Lo Smart Working sta trasformando il modo di lavorare, e lo sta facendo rapidamente perché rimanere ancorati ai vecchi schemi oggi può voler dire perdere terreno. Le tecnologie sono sempre più pervasive ed entrano a far parte della quotidianità, modificando il modo in cui comunichiamo, collaboriamo e lavoriamo all’interno delle imprese. Per questo è fondamentale essere consapevoli della trasformazione in atto e saperne apprezzare e cogliere le opportunità. Cambiano così le policy organizzative, le tecnologie digitali adottate, i comportamenti, gli stili di leadership e gli spazi fisici.
Digital4Executive ha organizzato lo scorso giugno l’evento “Smart working, istruzioni per l’uso”, raccogliendo la testimonianza di chi questo fenomeno, a vario titolo, lo sta toccando con mano, pe rcapire cosa significa oggi essere Smart per le aziende italiane.
Fino a pochi anni fa la concezione degli uffici era ben diversa rispetto a oggi, come ha raccontato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: «C’erano dei confini ben delineati tra il lavoro e la vita privata, in ufficio si era raggiungibili solo alla postazione, e la produttività era determinata dal tempo passato alla scrivania».
Oggi è necessario riprogettare con intelligenza l’organizzazione del lavoro, e per farlo bisogna adottare una nuova filosofia manageriale – ha sottolineato Corso – volta alla responsabilizzazione delle persone, che hanno come contropartita maggiore flessibilità e autonomia nel definire dove e quando lavorare, e quali strumenti utilizzare. La produttività non è più lineare rispetto al tempo di permanenza in uno spazio». A essere cambiate sono proprio le esigenze dei dipendenti, che spesso si sentono vincolati da un’organizzazione del lavoro che ormai è troppo rigida. Un numero sempre maggiore di imprese riconosce oggi queste opportunità e sta ridando maggiore discrezionalità alle persone in termini di scelte legate al dove, come e quando lavorare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
«Già esistono esempi di aziende che hanno rifiutato determinati stereotipi, dimostrando che si può fare qualcosa di diverso, anche e soprattutto in Italia dove alcuni progetti di Smart Working rappresentano esempi di eccellenza». Nel nostro Paese, ad aver implementato in modo sistematico un vero programma di Smart Working è circa il 10% delle grandi aziende. A queste se ne aggiungono altrettante che hanno già in programma progetti in tal senso: in pratica, quindi, due aziende su dieci stanno facendo Smart Working.
Per Roberto Lauritano, Head of Letting Department di Generali Real Estate, lo Smart Working ormai è una realtà imprescindibile con cui convivere. «Molti dei nostri clienti, anche di settori e dimensioni differenti, hanno introdotto lo Smart Working in azienda o pensano di farlo a breve – ha specificato il manager -. Il nostro compito è contribuire alla conoscenza e alla diffusione di questo fenomeno, di cui siamo testimoni considerando che l’area su cui abbiamo focalizzato le nostre competenze è proprio quella degli uffici, non solo in Italia ma anche a livello mondiale, e che tra i nostri immobili ne annoveriamo anche di estremamente innovativi come la sede di Mondadori a Segrate, il progetto CityLife a Milano, e la sede di Nestlè ad Assago».
Ma lo Smart Working non si può improvvisare,non si può attivare da un giorno all’altro. Per intraprendere questo percorso è necessario cogliere il momento organizzativo più adatto. «Quando si parla di progettare nuovi uffici è importante non tralasciare aspetti strategici come l’efficienza, il ritorno degli investimenti, la riduzione dei costi e la sostenibilità», sottolinea Sabrina Conzadori, Business Services Italy Manager di Nestlè, che ad aprile ha trasferito 1300 persone nella nuova sede di Assago. Il progetto, partito nel 2011, «puntava a costruire un edificio che rappresentasse un nuovo modello organizzativo per dare valore alle persone, cercando di migliorare al tempo stesso le performance di business». Fin dalla fase di progettazione, il nuovo Campus Nestlé in Italia, è stato infatti studiato per rispecchiare il bisogno di riorganizzare gli spazi e i tempi lavorativi in modo flessibile. Proprio per queste sue caratteristiche (open space, ampi spazi informali, aree speciali di supporto al business…etc.) è oggi un esempio, sia per altre realtà del mondo Nestlé,sia per altre aziende, enti pubblici e di ricerca.
Questo spazio innovativo rappresenta un grande passo avanti nel processo di trasformazione che ha avvicinato Nestlé allo smart working, un percorso iniziato nel 2006 e che ha portato alla realizzazione di numerose iniziative volte al raggiungimento di un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e familiare. Ad esempio, proprio nel 2006 Nestlé ha introdotto in Italia la flessibilità oraria di entrata e uscita (con compensazione su base mensile). È stato poi introdotto il telelavoro, per offrire l’opportunità di lavorare in modo continuativo e prevalentemente da casa, previo accordo formale con l’azienda. Nel 2010 l’attenzione si è poi spostata sul concetto di “flexible work environment”, per il quale il lavoratore sceglie di lavorare in remoto da luoghi diversi dalla postazione aziendale.
E se oggi, a qualche mese dal trasferimento, è già forte il senso di appartenenza a quello che è stato chiamato “Campus”, lo si deve al lavoro di coinvolgimento che si è fatto sulle persone nei mesi precedenti il trasferimento, attraverso opportune attività di comunicazione e change management. In questo modo il cambiamento è stato gestito in modo positivo a diversi livelli. Questo processo ha portato a modalità di lavoro nuove, che possono essere vissute a 360 gradi all’interno del nuovo Campus in cui si trovano aree di lavoro innovative e spazi consueti ripensati in modo diverso: anche il ristorante aziendale, il bar e le aree break, infatti, sono concepiti per favorire l’incontro e lo scambio di idee fra colleghi e attrezzate per lavorarvi in gruppo o da soli. Possiamo inoltre contare su tecnologie digitali che possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro e facilitare le interazioni tra figure interne ed esterne all’azienda.
Gli spazi sono stati modellati sulle esigenze del gruppo: ci sono open space con isole da sei o da otto postazioni, il cui numero è stato stabilito grazie alla classificazione del personale in tre categorie- Resident, Internal Mobile, Fully Mobile -, in funzione della percentuale di tempo speso in azienda alla propria postazione e delle attività tipiche del ruolo ricoperto; sale riunioni di diverse dimensioni; aree per teleconferenze e phone booth.«Crediamo molto sul concetto di “Performance vs Presence”. Oggi la produttività è valutata sempre di più sulla base di obiettivi e risultati, e sempre meno della presenza fisica in un solo luogo e per un tempo definito. Abbiamo concepito il nuovo Campus anche per facilitare la flessibilità e promuovere questa cultura».
Nestlè ha potuto contare sul supporto di diversi esperti e advisor. Tra questi figura il team di Alessandro Adamo, Partner L22, Director DEGW Italia, società di consulenza internazionale specializzata nella progettazione integrata di ambienti per il lavoro, che ha seguito il gruppo per due anni, dalla posa della prima pietra all’effettivo trasferimento delle persone. Come racconta Adamo, «uno dei primi incontri con il management di Nestlé è stato mirato a definire la vision e gli obiettivi del progetto: lo scopo era portare tutte le risorse fino a quel momento distribuite in quattro sedi all’interno di un unico building, e di farlo ottimizzando gli spazi».
Il punto di partenza è stato capire quanto l’azienda fosse “Smart” e come gli spazi di lavoro fossero utilizzati dalle diverse business. Si è arrivati così alla costruzione dei tre profili di lavoratori: Resident, Internal Mobile (coloro che passano la maggior parte del tempo in ufficio ma non al proprio posto) ed External Mobile (coloro che si occupano di business fuori dalla sede). «Dall’analisi degli arredi e delle superfici è emerso che meno del 40% dell’organizzazione poteva considerarsi Resident, e proprio questo è stato l’input per disegnare un modello spaziale di sharing che tenesse conto anche del tipo di attività svolta, se individuale o collaborativa.
Si è arrivati così allo sviluppo di un nuovo concept, con il 30% delle aree dedicato a spazi di supporto: aree break, phone booth e sale riunioni. Anche il ristorante aziendale è stato pensato per diversi tipidi attività con tre tipologie di aree – long stay, fast, e ristorante tradizionale -, e una caffetteria aperta tutto il giorno con la possibilità di accedere al WiFi. «Il lavoro più impegnativo è stato capire le dinamiche e trasmettere il valore dei singoli brand all’interno degli spazi. La grafica ha avuto un ruolo predominante: dal punto di vista della personalizzazione sono state identificate delle aree dedicate ai brand, che pur con immagini e loghi differenti sono concettualmente nello stesso spazio e permettono un’immediata riconoscibilità e appartenenza al gruppo».
Le Soluzioni che abilitano lo Smart Working
È chiaro che la crescente diffusione delle tecnologie mobili ha un ruolo fondamentale nell’accelerazione dello Smartworking, per collaborare e comunicare. «I dipendenti si aspettano sempre più di utilizzare questi meccanismi anche all’interno della propria azienda, e il fatto che il 75% del traffico Mobile sia generato dalla navigazione in WiFi è indice del fatto che i dipendenti vogliono usare i loro device- tablet e smartphone – a casa come in ufficio, a mensa, nelle phone booth», conferma Stefano Mattevi, Responsabile del Segment Direct Marketing di Telecom Italia. Per questo bisogna porre attenzione a due elementi: da una parte la disponibilità di banda, e dall’altra la scelta di quali strumenti utilizzare, per riprogettare le applicazioni gestionali in modo che siano fruibili facilmente anche sui device che il lavoratore utilizza nella sua digital life.
E Telecom Italia nella partita dello Smart Working non gioca solo il ruolo di operatore, ma anche di pioniere, dopo il recente avvio di un progetto interno, fortemente voluto dall’Amministratore Delegato, che ha coinvolto 40mila dipendenti in tutta Italia, puntando sul concetto di Smart Building. «Uno degli elementi chiave oltre la tecnologia è l’organizzazione degli spazi. Tante cose si possono realizzare e implementare in un nuovo edificio, anche grazie all’utilizzo della tecnologia NFC – che consente semplicemente avvicinando un cellulare o un badge a un lettore di aprire un tornello, pagare la mensa, stampare un documento – e delle applicazioni in Cloud, fondate sulla disponibilità di un’infrastruttura verticale che può crescere secondo le esigenze».
A cogliere le potenzialità del lavoro Smart è stata anche Plantronics, la piccola multinazionale americana con l’ambizione di far diventare i propri prodotti dei veri e propri hub per gestire le comunicazioni in ambienti Smart, che dal 2009 ha adottato questa filosofia manageriale, consentendo ai professionisti di lavorare dove e quando sono più produttivi. Ilaria Santambrogio, Country Manager di Plantronics, non ha dubbi nell’affermare che implementare le politiche di Smart Working sia vincente sia per l’azienda che per il dipendente, e che uno dei fattori chiave sia la tecnologia, in quanto abilitatore di procedure più efficienti.
Plantronics si sta focalizzando in particolare su alcune aree che definisce “innovation waves”, per dare valore aggiunto alla user experience. La prima è quella che l’azienda chiama “Be in the zone”, ovvero fare in modo che la tecnologia si adatti agli spazi in cui si lavora per far svolgere al meglio le attività del personale. È questo il caso degli auricolari innovativi, in grado di capire qual è il contesto in cui si sta operando e di calibrare di conseguenza il proprio funzionamento: ad esempio, se l’ambiente è molto rumoroso, i sistemi di “noise cancellation” si attivano per proteggere meglio la conversazione e per isolare la persona, senza che sia costretta a spostarsi. La seconda area è quella della “contextual intelligence”, che attraverso dei sensori consente all’auricolare di adattarsi al contesto che lo circonda. Se per esempio durante una conference call il tono della persona che parla è molto noioso o se non sta facendo delle pause l’auricolare potrebbe farlo presente. «Questi sono tutti accorgimenti che permettono al professionista che collabora sempre più in modo virtuale, perché è uno smarter worker, di essere efficace».