C’è un cantiere aperto nelle grandi aziende italiane ed è destinato a durare a lungo, forse per sempre. Bisogna costruire il futuro del lavoro, ovvero mettere a punto i modelli organizzativi per lo Smart Working, dopo l’esperienza del “tutti a casa” imposta dall’emergenza pandemica. Le domande sono molte. Come conciliare le nuove aspettative dei lavoratori con le esigenze aziendali, senza rischiare che la libertà diventi anarchia, o peggio esclusione? Come recuperare le relazioni sfumate in questi mesi di lavoro da remoto e ricreare senso di appartenenza? Come rafforzare la cultura manageriale per gestire una situazione così complessa, educando al contempo ciascun dipendente a una nuova disciplina?
Non si può tornare al pre-pandemia, e non ci sono precedenti a cui guardare: la trasformazione è profonda e le leve su cui agire sono molteplici, in uno scenario che non è ancora definito, dato che siamo ancora in fase emergenziale e il futuro è ancora troppo incerto. Ma di certo il cambiamento è irreversibile, occorre accettarlo e valorizzarlo, in un contesto più ampio di responsabilità sociale delle imprese.
17 HR manager e CIO di grandi aziende italiane, fra cui molte multinazionali, si sono confrontati sul futuro dello Smart Working in un incontro organizzato da Digital4 in collaborazione con Dell Technologies, da cui è emerso che il tema è cruciale per tutte le organizzazioni. Le iniziative già avviate sono tante, ma anche i dubbi e le incertezze. Non si può, però, restare alla finestra, aspettando la fine dell’emergenza. Occorre agire adesso, sperimentare e ascoltare, trovare un nuovo equilibrio anche se si tratta di navigare a vista, consapevoli che ogni persona è diversa, sia nelle sue caratteristiche personali sia nel ruolo che è chiamato a svolgere.
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Il quadro di riferimento: 4 milioni in Smart Working
Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, ha illustrato lo scenario italiano. «Gli smart worker in Italia erano 570mila nel 2019. Allo scoppiare della pandemia, in piena fase di emergenza si è avuto un incremento repentino, stimato in 6,58 milioni nel primo trimestre 2020. Con il successivo rientro parziale negli uffici, la stima recente è di 4 milioni di persone che hanno accesso allo Smart Working».
Non è detto però che sia veramente lavoro Smart. Occorre infatti ricordare che «Smart Working significa e alternare presenza e lavoro a distanza in funzione delle attività e in accordo con il team e il proprio manager», spiega il Professore. In realtà, quello che applicano in molti è Remote Working, con le persone che lavorano in larga prevalenza a distanza e occasionalmente in una sede o presso il cliente.
«La stima per il post pandemia conferma che complessivamente lo Smart Working è destinato a crescere – ha affermato Corso – . Se nella grande impresa c’è stato un consolidamento, a spingere il rientro sono state soprattutto le PMI e la PA: oltre il 40% delle PA e una PMI su 3 hanno fatto un pesante passo indietro».
Cosa abbiamo imparato, dunque, in questo anno e mezzo? «Che lo Smart Working è possibile e sorprendentemente efficace, che le persone possono imparare a lavorare in un modo nuovo e che possono nascere stili di vita differenti. Ma ci sono anche ombre, c’è tanto da fare. «Le sfide che ci attendono sono tante e per tutti, lavoratori e aziende». Le organizzazioni possono intervenire almeno su sei ambiti: definire nuove regole e comportamenti, estendere consolidare lo Smart Working, ridefinire gli spazi, stabilire nuovi modelli di leadership e distance management, rafforzare l’engagement delle persone e il benessere, sviluppare le competenze.
Oggi, infatti, c’è un divario che separa ciò che i lavoratori si aspettano e che cosa vuole l’azienda. Il 14 % delle persone vorrebbe lavorare costantemente in ufficio, il 53% preferisce alternare lavoro in presenza e a distanza, con i giusti strumenti, e il 33% vorrebbe continuare a lavorare da remoto, ovvero recarsi in sede sporadicamente. Ma in molte situazioni questo non avviene.
«Assistiamo a una pesante caduta del senso di appartenenza, dell’engagement, anche in Italia una persona su 3 intende cambiare lavoro e il work life balance è il primo motivo. È il fenomeno del great resignation, che porta le persone a cambiare vita e che provoca un preoccupante aumento del turnover.
Il bisogno di socialità e il ruolo degli uffici
Non c’è dubbio che la mancanza di socialità casuale, quella che avveniva nei corridoi e alla macchinetta del caffè, abbia avuto conseguenze negative sulle persone e sulle organizzazioni. Nella relazione personale c’è un profondo valore che si sta perdendo: per creare senso di appartenenza non può bastare il rapporto a distanza in video. Le persone si devono conoscere e frequentare, il networking è un motore che non si può spegnere, la circolazione delle informazioni è necessaria.
Ogni azienda sta cercando la sua formula ibrida, stabilendo alcuni giorni di presenza, a volte settimanali a volte mensili, in alcuni casi lasciando libera la scelta nella programmazione, in altri con alcuni paletti. C’è chi ha stabilito un giorno settimanale in cui il team si ritrova, chi organizza incontri anche fuori dalla sede, chi ha aperto in azienda nuovi spazi aperti dedicati alla socialità. Ovviamente resta necessario evitare affollamenti, e per questo si usano app di prenotazione.
La decisione finale sulle attività in presenza del team e il compito di organizzare momenti di incontro sono di solito affidati al team manager, che diventa così anche orchestratore delle dinamiche sociali.
Ma cosa si va a fare in ufficio? Idealmente, solo attività che davvero richiedono collaborazione con i colleghi. Inutile perdere tempo nel traffico per andare a fare le call in ufficio. La sfida è dunque organizzare i rientri per attività che veramente beneficiano della presenza dei colleghi.
Parola d’ordine: personalizzazione
Le persone non sono tutte uguali, come non tutti uguali sono i lavori. Dare regole orizzontali sembra avere poco senso. Le organizzazioni hanno il compito di definire delle policy, mettere nero su bianco cosa si aspettano e cosa sono in grado di offrire in termini di Employee Value Proposition. Normalmente le policy prevedono un numero massimo di giorni alla settimana/mese, all’interno dei quali si può scegliere l’utilizzo degli uffici a seconda della situazione, e bisognerebbe dare al manager la possibilità di declinarle sulla realtà del suo team, dando una flessibilità superiore o inferiore se si reputa necessario. Uno Smart Working rigido, con 2-3 giorni per tutti, applicato a famiglie professionali profondamente diverse, rischia di essere un boomerang. Trattare team dell’ingegneria, del sales e dall’amministrazione allo stesso modo non è poi tanto Smart. Un buon punto di partenza è la clusterizzazione in base ai ruoli, ma la relazione fra capo e collaboratore resta cruciale.
Se la contrattazione a livello aziendale vuole scendere a livello di definire regole e limiti stringenti uguali per tutti rischia di creare delle forzature inutili e dannose. Questo è ancora più vero a livello legislativo.
Occorre dunque avere un approccio flessibile, sperimentale e incrementale, essere pronti a cambiare rotta se qualcosa non funziona, seguendo un approccio agile.
L’utilizzo degli strumenti tecnologici
Anche dal punto di vista degli strumenti tecnologici, elemento cardine per l’efficacia dello Smart Working, non tutte le persone sono uguali. «L’approccio di Dell Technologies al digital workplace – ha spiegato Livio Pisciotta, Italy Senior Sales Manager Client Solutions, parte dalla personalizzazione dell’esperienza, che non riguarda solo il notebook o desktop, ma tutti gli altri dispositivi, come il doppio display, che secondo nostre stime aumenta la produttività del 18%, o le giuste webcam, che aiutano la collaboration».
Un altro tema importante è la semplificazione del consumo dell’IT. «La complessità va gestita, dal responsabile IT ma anche dall’utente stesso. Pensiamo alle assunzioni da remoto: occorre un modern provisioning, che prevede che quando il dispositivo arriva a casa la configurazione possa essere effettuata collegandosi in cloud, per essere “up e running” dal primo giorno di lavoro. Cambia anche il ruolo dell’help desk, che diventa molto più digitale, e le dotazioni delle aree collaborative, che devono essere attrezzate con strumenti attivabili da remoto o in ufficio».
Il manager diventa coach
Molte aziende si sono già date linee guida lasciando poi all’interno ampia discrezionalità al management, che, quando i numeri sono grandi, è vicino al team e può trovare l’equilibrio corretto. Il capo diventa quindi un coach, che sa ascoltare e capire le differenze delle attività e delle persone. Ma i manager sono pronti a questa nuova responsabilità? In generale no e non possono essere lasciati soli.
Occorre rafforzare la cultura manageriale, fare tanta formazione. E non solo sui capi, perché anche le persone hanno le loro responsabilità: i comportamenti inadeguati devono essere messi in luce.
Talent Attraction e Continuous feedback
La capacità di un’azienda di attrarre e trattenere talenti è fortemente legata alle policy di Smart Working. Soprattutto per i più giovani, la flessibilità è un requisito necessario. Per le aziende significa invece ampliare il bacino di recruiting e favorire il benessere delle persone: sono molti i giovani che hanno potuto scegliere di non vivere più a Milano o a Roma, sostenendo costi elevati, ma di tornare nelle proprie zone d’origine.
Occorre però definire con attenzione gli obiettivi e i criteri di valutazione delle performance di ciascuno. Il tema del performance management è fondamentale e in questo si inserisce del Continuous Feedback: la valutazione annuale non basta più, occorre diluire nel tempo i momenti di valutazione, coinvolgendo non solo il manager ma anche il cliente – interno o esterno – e gli altri membri del team. Anche su questo aspetto, i cantieri aperti sono numerosi.
L’esperienza di Dell Technologies
Giampaolo Mischi, Sales Director Corporate North, di Dell Technologies ha raccontato l’esperienza della multinazionale, che ha 140mila dipendenti nel mondo, di cui 750 in Italia. «Da più di 10 anni abbiamo privilegiato l’approccio da remoto, e per fronteggiare l’emergenza abbiamo esteso tale policy, che già avevamo, ad esempio assegnando un budget per creare una postazione a casa, o stabilendo un’etichetta su quando accendere il video nelle call. Oggi due terzi della popolazione aziendale, eccetto le fabbriche, lavora da remoto, inclusi 30 mila agenti di call center, che sono stati abilitati. Riteniamo che il tema sarà centrale nei prossimi anni e continuiamo a riesaminare la situazione, con un team dedicato, puntando alla personalizzazione dell’esperienza dei dipendenti, definendo le “personas”, in base alle esigenze di ciascuno».
Dal punto di vista tecnologico, lo sforzo di Dell Technologies, come quello dei suoi clienti, si è concentrato sull’aggiornamento delle infrastrutture e potenziamento della rete, sul rafforzare la sicurezza, sull’aggiornamento dei processi, sulla revisione delle sale riunioni, che vanno attrezzate per la collaborazione ibrida.
L’esperienza ha messo in luce anche piacevoli sorprese. «Ci siamo resi conto che lo Smart Working facilita l’inclusione di quei lavoratori che prima avevano maggiori barriere all’ingresso. Inoltre, una survey interna ha rivelato che la soddisfazione dei dipendenti riguardo a strumenti e processi IT è migliorata tantissimo durante la pandemia».