È un momento propizio per l’HR director per dare un contributo attivo e innovativo al business. Di fronte alle sfide che ci pone la quarta Rivoluzione Industriale, quella del digitale, sono infatti le persone il vero fattore critico di successo, ancora prima degli investimenti in nuove tecnologie. Mercati volatili e complessi richiedono a tutti spiccate capacità di adattamento, agilità e velocità di risposta al cambiamento continuo; robot e software intelligenti cambiano le organizzazioni e il modo di lavorare, creando forti bisogni di competenze tecniche e digitali; e la velocità dell’innovazione impone di valorizzare le opportunità offerte dalle tecnologie.
Per questo, si respira un senso di urgenza nei numerosi summit dedicati alle risorse umane e al futuro del lavoro: si è sentito con forza a Davos a gennaio, e si è sentito lo scorso settembre al CHRO (chief human resources officers) Summit organizzato da BCG a New York, con 45 HR leader che rappresentavano oltre 1 milione e mezzo di lavoratori.
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Rendere la gestione ordinaria più efficiente per liberare risorse e creare valore
Cosa fare, dunque? Non c’è dubbio che con il dovuto livello di engagement, qualificazione e analisi organizzativa, il capitale umano possa contribuire in modo decisivo alla competitività delle organizzazioni. Al tempo stesso, la direzione delle risorse umane ha ora a disposizione nuovi strumenti per fare un salto di qualità: da un semplice ruolo amministrativo a funzione strategica che gestisce e sviluppa le risorse in modo proattivo, in ascolto alle diverse esigenze individuali e di concerto con la strategia e gli obiettivi aziendali.
Digitalizzare i processi è il primo passo. Sistemi automatizzati e cruscotti decisionali possono efficientare la gestione amministrativa (payroll, ferie, permessi, retribuzioni, note spese), riducendo il tempo impiegato per queste attività, liberando energie e riducendo gli errori. Le Direzioni HR possono così concentrarsi nel supportare ciascuna famiglia professionale e ciascun individuo nell’affrontare la necessaria evoluzione di competenze e modelli organizzativi che la Digital Transformation richiede e che nessuno ormai può più evitare. Le nuove tecnologie digitali sono un valido aiuto per la mappatura delle competenze e quindi per lo sviluppo delle persone, fornendo dati integrati sulla forza lavoro nel suo insieme. L’analisi dei dati (con soluzioni cosiddette di Big Data Analytics) a livello disaggregato, permette poi di creare report attendibili per prendere decisioni tempestive e congruenti con ciò che serve all’azienda per essere efficace e competitiva.
Performance management: conoscere i dipendenti per supportare il business
Un altro importante passo da compiere, dunque, è quello di creare un quadro accurato della situazione del personale. Significa conoscere meglio i dipendenti attraverso profili che vanno al di là degli aspetti puramente anagrafici e amministrativi: non solo, dunque, quanti sono e quanto costano. Oggi la tendenza è quella di creare profili integrati con il percorso formativo e professionale e sui risultati quali-quantitativi della singola risorsa (performance management) gestiti da suite di HR management (HCM, Human Capital Management) che sono costruite sulla base delle migliori pratiche internazionali. Inoltre, l’approccio dei social -collaborativo, trasparente e a due vie- si può ritrovare nelle piattaforme digitali, nelle community professionali e negli innovation contest (awards e hackathon interni), che rappresentano nuovi modi attraverso cui stimolare le persone a esprimere le proprie capacità, attitudini, vocazioni e ambizioni indipendentemente dalla loro appartenenza organizzativa.
Percorsi professionali sempre più personalizzati e risposte veloci al management
Se cambia l’approccio della direzione del personale, più orientata all’analisi e all’interpretazione della grande mole di dati a disposizione che non agli aspetti procedurali e amministrativi ormai gestibili automaticamente, si potrà andare nella direzione di percorsi professionali sempre più personalizzati, attraverso strumenti di formazione adattativi e fruibili in ottica multicanale (learning), strumenti di gestione avanzata dei percorsi di ruolo e carriera (sviluppo competenze), strumenti che facilitino la rotazione interna (job rotation), considerando le esigenze dei dipendenti e che, all’occorrenza, incroceranno specifiche esigenze aziendali.
Il risultato è che la direzione HR sarà più tempestiva nel rispondere alle richieste dei vertici aziendali e assecondare così il business nella sua trasformazione, che si tratti di nuovi mercati da aggredire, di prodotti da lanciare e via dicendo. Questo matching virtuoso avrà effetti positivi sulla produttività dei collaboratori e sui risultati aziendali, introduce trasparenza nei percorsi di carriera e, di conseguenza, maggiore meritocrazia.
Inoltre, ha un impatto positivo sulla retention (come riflesso della maggiore correttezza nell’allocazione delle risorse) e, ancora prima, sull’attrattività di quel posto di lavoro, altro fattore critico di successo per la competitività delle imprese visto lo “shortage” di competenze digitali e per l’industria 4.0.
Aumento di stipendio e scatti di carriera non bastano più
Per garantire il coinvolgimento dei lavoratori, stipendio e avanzamenti di carriera non bastano più. Serve alimentare la passione e sviluppare una nuova forma di engagement. Come? Secondo l’HR Trends and Salary Report di Ranstad le leve sono tre: valorizzazione e accrescimento delle competenze (63,5%), premi non finanziari come il riconoscimento e la visibilità interna ed esterna all’azienda (53,2%), coinvolgimento continuo in progetti strategici (46,8%) un ambiente aziendale coinvolgente e piacevole (26,3%). L’analisi dei dati da più fonti potrà davvero aiutare a targettizzare e personalizzare i servizi e l’ascolto dei propri dipendenti.
Il nuovo ruolo della direzione HR
«Le direzioni HR sono chiamate a contribuire al rilancio della competitività delle proprie imprese – sostiene Mariano Corso, Ordinario di Organizzazione e Risorse Umane al Politecnico di Milano – ridisegnando il proprio ruolo e sviluppando nuovi modelli di organizzazione del lavoro più adeguati per affrontare le sfide che la gestione del capitale umano pone in un ambiente sempre più competitivo e globalizzato. L’innovazione digitale può giocare un ruolo fondamentale abilitando l’HR transformation: un processo di ridisegno profondo dei processi HR in cui l’introduzione di nuovi strumenti e tecnologie deve affiancare un processo di evoluzione coerente di competenze, ruoli e modelli di sourcing, in modo da valorizzare e trattenere i talenti». Il digitale impone un ruolo attivo e ormai c’è piena coscienza, anche in Italia, della necessità di affrontare il processo di trasformazione digitale: il 91% delle direzioni HR infatti ha già messo in moto azioni specifiche per supportare il cambiamento, da quanto emerge dalla più recente survey dell’Osservatorio HR del Politecnico.
Il digitale per scardinare la relazione capo-collaboratore e scovare talenti
Di fatto, oggi le aziende valorizzano ancora troppo poco il proprio capitale umano. Le organizzazioni hanno all’interno più ricchezza di quella che pensino, come conferma lo studio di McKinsey “Finding hidden leaders” (Alla ricerca dei leader nascosti). Per una serie di ragioni, tra cui bias più o meno inconsci, percorsi non decollati e specifiche relazioni capo-collaboratore. Ci sono senz’altro più collaboratori di quelli riconosciuti formalmente dentro percorsi di crescita, che performano bene, creano buone relazioni, hanno un network esteso e sono degli influencer naturali, tutte caratteristiche del leader che serve oggi (partecipe, orientato agli obiettivi aziendali, collaborativo, ascoltato dagli altri, “ispirazionale”), ma spesso queste figure restano nell’ombra per carattere, per posizione, per livello gerarchico e per “occasioni mancate”.
Gli strumenti digitali consentono dunque alle direzioni HR di avere molte più informazioni in un colpo solo sulle risorse disponibili, per quantità e qualità, al di là della relazione capo-collaboratore spesso confinata alla singola divisione, favorendo quindi una maggiore mobilità interna (internal recruiting) e uno sviluppo più personalizzato delle persone con azioni mirate e proattive per far emergere qualità nascoste. Come suggerisce McKinsey, oggi i talenti interni vanno scovati, cacciati (“hunting”) e non più coltivati e raccolti solo nei percorsi di crescita tradizionali. Vanno pescati (“fishing”) per esempio con l’esca di contest interni che facciano emergere in modo inaspettato idee e capacità altrimenti sommerse. Vanno infine cercati oltre i criteri gerarchici tradizionali e di divisione a silos, grazie alla visibilità offerta dalle occasioni di collaborazione interfunzionale su piattaforme digitali.