Un concetto profondo quello di purpose; definisce l’originaria ragione d’essere di un’organizzazione, indica quanto è forte la sua aspirazione a lasciare un segno positivo tanto sulla comunità quanto sui propri stakeholder.
Una consapevolezza che l’azienda ha del proprio “Sè”, fuori dal tempo, indipendentemente dalla leadership che la guida e dai numeri del suo business.
Una cognizione profonda della capacità di distinguersi sul mercato generando valore di lungo termine, il vero motivo che ha portato quella realtà a fare business.
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Purpose, la ragion d’essere oltre il business
Partiamo dai fondamenti: storica definizione è quella di Simon Sinek, secondo cui il Brand Purpose “è un motivo superiore che giustifica l’esistenza di un brand che non sia il mero profitto economico“.
In “Start with why”, Sinek afferma che conoscere il “perché” spiega la ragione per cui un’azienda o un brand esistano e fornisce le basi su cui costruire tutto il resto: il “come” (la cultura organizzativa, l’esperienza e il know-how del marchio) e il “cosa” (gli specifici prodotti o servizi offerti).
Le potenti madri di Nike, “The Toughest Athletes” fanno il possibile per accrescere il potenziale umano:
I mattoncini in canna da zucchero, “Plants Now Made from Real Plants” di LEGO, danno forma (anche in senso stretto…) alla scelta di responsabilità verso la sostenibilità e le generazioni future:
Qui non si parla di business ma, appunto, di ragione d’essere; di purpose.
Come si può partire
Sottolinea Hubert Joly, citando Sinek, “le persone non comprano quello che fai; le persone comprano perché lo fai”. La maggior parte dei dirigenti aziendali ritiene che lo scopo principale delle loro aziende sia quello di fare una differenza positiva nel mondo e non solo di massimizzare il valore per gli azionisti. Di conseguenza, definire un purpose aiuta anche a navigare nel contesto volatile nel quale ci muoviamo. La scelta non è facile e gli approcci per definirlo sono molteplici, per esempio, Joly suggerisce l’intersezione di 4 cerchi:
A ogni organizzazione il suo purpose
Ma non solo: il movente del purpose è diverso da azienda ad azienda: per esempio, la direzione verso la quale il purpose muove – come sottolineano Knowles, Hunsker, Grove e James – può essere Competence, Culture and Cause.
E ancora: un purpose che esprime il focus sulla competenza è quello di Mercedes (“First Move the World”) e la value proposition di clienti e collaboratori è fornire tale competenza.
E anche, Zappos.com è un sito di vendita di scarpe e vestiti statunitense la cui cultura punta a “To Live and Deliver WOW”. Se pensiamo a un cause-based purpose si può citare Tesla e il suo “to accelerate the world’s transition to sustainable energy” e il suo impegno per il bene del pianeta.
Uguale per tutti?
L’impatto di un purpose ben definito e articolato non è solo sull’immagine dell’azienda nel mercato, ma soprattutto sul senso di appartenenza delle persone che ci lavorano e sul riconoscimento da parte degli stakeholder che con essa si interfacciano: “Io sono questo, io mi ritrovo in questo, io credo in questo”.
Si tratta di una consapevolezza che è strategica ed esistenziale, che supera i risultati di business e che rafforza il valore stesso dell’azienda. Ne esprime il DNA.
Spiega Matteo Barone, Senior Manager di Methodos: «Le imprese oggi più di ieri hanno consapevolezza dell’importanza del valore che generano e sanno che non si tratta solo di valore finanziario; il purpose esprime il mandato di insieme che queste si sono date anche nei confronti della comunità in cui operano, verso le persone che vi lavorano e gli stakeholder che con cui si relazionano. Infatti è determinante l’impatto che tale dichiarazione ha sulle persone, sul loro engagement nei confronti dell’impresa, nel riconoscersi come parte integrante e, soprattutto nel caso dei talenti, nello sceglierla».
Who's Who
Matteo Barone
Senior Manager, Methodos
L’azienda mostra attraverso il purpose l’ambizione di atterrare su un terreno di valore più ampio di quello meramente finanziario, e su tale terreno gli effetti prodotti vanno guidati in modo sostenibile per tutto il sistema socio ambientale.
E aggiunge: «Il purpose non può essere scollegato dal business, se l’azienda è un soggetto economico (e non una onlus, per esempio) produce valore anche in tal senso, anzi è in cosa e come lo produce che può essere misurata la reale consistenza del suo purpose. Di fatto il purpose è una promessa e come tale va mantenuta».
Purpose, si può misurare la solidità di una promessa?
La questione della misurazione di cosa è tangibile, di cosa accade e di cosa produce ogni azione è dirimente.
Barone spiega che è possibile definire tre tipi di realtà che presentano il purpose tra i propri “fondamentali”:
- chi si limita a raccontarlo, a farsene una bandiera e lo presenta come uno strumento di marketing attraction;
- chi lo porta come corredo a riempimento del business, per giustificarlo e dare un senso di valore al business stesso;
- chi lo applica in maniera rigorosa; ciò vuol dire che considera il mandato del purpose in ogni azione di business, fa rispettare la dichiarazione e si è dotata di indicatori per rendicontarne i risultati anche rispetto alla comunità.
Chi lo fa e chi no. Gli elementi che frenano l’integrazione del purpose in azienda
Ma allora è fondamentale? È una moda? Un imperativo? E perché la sua importanza non è percepita in egual misura? Infatti non tutte le realtà ne fanno uso compiutamente né allo stesso modo.
Un recente studio di BVA e Doxa evidenzia che degli oltre 500 tra C-Level e manager italiani intervistati, il 40% indica che il purpose non è pienamente sfruttato come risorsa nella propria organizzazione.
In particolare, secondo lo studio, gli elementi che frenano l’integrazione del purpose sono legati a:
- una comunicazione poco efficace (per il 52%; tra chi si occupa di marketing e sales care, ed è ancora più sensibile al tema, la percentuale sale al 60%);
- uno scarso allineamento tra leadership e collaboratori (per il 50%).
Ma, in parte, è il mindset dell’azienda che influenza le scelte sul tema.
Lo studio ha evidenziato 4 aspetti da considerare e che riguardano le aziende più capaci di trasformarsi, indicando che sono:
- più attive del 51% nell’integrare il purpose nella propria strategia;
- più attive del 78% nella integrazione del purpose nella cultura aziendale;
- più attive del 73% nell’integrare il purpose nelle evoluzioni organizzative;
- più attive del 56% nell’integrazione del purpose nella dimensione sociale.
Tutto, quindi, funziona meglio se c’è un mindset aperto al cambiamento.
Commenta Barone, «ci sono aziende che onestamente riconoscono di non essere ancora pronte o strutturate per seguire con coerenza la promessa espressa dal purpose e, altrettanto onestamente, scelgono il migliore dei compromessi e di perseguire un business realizzabile, al di là di promesse troppo cogenti».
Molto recente e ancora in fieri – sarà presentato a fine novembre 2024 – è lo studio che Doxa con Openknowledge sta conducendo con l’Osservatorio Purpose in Action del Politecnico di Milano; si sottolinea l’importanza di formalizzare e implementare il purpose aziendale per ottenere risultati significativi in termini di motivazione dei dipendenti e impatto sociale. Qui sono a confronto le impressioni di 785 fra C-level, dirigenti e senior manager di aziende di varie dimensioni attive nei settori dei servizi, dell’industria e del commercio.
Anche in questo caso si evidenziano divergenze tra il “bene assoluto” apparentemente rappresentato dalla riflessione sul purpose e la realtà del fatti.
Come anticipato dal Sole 24 Ore, il 51% dei manager riconosce infatti l’impatto positivo del purpose sulla motivazione dei dipendenti, ma solo una minoranza delle aziende, il 32%, lo ha formalizzato, lamentando la necessità di maggiore strutturazione per farlo. E, ancora, solo il 17% lo misura con indicatori specifici.