Dopo oltre 2 anni è finalmente iniziato il conto alla rovescia per il termine del regime semplificato dello Smart Working. Il 1° luglio per le persone e le organizzazioni si apre un periodo storico nuovo: la voglia di un ritorno a una normalità sicuramente differente da quella di inizio 2020 e che chiederà a tutti noi di cercare e trovare nuovi equilibri professionali e personali e, di conseguenza, rivedere la policy di Smart Working, in via definitiva.
È stato ampiamente ribadito negli ultimi due anni che da parte delle organizzazioni non ci sia la volontà di tornare indietro, e non ci sia il desiderio di tornare a lavorare secondo modelli di organizzazione del lavoro che oggi non avrebbero senso. C’è bensì la volontà di capitalizzare quello che è avvenuto, riconoscere le lesson learned di questo periodo atipico, ma molto lungo, riprendere a vivere gli spazi fisici degli uffici, ma continuare anche a lavorare da remoto.
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Policy di Smart Working, cosa fare
Secondo l’ultimo decreto, dal 1° aprile non si potrà più adottare la procedura semplificata di adesione allo Smart Working e il primo passo che molte organizzazioni stanno compiendo per essere pronte è proprio la predisposizione di policy di Lavoro Agile coerenti con la Legge n.81/2017. L’approssimarsi della scadenza e l’incertezza su come davvero funzionerà un modello di lavoro ibrido sta portando però in alcuni casi alla creazione affrettata di policy e accordi che rischiano di ricordare fin troppo il “vecchio” modello di Smart Working risalente all’epoca pre-Covid.
Ecco allora 5 domande e 5 risposte per predisporre policy di Smart Working efficaci che non rischino di diventare un “pesce d’aprile”, ovvero modelli che nascondano eccessive rigidità e che, agli occhi delle persone, sembrino più che altro un tentativo di tornare indietro.
1. È giusto prevedere un limite al numero massimo di giorni di lavoro da remoto dopo 2 anni di estrema flessibilità?
Si, è consigliabile prevedere un limite di giornate di lavoro da remoto che dia alcune linee guida, ma allo stesso tempo è importante consentire anche la possibilità di adottare una maggiore flessibilità laddove le attività lo consentano e in accordo con il proprio responsabile. Occorre infatti mediare tra le estreme personalizzazioni che le persone hanno adottato durante gli ultimi 2 anni e la necessità delle organizzazioni di recuperare senso di appartenenza e ingaggio, ridando significato all’andare in ufficio e recuperando la socialità. Per far questo è possibile definire il limite di giornate di lavoro da remoto facendo riferimento a un arco temporale mensile o annuale, invece che settimanale, e permettere anche periodi prolungati di lavoro da remoto in base a necessità e compatibilmente con le attività lavorative.
2. È possibile definire un numero massimo di giornate di lavoro in ufficio? In modo da poter fare saving sugli spazi fisici?
È possibile, ma lo sconsigliamo. Anche questa regola introduce una rigidità nell’organizzazione del lavoro del team che va contro il principio di flessibilità e adattamento che deve avere lo Smart Working. Se da una parte può semplificare la valutazione di una possibile riduzione degli spazi fisici, dall’altra rischia di vanificare lo sforzo di cambiamento culturale che devono fare i team per affrontare correttamente il lavoro ibrido. Il saving sugli spazi fisici può comunque essere fatto con un’intelligente ridefinizione dei layout a supporto di nuove esperienze e significati del lavoro in ufficio.
3. Ha senso che junior e neoassunti possano utilizzare il lavoro da remoto fin da subito?
Si, perché ormai lo Smat Working è un requisito importante di attrattività di talenti. Per i giovani non è più un “nice to have”, ma un “must”. Anche in questo caso è importante lasciare discrezionalità al responsabile per capire come meglio prevedere l’inserimento della nuova persona e darsi regole interne più adeguate. All’inizio non si potrà sicuramente dare massima flessibilità, ma occorrerà prediligere induction e affiancamento in presenza. Inoltre, in alcuni casi, la possibilità di lavorare da remoto sarà anche un elemento differenziante e imprescindibile per allargare il bacino di recruiting e assumere figure professionali specialistiche e spesso introvabili.
4. È corretto mettere dei vincoli all’orario di lavoro nelle giornate di lavoro da remoto?
Si, soprattutto per garantire il diritto alla disconnessione e favorire una maggiore coerenza tra l’orario di lavoro dei colleghi che svolgeranno la giornata da remoto e quelli che si recheranno in sede. Si consiglia di definire fasce orari di reperibilità, ma lasciare anche in questo caso discrezionalità al Manager e ai team.
5. È corretto riconoscere il buono pasto al lavoratore nelle giornate di lavoro da remoto?
Si, fermo restando che non c’è obbligo normativo al riconoscimento del buono pasto, meglio riconoscerlo anche nella giornata di lavoro da remoto. In caso di non riconoscimento, l’impatto sul lavoratore in termini di demotivazione e accusa per l’organizzazione di mero desiderio di risparmio economico possono avere una ricaduta negativa sull’organizzazione stessa. È altresì vero che il lavoratore, sia che scelga di lavorare da casa, sia che scelga di lavorare in un altro luogo, consumerà un pasto.
Accordi sindacali e credere nel cambiamento: ancora un paio di spunti
La normativa sul lavoro agile non richiede la sottoscrizione di accordi sindacali, ma è molto importante il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori che sono in questo momento favorevoli al cambiamento e possono essere un valido alleato. Qualora non si volesse giungere alla firma di un accordo sindacale si suggerisce comunque la condivisione di un’informativa con le parti sociali o incontri preliminari di allineamento.
Un ultimo suggerimento: essendo sotto data è normale che l’attenzione si concentri sulla policy di Smart Working. Tuttavia, se da un lato molte organizzazioni hanno compreso le opportunità e le sfide legate ad un profondo mutamento nel modo lavorare e ne stanno cavalcando l’onda, dall’altro, ci sono organizzazioni che, forse non pienamente consapevoli, rischiano di banalizzare il termine dello stato di emergenza lavorando esclusivamente sulla policy legate al lavoro da remoto, tralasciando l’opportunità di un’evoluzione molto più profonda.