Alla fine, l’adozione dello smart working è stata disruptive. In meno di due settimane 6 milioni di lavoratori, tra aziende private e pubblica amministrazione, si sono ritrovati a lavorare da casa, collegati in qualche modo ai sistemi aziendali. Il lockdown è durato circa due mesi e ora si torna a una graduale normalità. Come consolidare allora il digital working, nella fase 2 e nel post coronavirus, in modo tale che sia sicuro, efficace, facile e intuitivo per i dipendenti? La direzione sembra essere quella di creare un nuovo equilibrio tra lavoro in presenza e attività in remoto, con una modalità sostenibile e soddisfacente per i dipendenti, che sia al contempo sicura e produttiva per l’azienda. «Non si torna indietro. Dobbiamo cogliere il lockdown come opportunità per consolidare un nuovo modo di lavorare, agendo su diversi piani: aumentare la libertà di scelta attraverso una maggiore flessibilità; ammodernare l’infrastruttura e decidere le politiche di gestione. Lo smart working può fare da catalizzatore di tutto ciò e rendere più ingaggiati e produttivi i collaboratori. Sarà un modello attrattivo anche per le nuove generazioni, prossime a entrare in azienda, e innalzerà il livello di retention e produttività dei dipendenti», assicura Ivan Monni, Business Unit Manager Apple in Westpole, il service provider con sedi a Milano, Roma, Venezia, Bologna e un’esperienza quarantennale come partner tecnologico nei processi di digital transformation delle aziende.
L’aumento di produttività si riscontrava già nei progetti pilota di smart working delle grandi aziende, grazie a una maggiore flessibilità e a un’organizzazione del lavoro pensata più per progetti che per orario di lavoro, con una responsabilizzazione individuale sui risultati e un concetto di leadership come facilitazione e non come controllo. Ma si trattava di piccoli numeri. Ora questo incremento di rendimento, o quantomeno la stabilità dei risultati, è confermato da una ricerca di AstraRicerche per Manageritalia su oltre mille manager in smart working in pieno lockdown: aumento di produttività per il 17% delle imprese, stabilità per il 34% e calo per il 21% (tra il 5 e il 10%). Come fare ora ad aumentare la percentuale positiva e ridurre quella negativa? Come creare una nuova normalità bilanciata tra lavoro in presenza e in remoto?
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I 3 step suggeriti da Westpole per una nuova normalità con il workplace digitale
Secondo Westpole per rendere digitale il workplace il primo passo è ripartire da una chiara strategia digitale rispetto all’organizzazione e agli obiettivi aziendali. Quindi, chiarito dove si voglia andare e con quale modello di business e di gestione, è opportuno un assessment delle dotazioni tecnologiche esistenti e, in base ai risultati, innovare e ammodernare l’infrastruttura hardware e software perché garantisca flessibilità, collaborazione e sicurezza ai dipendenti e all’azienda. Infine, come terzo step, sarebbe utile intendere la flessibilità non solo sul “come e quando” delle attività lavorative, ma anche sulla scelta degli strumenti di lavoro, dimostrando una reale attenzione alle preferenze operative delle persone.
«Le aziende dovrebbero fare un ragionamento a 360 gradi che coinvolga tutte le divisioni interne, compresi gli utilizzatori finali delle tecnologie. Partendo dalla sponsorship dell’amministratore delegato e delle prime linee, l’obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare un modello di workplace digitale su misura per ogni organizzazione, che “performi” meglio anche attraverso la soddisfazione dei dipendenti. Se questi lavorano bene, in genere sono anche disponibili a produrre di più», sostiene Monni.
Ad assessment concluso, dove risulti una legacy di macchine e software non sostituibili, si possono comunque implementare soluzioni che ottimizzino l’esistente, consentendo flessibilità e collaborazione e proteggendo il più possibile dagli attacchi informatici. «In ogni caso, quando non si può sostituire o ammodernare tutto, si possono comunque adottare soluzioni per gestire le eccezioni, come sistemi operativi superati da nuovi protocolli. La suite di Cisco, per esempio, prevede applicazioni di sicurezza aggiuntive», assicura Monni.
Cloud, virtualizzazione e collaborazione
Così pure, nell’emergenza, virtualizzare le postazioni di lavoro è stato un modo per superare i rischi connessi all’utilizzo di device personali, non protetti come la rete aziendale, utilizzati ad esempio per accedere in cloud alla suite di Office e alla piattaforma collaborativa Webex di Cisco. «Grazie al cloud e alla virtualizzazione della postazione di lavoro, siamo in grado di fornire dei “workplace as a service”, attivabili in funzione di profili tipo e secondo le differenti credenziali individuali. In particolare, l’iPad Apple consente una configurazione semplice e immediata della postazione di lavoro virtuale in base alle credenziali inserite, senza le quali il dispositivo non sarebbe accessibile e, con esso, neppure i documenti aziendali. In questo modo si garantisce la sicurezza anche su dispositivi mobili che si potrebbero smarrire o essere sottratti all’utente, ma anche nel caso di architetture di rete non concepite nativamente con alti livelli di sicurezza», precisa Monni.
Analizzato lo stato dell’arte, l’obiettivo è dunque costruire un’architettura di rete che tenga conto dell’impatto sulle persone, sulla sicurezza, sul business, sul flusso di informazioni, sull’organizzazione stessa.
Ammodernare l’infrastruttura significa per esempio poter utilizzare piattaforme collaborative e introdurre un concetto più ampio di workplace digitale, non solo per attingere a documenti e inviarli su un server aziendale, ma lavorare in più persone agli stessi documenti, organizzare gruppi di lavoro che condividono lo stato di avanzamento dei progetti, li aggiornano e utilizzano una messaggistica istantanea e videocall, il tutto integrato su un’unica piattaforma digitale aziendale, come quella in cloud di Westpole WebRainbow. L’orizzonte è dunque quello di una flessibilità lavorativa che faccia bene alle persone, con un workplace che sia in sicurezza, ma svincolato dalla presenza fisica nell’accesso e nella gestione dei progetti e che favorisca, al contempo, la collaborazione tra colleghi anche non in presenza.
Flessibilità dei sistemi operativi: i vantaggi per il singolo e per l’azienda
Oggi si può fare anche di più in termini di flessibilità, con la fornitura differenziata dei device aziendali a seconda delle preferenze individuali. «Purtroppo sono ancora presenti infrastrutture rigide da questo punto di vista, mentre ripensarle in modo che includano sistemi operativi diversi, Mac o Microsoft a scelta, è una ulteriore forma di personalizzazione che aiuterebbe l’ingaggio e la soddisfazione dei dipendenti, oltre a essere vantaggioso per l’azienda stessa», aggiunge Monni. Emblematico il caso IBM che, dopo aver ascoltato le richieste dei dipendenti e aver compiuto l’analisi di fattibilità di una infrastruttura più flessibile, ha consentito ai sui 600mila dipendenti nel mondo di scegliere liberamente il sistema operativo da utilizzare in azienda. Dopo quattro anni, oggi sono 160mila i dipendenti IBM che si collegano alle piattaforme aziendali con Mac Apple. Con un duplice risultato: l’aver accontentato le preferenze operative della forza lavoro e aver ridotto i costi di gestione. Le chiamate al service desk da postazioni Mac sono infatti del 3% versus il 25% da parte degli utilizzatori di Microsoft; solo il 7% ha avuto bisogno di un intervento al desk, rispetto agli altri a doppia cifra, con un risparmio a configurazione dai 270 ai 500 euro: «Perché Mac è più semplice nell’implementazione e nella gestione, con sistemi di sicurezza più avanzati», conclude il manager di Westpole.