Se c’è un’espressione che tutto il mondo ha imparato a conoscere a causa del lockdown è distanziamento sociale, che tra l’altro si associa alla perfezione all’altro punto saldo del periodo appena vissuto, cioè allo Smart Working. Oggi, con le aziende che finalmente iniziano a riaprire e alle spalle l’esperienza di alcuni mesi di lavoro da remoto, ci si domanda non solo come conciliare lo svolgimento delle attività con l’esigenza di garantire il distanziamento fisico tra le persone, ma anche proprio come concepire la nuova normalità a livello di dinamiche lavorative che coinvolgono persone, luoghi e strumenti senza perdere la vicinanza sociale e relazionale che deve connotare una community aziendale. In poche parole, la sfida è far sì che il distanziamento fisico non ricada in un vero distanziamento sociale, cosa possibile solo attivando tutte quelle contromisure utili per mantenere unita e compatta la workforce.
Quest’ultimo aspetto è oggi centrale. Infatti, a fronte di un distanziamento fisico, attuato nel rispetto della normativa e per tutelare la salute, ora più che mai le aziende devono trovare il modo di favorire le relazioni sociali tra le persone, nonostante le scrivanie separate o il fatto che si lavori da casa 1 o 2 giorni alla settimana. È questo quindi il momento di scoprire nuove modalità di engagement, consapevoli che il mondo lavorativo sta cambiando pelle: deve diventare fluido e l’ufficio diffuso. Il posto di lavoro può certamente ancora coincidere con gli spazi messi a disposizione dall’azienda, ma anche con casa propria, con una postazione in coworking in una struttura a migliaia di chilometri, con una sala riunioni perfettamente attrezzata, una biblioteca, un museo e via dicendo. È proprio questo che vuol dire adottare un modello di lavoro fluido, e l’azienda si trova a vincere su tutta la linea: non concentra tutte le persone nei suoi open space, e quindi soddisfa con più facilità i vincoli di distanziamento fisico, può risparmiare rivedendo spazi e servizi, fa sì che il lavoro sia pensato in funzione delle attività e degli obiettivi da raggiungere, responsabilizza le persone, genera produttività e successo.
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Riprogettare il lavoro, ‘distribuirlo’ e massimizzare la produttività
In termini pratici, però, è palese il fatto che conciliare distanziamento sociale (cioè, fisico) ed engagement non sia la cosa più semplice del mondo. Al di là di una visione chiara, estesa a tutta l’azienda e di un progetto di ridefinizione delle dinamiche lavorative, occorre affidarsi a un partner che possa fornire un approccio globale nei confronti della transizione, verso un modello di lavoro e ufficio diffuso.
Pensiamoci bene: riprogettare il lavoro in termini di esperienza dopo decenni di scrivania fissa e di open space, aumentando pure la produttività e i risultati per l’impresa, significa rivedere gli spazi fisici dell’azienda in funzione delle attività da svolgere, ridefinire i servizi disponibili, significa immaginare e creare esperienze che leghino una community che sarà sempre più distribuita. La scrivania allora sarà solo una delle possibili alternative, con l’headquarter che diventerà l’hub-quarter di una serie di nodi – fisici e digitali – intorno ai quali ruoterà la nuova esperienza lavorativa diffusa.
Al di là della visione, che rappresenta senza dubbio il punto di partenza, senza una piattaforma tecnologica che abiliti questo nuovo modo di lavorare e che sia alla base dell’esperienza lavorativa sarebbe quasi impossibile ottenere i risultati prefissati. Per funzionare un modello di lavoro fluido, in cui le persone non sono tutte vicine fisicamente, deve permettere ai dipendenti di prenotare (magari da casa) l’esperienza lavorativa (quindi non solo una semplice postazione) in base al tipo di attività che si ha in programma: si spazia quindi dalla scrivania alla sala riunioni per l’agile, a un minievento in coworking, fino ad arrivare al posto auto e alla partecipazione a un meeting o a un evento virtuale. Tutto questo prevede l’adozione di un sistema che sia anche in grado di interagire con le persone, ad esempio richiedendo il feedback dopo un check-out da una sala riunioni, e di imparare dalle preferenze della persona così da suggerirgli l’opzione migliore e fornire a chi di dovere informazioni e insight sull’utilizzo dei servizi e delle aree, per ottimizzarne l’utilizzo. Così si ottiene davvero tutto: più engagement, più produttività, più benessere, pieno supporto per il lavoro distribuito, ottimizzazione “data-driven” degli spazi fisici, meno persone in azienda – e quindi distanziamento fisico – e anche una riduzione dei costi, che l’azienda smart reinveste in esperienze. Senza la tecnologia giusta, questi risultati non potrebbero mai arrivare.
Distanziamento sociale ed engagement: il ruolo di MYSPOT
Proprio parlando di soluzioni non si può non citare eFM, l’azienda italiana che da anni promuove il concetto di ufficio diffuso e di space-as-a-service, accompagnando le imprese verso la riprogettazione degli spazi e dei servizi in termini di esperienza, con l’obiettivo di realizzare Engaging Places. La sua piattaforma proprietaria Myspot, che Gartner ha incluso nella prestigiosa categoria dei “Cool Vendor” in Employee Engagement and Enablement in the Digital Workplace, risponde alle rinnovate esigenze delle aziende che adottano modalità di lavoro diffuse ed è alla base della creazione di un workplace a misura di produttività, ma anche di benessere ed engagement.
Emiliano Boschetto, senior manager communication & community building di eFM, ci conferma che la piattaforma permette alle persone di vivere un’esperienza lavorativa che, come anticipato, oggi è ben più articolata e complessa rispetto a un tempo. «Myspot è molto di più di una semplice piattaforma di booking. Myspot suggerisce i luoghi che offrono l’esperienza lavorativa di cui sei in cerca: una postazione per lavoro focalizzato, una sala meeting per l’agile, un coworking dove c’è un evento di tuo interesse, un luogo che stimoli la creatività, etc. Ovviamente – spiega Boschetto – il sistema mi garantirà – anche grazie all’interazione stretta con sistemi di IoT – il rispetto del social distancing e in generale delle prescrizioni per il COVID. Myspot, però, va molto oltre: trasforma la città nel mio workplace, cogliendo una ricchezza di esperienze, possibilità e stimoli, che il solo ufficio o il lavoro da casa non mi può garantire. Lo Smart Working Pass mi permette, per esempio, di lavorare in sicurezza in luoghi diversi (coworking, biblioteche, bar, ecc), ma anche di vivere esperienze specifiche come eventi e workshop, o di frequentare community professionali che in ufficio è più difficile intercettare. In questo modo si permette all’azienda di avvicinare la workforce favorendo le relazioni e l’arricchimento delle proprie persone. Se l’azienda decide di evolvere e di abbracciare il concetto di ufficio diffuso, Myspot può esserne il tessuto connettivo, la piattaforma stabile di un’esperienza lavorativa progettata attorno all’employee engagement».
L’idea è senz’altro vincente, poiché in grado di trasformare un vincolo come il social distancing in un’opportunità per evolvere, garantendo soddisfazioni a chi lavora e anche risultati tangibili per l’azienda.