Con la pandemia che ha stravolto il modo di lavorare della maggior parte delle persone non vi è alcun dubbio che le Risorse Umane hanno giocato un ruolo fondamentale durante l’emergenza. Le Direzioni HR hanno lavorato sulla comunicazione e il coinvolgimento del personale, progettato ed erogato, in una modalità nuova, attività di formazione e di coaching a sostegno del lavoro da remoto, proposto servizi ed eventi per alleviare il disagio e dare fiducia ai lavoratori. La consapevolezza dello sforzo fatto è oggi elevata: il 73% dei responsabili Risorse Umane ritiene che il proprio ruolo sia diventato più strategico e il 91% si sente pronto ad affrontare i cambiamenti imposti dalla digitalizzazione e dalla diffusione dello Smart Working. A sottolinearlo i risultati 2021 della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Il nuovo ruolo della Direzione HR: dall’emergenza alle sfide future”.
L’analisi dell’Osservatorio ha anche messo in luce che non sono mancate criticità 2021 nel mondo HR: soltanto il 27% è riuscito a garantire la continuità delle attività senza difficoltà e, nonostante gli investimenti in attività di comunicazione e di employer branding, oltre un terzo ha faticato ad attrarre candidati e a trattenere i propri dipendenti. Un altro effetto negativo della pandemia è stato il calo del senso di appartenenza alla propria organizzazione, che è fortemente diminuito in un quarto dei lavoratori, e del numero dei dipendenti che si sentono “ingaggiati” (-16% rispetto al 2020) e “pienamente ingaggiati” nella propria organizzazione (-23%).
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Connected People Care: partire dalla raccolta dei dati per prendersi cura delle persone
Nei prossimi mesi, per recuperare attrattività e invertire questa pericolosa tendenza, le Direzioni HR dovranno moltiplicare gli sforzi per prendersi cura delle persone, migliorarne l’engagement e rendere sostenibili i nuovi modelli di lavoro stimolando i dipendenti e aiutandoli a coltivare le relazioni professionali. Un approccio che potrà dare un forte contributo in questa direzione è quello della “Connected People Care”, l’insieme di pratiche HR che utilizzano i dati raccolti attraverso le tecnologie digitali per rispondere alle esigenze specifiche di ogni persona, migliorandone autonomia e coinvolgimento nei processi aziendali, e che permettono alla Direzione HR di mantenersi costantemente informata e “connessa” con l’intera organizzazione.
“Nel 2020 la Direzione Risorse Umane ha acquisito una maggiore centralità agli occhi del top management – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Molte sono le iniziative messe in campo in questi mesi, non solo per la gestione operativa dell’emergenza, ma anche per avviare cambiamenti più profondi e duraturi legati ad esempio alla gestione del lavoro per obiettivi, al supporto delle progettualità di Smart Working e alla creazione di ambienti di lavoro inclusivi e stimolanti, anche in virtuale. Affinché queste iniziative abbiano successo però occorre un salto culturale e di competenze: bisogna andare oltre la semplice “gestione del personale”, adottando invece un modello di cura del lavoratore personalizzato e “di precisione”, in grado di interpretarne i bisogni e di trasformarne positivamente l’esperienza aziendale, rendendolo sempre più coinvolto nell’organizzazione e protagonista dei processi HR che lo riguardano”.
“Le Direzioni HR hanno investito molto in tecnologie digitali e in attività di comunicazione ed employer branding e i lavoratori hanno apprezzato gli sforzi, ma l’incertezza legata alla pandemia ne ha minato l’energia e il coinvolgimento – afferma Fiorella Crespi, Co-Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. La Connected People Care può essere la chiave per ridare ai collaboratori ciò di cui hanno realmente bisogno, restituendogli slancio e benessere. Non è un caso che le organizzazioni che sono riuscite a lavorare su questi aspetti abbiano livelli di engagement superiori del 45% rispetto alla media”.
Le sfide delle Risorse Umane per il 2021
Oltre che della pandemia, Il 2020 è stato l’anno del boom dello smart working, ma sono ancora poche le realtà che hanno introdotto modelli organizzativi agili, basati su strutture flessibili e leadership condivisa, appena il 17% (in linea con lo scorso anno). Secondo il 45% dei professionisti delle Risorse Umane intervistati, il consolidamento e il potenziamento dello smart working sarà la principale sfida in ambito risorse umane del 2021, seguita dalla riqualificazione della forza lavoro (42%) e dallo sviluppo di cultura e competenze digitali (38%). L’emergenza sanitaria ha infatti costretto il 35% dei lavoratori ad accelerare l’acquisizione di nuove competenze o a cambiare le capacità su cui formarsi, con i giovani che sono riusciti ad adattarsi più facilmente (+48%). Sette lavoratori su dieci pensano che dovranno aggiornare le competenze chiave per svolgere la propria mansione nei prossimi due anni per effetto della digitalizzazione e delle nuove modalità di lavoro: fra questi, l’86% si ritiene pronto, di cui il 62% grazie agli strumenti messi a disposizione dal proprio datore di lavoro.
Per rispondere a queste sfide le imprese hanno accelerato gli investimenti in progetti e iniziative digitali, concentrati soprattutto in attività di comunicazione e gestione del clima aziendale e in formazione. Ben il 60% del campione prevede un aumento del budget dedicato nel corso del 2021, con il trend medio di investimento più alto degli ultimi anni (+7,5%).
L’impatto sul mondo del lavoro
Nell’ultimo anno le imprese hanno compreso l’importanza della comunicazione verso l’esterno per migliorare la propria strategia di employer branding, cercando di coinvolgere i potenziali candidati attraverso i contenuti e lo storytelling. Il 40% dei responsabili Risorse Umane ritiene che la comunicazione dei propri valori aziendali sia stata più efficace, ma la capacità di attrarre e trattenere talenti è ancora da migliorare: nonostante l’ampliamento del bacino di candidati disponibili grazie al lavoro da remoto, le imprese hanno incontrato difficoltà ad attrarre talenti sia dai territori vicini alla sede aziendale (37%) sia da aree più lontane (39%) e anche a mantenersi attrattive nei confronti dei dipendenti (37%).
Il protrarsi della pandemia e del lavoro da remoto forzato ha avuto un forte impatto sul benessere psico-fisico dei lavoratori e sull’organizzazione nel complesso: il 25% lamenta un forte calo del senso di appartenenza per l’azienda, il 23% segnala una riduzione delle relazioni interpersonali in ambito lavorativo soprattutto con altri team di lavoro ed è diminuita la percentuale di persone che si sentono “ingaggiate” (il 64%, 16 punti in meno del 2019) o “pienamente ingaggiate” (20%, -23%).
Il nuovo ruolo delle Direzioni HR, verso la “Connected People Care”
“Per stimolare l’engagement dei lavoratori e migliorare il loro benessere è necessario ridisegnarne l’esperienza aziendale, facendo leva sulle tecnologie ma anche sulle competenze e l’attitudine all’autonomia e al lavoro per obiettivi rese possibili dalle nuove modalità di lavoro – afferma Martina Mauri, Co-Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Dalla ricerca emergono tre elementi fondamentali per una efficace strategia di “Connected People Care”: coinvolgimento e responsabilizzazione delle persone, una maggiore diffusione di strumenti digitali e un ampio utilizzo dei dati raccolti attraverso le nuove tecnologie”.
In primo luogo, è necessario rivedere i processi all’interno delle Risorse Umane per coinvolgere maggiormente le persone nelle decisioni aziendali e stimolarne l’autonomia, lavorando ad esempio sul performance management, cioè la comunicazione trasparente delle informazioni relative a retribuzioni, obiettivi raggiunti e coinvolgimento nella definizione dei propri obiettivi individuali. Solo il 14% delle organizzazioni, però, è maturo su questi aspetti in tutti i processi HR.
Fondamentale è anche l’utilizzo dei dati per il supporto alla presa di decisioni e delle tecnologie digitali che, elaborando la moltitudine di dati a disposizione, consentono di offrire servizi personalizzati sulle reali esigenze e interessi della persona. Ma nelle Direzioni Risorse Umane manca ancora una cultura data-driven, con appena il 15% che misura l’impatto delle proprie pratiche sul business. Le principali barriere all’impiego dei dati sono la mancanza di un processo standardizzato di raccolta dei dati sui processi HR (61%), la scarsa o assente integrazione dei sistemi informatici (41%) e la bassa consapevolezza dei benefici da parte del management (29%). Gli strumenti digitali a supporto dei processi HR sono invece aumentati rispetto all’anno precedente: sono cresciuti o saranno introdotti nei prossimi mesi gli strumenti per il monitoraggio delle performance dei lavoratori (77%), i software per le video interviste ai candidati (53%) e le app per l’inserimento in azienda (63%) e per monitorare l’engagement delle persone (47%). Ancora marginale l’uso di strumenti di intelligenza artificiale.