per il welfare aziendale)».
Ci si riferisce ai “Public Benefit”, ossia al composito e sempre più ampio ventaglio di possibilità che il welfare pubblico, tramite bonus e agevolazioni (statali, regionali e comunali), offre a sostegno del reddito di individui e famiglie. «Questo enorme giacimento di risorse è ormai trasversale quanto ai bisogni “coperti” e sempre più accessibile (quanto ai requisiti richiesti) anche da parte di chi abbia un reddito di lavoro dipendente, perché i limiti ISEE delle principali misure sono del tutto compatibili con la posizione economica di un nucleo familiare medio con uno o due componenti lavoratori subordinati (senza dimenticare che almeno la metà dei bonus – e spesso si tratta di quelli più “ricchi” – sono accessibili senza dover presentare l’attestazione ISEE)».
Queste risorse, però, non sono sfruttate. «Peggio: sono per lo più sconosciute o presentano frequenti fenomeni di desistenza a causa della complessità delle procedure burocratiche. È il fenomeno (presente anche in molti altri Paesi) del cd. “non-take-up”. Le imprese possono fare molto per evitarlo quando, tra le iniziative di welfare aziendale, includono anche servizi di informazione e di accompagnamento dei lavoratori nell’acquisizione di queste fonti di sostegno economico che si rivolgono ad ambiti della vita del tutto identici a quelli presi in considerazione dalle iniziative private aziendali. Si realizza così la welfare integration tra pubblico e privato: una strada ricca di possibilità per migliorare concretamente il complessivo “pacchetto” a disposizione dei lavoratori, soprattutto in quelle aziende che (se non è solo uno slogan) hanno realmente al centro le loro persone».